Ritrovare Ico Parisi
Triennale Design Museum presenta la mostra Ritrovare Ico Parisi, a cura di Roberta Lietti e Marco Romanelli, con progetto di allestimento di Marco Romanelli con Giorgio Bonaguro, in occasione dei centenario della nascita di Ico Parisi.
Comunicato stampa
Triennale Design Museum presenta la mostra Ritrovare Ico Parisi, a cura di Roberta Lietti e Marco Romanelli, con progetto di allestimento di Marco Romanelli con Giorgio Bonaguro,
in occasione dei centenario della nascita di Ico Parisi.
La mostra è realizzata in collaborazione con l’Archivio del Design di Ico Parisi.Con questa mostra continua la ricerca del Triennale Design Museum dedicata ad approfondire alcuni personaggi che hanno interagito con il territorio allargato di Monza e Brianza.
La storiografia del progetto italiano procede per discontinuità, indagando ripetutamente alcuni autori e consentendo viceversa che un cono d’ombra ricopra altre figure fondamentali. Questo è stato il recente destino di Ico Parisi. Afferma Silvana Annicchiarico, direttore del Triennale Design Museum: “Questa mostra si inserisce in un percorso tracciato dal museo, che rivendica la continuità di una ricerca volta a rivalutare i non allineati, i sommersi, i dimenticati, da Gino Sarfatti a Piero Fornasetti, da Giotto Stoppino a Gherardo Frassa fino, appunto, a Ico Parisi, personaggio fondamentale del progetto italiano dal dopoguerra in poi”. Quali, per Parisi, le cause di questo colpevole oblio? Tra esse, al di là di certi aspetti caratteriali del personaggio, possiamo innanzitutto riconoscere il suo forte legame con il territorio comasco e brianzolo, meno in certo senso con la città di Milano, in secondo luogo la decisa presa di posizione culturale che caratterizza l’ultimo periodo parisiano, dal 1960 alla morte, avvicinandolo ai movimenti artistici d’avanguardia e staccandolo, in qualche misura, dalla quotidianità del lavoro di architetto e designer. Ico Parisi ha prodotto una mole notevolissima di lavori, operando, secondo la lezione pontiana, in quella dimensione pluridisciplinare, caratteristica della rinascita del progetto italiano dopo il conflitto mondiale. Parisi è dunque architetto, designer, art director, fotografo, regista cinematografico, pittore e artista puro. Questa mostra, che vuole porsi come una prima riflessione e un primo omaggio al lavoro di Parisi, ha dovuto pertanto stabilire dei precisi limiti cronologici e tipologici alla presentazione dei ricchissimi materiali esistenti, quasi tutti appartenenti all’Archivio del Design di Ico Parisi di Como. I curatori hanno dunque privilegiato il periodo “classico” del lavoro di Parisi, ovvero dalla fine della guerra al termine degli anni ‘50, e un’unica tipologia, il tavolo. Se la prima scelta appare facilmente sostenibile, la seconda è dovuta a una precisa scelta curatoriale. Ognuno degli straordinari maestri che l’Italia ha avuto la fortuna di possedere in quel periodo storico, pur essendosi applicato alle più diverse tipologie secondo l’abusata sentenza rogersiana “dal cucchiaio alla città”, ha in realtà lasciato un segno più evidente in certi ambiti. Per Parisi si tratta sostanzialmente di due situazioni: l’imbottito, argomento in qualche misura topico del momento e toccato da molti con risultati straordinari, e i tavoli. Ragionare, con la costanza e l’inventiva con cui l’ha fatto Parisi, sulla struttura trilitica del tavolo, considerandolo una architettura in nuce, è qualcosa che raramente è dato di vedere. Il tavolo, nelle svariate accezioni, che vanno dalla vera e propria mensa alla scrivania, dalla consolle al coffee table e al carrello di servizio, è un argomento tipologico che accompagna Parisi fin dagli inizi della sua vicenda progettuale e dove l’architetto comasco dimostra una fantasia progettuale illimitata, fatta di improvvisi fuochi di artificio e parallelamente di una minuta e attenta ricerca di varianti formali. Del tavolo Parisi analizza le più diverse soluzioni costruttive, sperimenta materiali, si fa promotore di ricerche inusitate presso gli artigiani e gli industriali canturini. Il tavolo è per Parisi un punto focale all’interno della casa. Ecco quindi che nel Belvedere alla Villa Reale di Monza sono presentati sette tavoli di Ico Parisi dal 1948 al 1955. Ogni tavolo rappresenta una storia diversa: storia di progetto, ma anche storia di vita. E, in quest’accezione, a fianco a Ico compare necessariamente la moglie Luisa, preziosa collaboratrice e stimolatrice di molte situazioni che trovano compendio nello studio La Ruota, cenacolo progettuale e culturale inaugurato a Como nel 1947. L’allestimento, organizzato in “stazioni” contraddistinte mediante gabbie in tubolare quadro bianco, a ricordare l’innamoramento di Parisi per l’avventura del razionalismo e dell’astrattismo comasco, cerca di restituire non solo l’importanza del singolo pezzo, ma anche un frammento di quel contorno progettualmente curato e controllato che Ico e Luisa Parisi sapevano sapientemente costruire.
