Robert Rauschenberg – L’Inferno di Dante XXXIV Canti

Informazioni Evento

Luogo
MACIST MUSEUM
Via Costa di Riva 11, (13900), Biella, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

sabato e domenica ore 15.00-19.30

Vernissage
06/05/2017

ore 17

Biglietti

ingresso libero

Artisti
Robert Rauschenberg
Curatori
Marco Bertazzoli
Generi
arte contemporanea, personale

Il MACIST è orgoglioso di presentare “L’Inferno di Dante” di Robert Rauschenberg, raccolta di opere presente anche nella collezione del Moma di New York.

Comunicato stampa

Il MACIST è orgoglioso di presentare “L’Inferno di Dante” di Robert Rauschenberg, raccolta di opere presente anche nella collezione del Moma di New York. La mostra propone un ciclo di litografie che l’artista americano ha realizzato tra il 1958 e il 1960 interpretando in modo originale il capolavoro dantesco, simbolicamente rivisitato e attualizzato. 
Il MACIST è orgoglioso di presentare “L’Inferno di Dante” di Robert Rauschenberg, raccolta di opere presente anche nella collezione del Moma di New York. La mostra propone un ciclo di litografie che l’artista americano ha realizzato tra il 1958 e il 1960 interpretando in modo originale il capolavoro dantesco, simbolicamente rivisitato e attualizzato.

La serie grafica esposta, composta da 34 preziose e complesse litografie, è di grande valenza artistica e simbolica per due motivazioni. Innanzitutto poiché risulta essere un passaggio imprescindibile tra tutte le trasposizioni visive del poema dantesco. L’interpretazione di Rauschenberg, ricca di riferimenti ai personaggi politici del suo tempo e di rimandi alla società americana del secondo dopoguerra, un’opera innovativa, ermetica e certamente di non facile lettura, si distacca nettamente sia dalle illustrazioni dantesche di Sandro Botticelli e dai disegni di Gustave Doré (probabilmente la versione visiva più conosciuta nell’immaginario collettivo), sia dalla rappresentazione coeva del maestro surrealista Salvador Dalì.
L’altra motivazione sull’importanza dell’Inferno di Rauschenberg è data dal successo riscosso dalla raccolta di opere. La serie, infatti, costituisce una svolta importantissima nella carriera dell’artista di Port Arthur, poiché rappresenta la definitiva affermazione da parte della critica dell’artista americano, fin dalla prima esposizione della serie. I disegni originali furono donati nel 1963 al Museum of Modern Art di New York. Il successo della prima mostra indusse inoltre Rauschenberg a realizzare un’edizione litografica a tiratura limitata di 300 copie per il mercato americano e una per l’Italia (edita a Milano, a cura di Edgardo Macorini) di 250 copie. La maggiore credibilità raggiunta tra gli ambienti della critica, ottenuta da Rauschenberg grazie soprattutto alla serie dantesca, consentì all’artista di vincere uno dei premi più ambiti in ambito internazionale: il Gran Premio della Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, nel 1964.
Figura eclettica, artista votato al rinnovamento costante e precursore della Pop Art, Robert Rauschenberg decise di accostarsi, nella primavera del 1958, alla rappresentazione simbolica dell’Inferno di Dante, poema che nel novecento godeva di particolare fortuna negli Stati Uniti. L’ispirazione venne, molto probabilmente, da un soggiorno in Italia compiuto nel 1952 con Cy Twombly.
La decisione di concentrarsi solamente sulla prima cantica della Divina Commedia deriva sia da motivazioni di carattere più squisitamente tecnico sia da ragioni di carattere ideologico e politico: il sostanziale pessimismo di Rauschenberg verso l’umanità del suo tempo, una società - secondo lui - destinata al declino e, forse, persino alla distruzione.
Il complesso lavoro d’illustrazione, eseguito per “frammenti” (un canto alla volta, di pari passo con la lettura del poema) impegnò completamente Rauschenberg per circa due anni. Nel dicembre del 1960 l’artista poté finalmente presentare la serie alla galleria newyorkese di Leo Castelli.
Per quanto concerne la tecnica adottata, la scelta di Rauschenberg ricadde su quella del “Trasfer drawing”: la trasposizione su foglio, attraverso l’ausilio di un solvente, di immagini fotografiche estrapolate da giornali e riviste del momento, come i celebri “Life” e “Time”, ma anche “Sports Illustrated” e “Newsweek”. L’apporto personale dell’artista non si esauriva comunque alla scelta delle fotografie, poiché Rauschenberg interveniva successivamente su di esse con acquerelli, inchiostro, tempere e matita, facendo così delle illustrazioni un insieme di svariate tecniche, senza tralasciare un certo margine di casualità e imprevedibilità, tipici dei processi di sperimentazione.
Accostarsi all’Inferno di Rauschenberg, certamente un’opera di non immediata leggibilità, richiede un approccio privo di condizionamenti e libero dagli stereotipi provenienti dalle altre rappresentazioni dell’Inferno dantesco. Nelle tavole sono presenti dei simboli ricorrenti che permettono anche a un osservatore di cultura media, canto dopo canto, di comprendere la complessa trama dell’opera.
Le tavole sono generalmente suddivise - come, del resto, tutta la struttura del poema dantesco - in tre parti: tre fasce orizzontali su cui si dipana, dall’alto verso il basso, tutta la sequenza della narrazione. La composizione segue poi sempre un andamento circolare dall’alto a sinistra al basso a destra, rifacendosi alla discesa di Dante agli Inferi.
La scelta dei colori è molto eloquente: il rosso e il marrone mostrano il sangue dei dannati, il bianco funge da pausa nella narrazione, mentre l’oscurità del luogo è data dal grigio, il colore predominante, e dal verde.
Per quanto riguarda i personaggi, Dante è raffigurato come una figura maschile a torso nudo con un asciugamano bianco in vita, rappresentazione dell’“uomo medio” americano, immagine ripresa da una pubblicità che reclamizzava dei golf club apparsa su “Sports Illustrated”. Virgilio invece si presenta generalmente nei panni di un atleta o di un astronauta. In alcuni casi Dante viene identificato con John F. Kennedy, mentre Virgilio viene associato alla figura di Adlai Stevenson, altro esponente del partito democratico americano.
La modernità della ricerca estetica e l’attenzione verso i nuovi media vengono esemplificate dall’impiego del “balloon” stilizzato, segno grafico ripreso dal mondo dei fumetti, che indica l’inconfondibile svolgersi di una conversazione tra i personaggi. Nella rappresentazione di Rauschenberg non mancano poi le sinestesie: il simbolo del pesce corrisponde al fetore e alle esalazioni tipiche del paesaggio infernale; le sfreccianti macchine da corsa rievocano invece il frastuono tipico di alcuni gironi dell’aldilà dantesco.

