Riccardo Negri
Da Boudoir 36, profumeria creativa dall’atmosfera belle époque, una serata inattesa che coinvolgerà la vista e l’olfatto.
Comunicato stampa
Diplomato all’Accademia di Belle arti di Bologna, Negri parte dal segno ed è proprio il segno che lo contraddistingue; intanto come “prova” di un atto creativo diretto, che dalla mano libera il carboncino su tavola a imprimitura di gesso. Poi come tappa di una conduzione formale che, quasi inconsciamente, sta edificando una "Scuola emiliana" dalla scelta di sintesi cromatiche eminentemente bianco nere. D’altronde, Il ruolo del disegno nell’arte, o, in questo caso, di un movimento che diventa disegno, è sempre stato quello di sopperire a un bisogno di mimetismo attraverso l’astrazione rappresentativa. Il metodo e l’oggetto artistico coincidono, poiché le forme sono definite dalla tecnica e dalla mano che le ha lavorate. In altre parole, lo stile è il significato ultimo dell’opera, il suo fine e la sua ragion d’essere. Lo spazio chiuso del tondo, nella sua area delimitata e perfetta, intuisce così un nuovo e ampio cosmo; più generico, discontinuo, ancorché evocativo. Ci si allontana e si migra, verso gli unici interstizi che spingono in avanti e all’interno delle vene riposte sopra e dentro (è il chiaro scuro a volerlo) la traccia segnica. Da una parte simulacri sfiniti e ubbidienti alla forma, dall’altra costellazioni pentagonali, aperte, sulla superficie di grafite. Morfologie fasci formi e saettiformi, rigidamente monocrome, sovranamente apposte a costruire luci. Con, nell’installazione del lavoro a muro, uno solo, l’ambizione di assorbire l’ambiente, non di galleria, ma già narrativo, già carico di sostanze sottili.
Il “non finito”, o lo smagliato, diviene quindi una cosa insepolta che amplifica densità e leggerezza. Cedimento all’invito dello sguardo contro l’immaginario universo, raccolto, quest’ultimo, in un brano, da guardare attraverso una lente fittizia. Perché la rappresentazione si ripresenta di continuo. Il di-segno si articola e così fonde moltitudine e singolarità: «È una ricerca di luce verso una dimensione di conoscenza del Vero», ha già detto di Negri Duccio Trombadori. Mediante il visibile, siamo introdotti a quello che Antonella Anedda chiama morte, come esperienza dello spazio più che del tempo. La forza del disegno di Negri imperversa sul valore e sul limite del disegno di figura e sullo spazio in costellazione come convenzione, per comunicare più profonde (e invisibili) presenze ontologiche.