Rodolfo Aricò
La nuova stagione dello Studio Marconi ’65 si apre con l’esposizione di una tela sagomata di Rodolfò Aricò e di un nucleo di opere su carta realizzate dall’artista negli anni Settanta.
Comunicato stampa
La nuova stagione dello Studio Marconi ’65 di via Tadino 17 si apre con l’esposizione di una tela sagomata di Rodolfò Aricò e di un nucleo di opere su carta realizzate dall’artista negli anni Settanta. Vivace interprete dell’arte del secondo Novecento, Aricò si muove in un linguaggio sospeso tra astrattismo e arte figurativa, sulla scia dell’espressionismo astratto di Arshile Gorky. Da una pittura ispirata al cubismo orfico di Robert e Sonia Delaunay negli anni Sessanta, l’artista sviluppa moduli geometrici per poi giungere all’elaborazione di tele sagomate di grandi dimensioni, “pitture-oggetto”, sulle quali stende un colore piatto e omogeneo, trasformando il supporto neutro in un oggetto artistico dotato di propria autonomia. Dal punto di vista critico l’opera di Aricò si colloca nel filone della cosiddetta “pittura analitica”, a suggerire un’intima riflessione dell’artista sul suo ruolo e sull’atto del dipingere. Del sottile linguaggio espressivo-emozionale che l’artista matura tra gli anni Sessanta e Settanta fanno parte integrante prospettiva, architettura, struttura e colori monocromi. Aricò dà voce a una sorta di aristocrazia dell’arte, classica e moderna al tempo stesso in cui lo spazio colorato diventa spazio scultoreo e la relazione con l’ambiente un’urgenza costante. La sua opera, sempre in bilico tra pittura, architettura e scenografia, si contraddistigue per la ricorrente ambiguità cromatica in cui i colori, apparentemente uniformi, presentano in realtà molteplici sfumature che trasmigrano l’una nell’altra. In un’intervista a Guido Ballo lo stesso artista afferma che il colore “non è un elemento aggiuntivo, ma costitutivo… che tende sempre all’improbabile, al mutevole, all’esistenza…”.
Note biografiche
Rodolfo Aricò nasce a Milano nel 1930. Dopo aver frequentato il Liceo artistico di Brera con Guido Ballo, si iscrive nel 1950 all'Accademia di Brera e poi alla Facoltà di architettura del Politecnico di Milano. In questi anni compie le prime esperienze artistiche, senza mai smettere di coltivare il suo interesse per l’architettura. Al 1959 risale la prima mostra personale al Salone Annunciata di Milano. Nel 1964, invitato alla Biennale di Venezia, espone un’opera composta da tre grandi tele di forma quadrata disposte diagonalmente. È questo il preludio al primo “oggetto” del 1966, quando la sua pittura comincerà ad acquistare consistenza, organizzandosi su strutture sagomate. Solo nel 1968 però, con la sala personale alla XXXIV Biennale di Venezia, Aricò realizza una vera e propria situazione ambientale in cui emerge chiaramente il carattere strutturale delle sue pitture-oggetto. Negli anni Settanta l’artista diventa per l’Europa un punto di riferimento di quella corrente internazionale che negli Stati Uniti prende il nome di “post-minimal painting” o “pittura analitica” nella definizione italiana, che implica una riflessione intima dell’artista sul suo ruolo e sul fare pittura, completamente distaccato dai condizionamenti della realtà. Nel 1970 è presente al Salone Annunciata e allo Studio Marconi dove espone opere realizzate con la sovrapposizione di vari strati di colore sulla tela. Nel 1974 tiene un'antologica a Palazzo Grassi a Venezia dove riunisce il corpus delle sue opere, tutte concepite sin dal 1968 come un work in progress. Nel 1980 si tiene a Mantova, nella casa del Mantegna la mostra “Rodolfo Aricò. Mito e architettura”. Nel 1986 è invitato a partecipare a una mostra itinerante “1960/1985 Aspetti dell'arte italiana” al Kunstverein di Francoforte, Berlino, Hannover, Bregenz e Vienna. Sempre nello stesso anno invia una struttura alla Biennale di Venezia nella sezione “Il colore”.
Negli anni Novanta si succedono numerose mostre in Italia e all’estero tra cui quelle di Milano, Stoccolma, Colonia, Venezia, Roma. L’artista si spegne a Milano il 22 giugno 2002.