Robert Rauschenberg, figura emblematica nel passaggio dall’Espressionismo astratto alla Pop Art, attraverso la sua originale e provocatoria ricerca estetica, ha cercato di far coincidere la poesia di Dante Alighieri con la modernità, rendendo così l’opera del più grande poeta italiano ancora una volta attuale e universale.

(Marco Bertazzoli, 2017)

Contributo artistico di Robert Rauschenberg

Robert Rauschenberg (Port Arthur, 22 ottobre 1925 - Captiva Island, 12 maggio 2008) esplora il proprio mondo artistico non limitandosi alla sola pittura. Le opere di Rauschenberg hanno una loro unicità, determinata dal modo in cui l'artista sceglie e accosta gli elementi dei collage, nonché da quegli aspetti che le distinguono dalla più fredda Pop art, ovvero il risultato dato dalle parti dipinte a mano, la sovrapposizione del collage, le immagini in composizione reticolare libere e le imperfezioni del processo serigrafico. Agli inizi degli anni sessanta inizia a sperimentare i disegni e i dipinti con il transfer. Nel 1962 andò a trovare Andy Warhol nel suo studio e conobbe il metodo serigrafico applicato alla pittura, che iniziò presto a sperimentare e ad usare. L'uso di un mezzo di riproduzione commerciale dell'immagine come la serigrafia e la forte presenza di immagini tratte dalla stampa indussero i critici di allora ad identificare Rauschenberg con la Pop art, apparsa in quegli anni sulla scena newyorkese. Giunse in Europa nel 1964. Le esperienze maturate nei viaggi compiuti in Italia, in Francia, a Gerusalemme e in India si riflettono in queste opere create tra il 1970 e il 1976. Ha vissuto e lavorato a New York ed a Captiva Island, in Florida dove muore il 12 maggio 2008. Robert Rauschenberg vince nel 1964 alla Biennale di Venezia dove viene definitivamente proclamato il successo della pop art americana.