Biografia
Domenico Parisi, soprannominato Ico, nasce a Palermo, il 23 settembre 1916 da genitori siciliani, allora già residenti in Piemonte. Nel 1925 la famiglia Parisi si trasferisce a Como dove Ico, nel 1936, si diploma perito edile. Svolge quindi un periodo di apprendistato presso lo studio Terragni. Qui ha l’occasione di conoscere e frequentare personalità dell’architettura e dell’arte quali Cattaneo, Lingeri, Radice, Rho, Bontempelli, Bardi, Persico e Sartoris. Appassionato di cinema e di fotografia, realizza, su richiesta di Giuseppe Terragni, le immagini fotografiche della Casa del Fascio da pubblicare sul numero 35 della rivista Quadrante, interamente dedicato all’edificio. Dopo aver partecipato all’allestimento della “Mostra Coloniale” (Villa Olmo, Como, 1937), Parisi, con gli amici architetti Fulvio Cappelletti, Giovanni Galfetti e Silvio Longhi, fonda lo Studio Tecnico Artistico Alta Quota. Di questo periodo, oltre a vari progetti in gran parte non realizzati, rimangono due documentari, girati insieme a Pino Costamagna e Giovanni Galfetti e rispettivamente intitolati Como+Como+Como e Risanamento edilizio della città di Como, quest’ultimo su incarico del Comune di Como.
All’entrata in guerra dell’Italia, Parisi viene arruolato con il grado di sottotenente nel IX Battaglione Pontieri, operativo sul fronte russo. Profondamente coinvolto nell’esperienza bellica, documenta ciò che vede con disegni e soprattutto attraverso la macchina fotografica. Congedato nel 1943 rientra a Como e riprende l’attività progettuale, in questo periodo particolarmente indirizzata alla realizzazione di singoli arredi, di allestimenti espositivi e di architetture d’interni. Con lui collabora Luisa Aiani, la giovane vedova dell’amico Giovanni Galfetti, caduto al fronte. Nel 1947 Ico e Luisa si sposano e aprono uno studio di arredamento che, l’anno successivo, prenderà il nome di La Ruota, luogo di progettazione ma anche d’arte, di esposizione e di cultura. Nel 1952, su sollecitazione dell’amico Alberto Sartoris, riceve la laurea in Architettura presso l’Institut Aetheneum di Losanna.
A partire dai primi anni ‘50 l’attività di Parisi si fa sempre più prolifica. Ico assume, come base metodologica all’operare, il concetto, già proprio di Carlo Belli e di Alberto Sartoris, di ‘integrazione delle arti’: solo lo stretto coinvolgimento di pittori e scultori nel lavoro di progettazione potrà portare a un nuovo modo di fare architettura. Alcuni esempi di questo metodo sono riscontrabili in casa Carcano a Maslianico (Como) del 1950, in cui, per la prima volta, vengono coinvolti artisti quali Mario Radice e Fausto Melotti, e ancora casa Bini a Como, nel 1951, il Padiglione di Soggiorno realizzato a Milano in occasione della X Triennale del 1954, la “casa di vacanze” per la mostra Colori e Forme nella casa d’oggi, naturalmente “casa Parisi”, a Como nel 1957, la chiesa di Santa Maria dell’Osa a Fonteblanda (Grosseto) del 1962/63, il progetto di concorso per il Monumento alla Resistenza di Cuneo (1962), casa Fontana a Lenno del 1967, casa “Vivere Insieme” a Montorfano nel 1969.
Disegna arredi, in pezzo unico, realizzati da artigiani brianzoli per committenze esclusive e, in seguito, per la produzione industriale, con aziende quali Cassina, De Baggis, MIM. In particolare l’ esperienza con la Figli di Amedeo Cassina, ove si occuperà anche della progettazione dell’esposizione di Meda e del negozio di Roma oltre alla realizzazione grafica del primo catalogo aziendale nel 1958, darà luogo a pezzi capolavoro quali la poltrona 813, comunemente chiamata “a uovo”, la poltroncina in compensato curvato modello 839, segnalazione al Compasso d’Oro 1955, la sedia 691, anch’essa segnalata al Compasso d’Oro, e il divano 865. Anche le arti decorative attirano il suo interesse: nascono così sculture in vetro di Murano, in gran parte eseguiti da Lino Signoretto, e ceramiche o terraglie, realizzate da Zanolli e Sebellin di Nove o manualmente dallo stesso Parisi.
La fine degli anni ‘60 segna un preciso punto di svolta nella sua ricerca progettuale. Con i Contenitoriumani, realizzati in collaborazione con lo scultore Francesco Somaini e presentati per la prima volta al Salone del Mobile di Milano nel settembre 1968, Parisi, pur non abbandonando completamente la progettazione di edifici e di arredi, inizia un nuovo percorso d’indagine volto a definire un’idea utopico-esistenziale del vivere. Tale ricerca, sviluppata in collaborazione con un gruppo di artisti, si concretizza, nel 1972-73, nel progetto Ipotesi per una casa esistenziale, presentato per la prima volta nel 1974 a Parigi. A esso fa seguito, segnando il culmine della ricerca progettuale ed esistenziale parisiana, tra il 1974 e il 1976, la Operazione Arcevia, affrontata in modo corale e interdisciplinare attraverso il coinvolgimento di critici d’arte, artisti, poeti, registi, musicisti, sociologi, tra cui figuravano Antonioni, Arman, Burri, Ceroli, César, Crispolti, Restany, Soto, Staccioli, Tilson, uniti in un gruppo di lavoro finalizzato alla progettazione di una intera comunità. Il lavoro viene presentato nell’ambito della 76ª Biennale di Venezia e successivamente esposto presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (1979). Da tale esperienza socio-urbanistica, fortemente utopica, derivano le successive ricerche grafiche, definite da Parisi “tavole di provocazione”: Utopia realizzabile, Apocalisse gentile, Crolli edificanti oltre alla performance Libertà è uscire dalla scatola e alle installazioni urbane Sigilli e Torre di Babele. Questi lavori sono tema di innumerevoli mostre collettive e personali (Biennale di Venezia 1978, In/Arch Roma 1979, Musée d’Ixelles Bruxelles 1980, Palazzo dei Diamanti Ferrara 1981, Istituto Italiano di Cultura Parigi e Centro Culturale ADP Lille, entrambe nel 1984). Nel 1986, presso il Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano, si tiene la prima mostra antologica dedicata a Ico Parisi. Nel 1990 scompare improvvisamente Luisa, compagna di vita e inesauribile fonte di energia creativa. Ico, benché profondamente scosso, continua la sua attività progettuale ed espone il suo lavoro in una grande antologica presso la Palazzina dei Giardini di Modena. Seguono numerose personali sia a Como sia a Modena. Nel 1992 inaugura a Dalmine l’ultima sua provocazione architettonica, il Bobadilla, edificio polivalente progettato in collaborazione con Angelo Cassi. Ico Parisi muore a Como il 19 dicembre 1996.