Nota biografica

Rauschenberg nacque come Milton Ernest Rauschenberg a Port Arthur, in Texas, figlio di Dora Carolina e Ernest R. Rauschenberg. Suo padre era di discendenza tedesca e indiana Cherokee e sua madre di discendenza anglosassone. I suoi genitori erano cristiani fondamentalisti. Rauschenberg era afflitto da dislessia.
A 16 anni Rauschenberg venne ammesso all'università del Texas dove cominciò a studiare farmacia. Venne chiamato alle armi nella marina militare degli Stati Uniti nel 1943. Con sede in California, fece servizio come tecnico all'ospedale psichiatrico fino al suo congedo nel 1945.
Rauschenberg studiò all'istituto d'arte della città del Kansas e all'Académie Julian a Parigi, in Francia, dove incontrò la pittrice Susan Weil. Nel 1948 Rauschenberg e Weil decisero di frequentare il Black Mountain College nel North Carolina.
Josef Albers, un fondatore della Bauhaus, diventò l'istruttore di pittura di Rauschenberg al Black Mountain. I corsi preliminari di Albers fanno affidamento su rigide discipline che non permettevano nessuna “sperimentazione non influenzata”.
Dal 1949 al 1952 Rauschenberg studiò con Vaclav Vytlacil e Morris Kantor all'Art Students League di New York, dove incontrò i colleghi artisti Knox Martin e Cy Twombly.
Rauschenberg sposò Susan Weil nel 1950. Il loro unico figlio, Christopher, nacque il 16 luglio 1951. Divorziarono nel 1953. Secondo una storia orale del 1987 del compositore Morton Feldman, dopo la fine del suo matrimonio, Rauschenberg ebbe una relazione romantica con i colleghi artisti Cy Twombly e Jasper Johns.
Rauschenberg morì il 12 maggio 2008, sulla Captiva Island, in Florida. Morì di arresto cardiaco dopo una decisione personale di staccare il respiratore.

Il “Museo d’Arte Contemporanea Internazionale Senza Tendenze”, nasce da un’idea del maestro Omar Ronda, dalla sensibilità di alcuni collezionisti e molti artisti di fama internazionale che hanno deciso di donare e di mettere a disposizione le proprie opere con il fine di sostenere le attività di prevenzione, cura e ricerca della Fondazione Edo ed Elvo Tempia, da ben 36 anni impegnata nella lotta contro i tumori.
Per questo motivo il MACIST - essendo stato realizzato a beneficio di un ente morale di eccellenza sul territorio - si definisce come museo “etico e democratico”. La sfida etica che si pone il MACIST è quella di valorizzare e far conoscere l’arte contemporanea mondiale, senza tendenze e nelle sue migliori espressioni qualitative, sostenendo al contempo le attività di ricerca oncologica. In tal senso i visitatori del Museo rivestono il ruolo di destinatari di cultura e allo stesso tempo di protagonisti attivi nella lotta contro il cancro. Il MACIST si definisce inoltre come realtà “democratica” per due motivazioni: innanzitutto l’accesso agli spazi museali è completamente libero e gratuito sia per le collezioni permanenti che temporanee; in secondo luogo poiché non è presente una tendenza artistica preponderante tra le opere della collezione permanente. La collezione permanente costituisce un’interessante selezione delle più importanti correnti artistiche contemporanee dagli anni sessanta a oggi: Pop Art, Noveau Réalisme, Avanguardie e Avanguardie storiche, Arte povera, Neoespressionismo, Minimalismo, Transavanguardie, Arte concettuale, Nuovo Futurismo, Iperrealismo, ecc.
Il MACIST è ubicato in una posizione strategica: a Biella, nel rione Riva, all’interno della cosiddetta ”isola della creatività”, a due passi da via Italia, principale arteria del centro città. Lo spazio museale, inaugurato il 14 marzo 2015, è accessibile, liberamente e gratuitamente, nei giorni di sabato e domenica dalle ore 15 alle 19,30, esclusi luglio e agosto.
L’edificio che ospita il Museo, sapientemente restaurato, presenta una superficie superiore ai 700 m2 e si trova all’interno dell’antica “Fabbrica dell’Oro” (1901) di Giuseppe Gualino (padre del più noto Riccardo, grande imprenditore biellese e collezionista d’arte), esempio di archeologia industriale e importante punto di riferimento per quanto riguarda l’arte orafa nell’Italia dei primi del novecento. Gli spazi si compongono innanzitutto di un’esposizione permanente, che raccoglie 130 opere e installazioni di 120 artisti italiani e internazionali (questi ultimi provenienti da ben ventitre paesi diversi).
Il Museo si compone inoltre di una sala per proiezioni video e di una parte destinata esclusivamente a mostre temporanee. Dall’apertura a oggi sono state realizzate una decina di importanti mostre, tutte di grande successo di critica e pubblico: “Andy Warhol & Company”; “Plastica italiana”; “Michelangelo Pistoletto. Opere storiche dal 1959”; “Umberto Mariani: Prima del Piombo. Opere storiche”; “Luca Alinari. Sconosciuti anni Settanta”; “Bertozzi & Casoni. Grandi Ceramiche”; “Omaggio a Plinio Martelli”; “Ugo Nespolo. Opere storiche”.