Rubedo
Rubedo è il titolo della mostra che festeggia e inaugura questa nuova direzione, presentando gli artisti che collaboreranno con la galleria.
Comunicato stampa
La galleria Menhir arte Contemporanea ha il piacere di presentare, sabato 14 giugno, Rubedo, mostra collettiva a cura di Alberto Zanchetta, che inaugurerà alle ore 19.00 nella sede espositiva di via A. Manzoni, La Spezia.
Menhir, in lingua bretone significa pietra lunga efa, in riferimento alla Lunigiana storica a cui la città appartiene: le statue stele sono infatti dei menhir. La scelta del nome quindi afferma la volontà di valorizzare l’appartenenza al proprio territorio ma, allo stesso tempo, il desiderio di attuare una visione più ampia, attraverso la collaborazione con artisti e maestri internazionali.
La galleria ha iniziato la sua attività espositiva negli anni ’80 e da allora, rappresenta, per il territorio, un punto di riferimento per l’arte e la cultura contribuendo allo sviluppo sociale ed intellettuale della città. Tra gli artisti di rilievo con cui ha stretto collaborazioni, si ricordano Enrico Baj, Joe Tilson, Mark Kostabi ed altri come Ugo Nespolo e Concetto Pozzati.
A distanza di trent’anni, si assiste oggi, ad una nuova fase di Menhir con il passaggio dalla gestione storica del gallerista Alberto Rolla a quella di Sebastiano Calandra, giovane siciliano, stabilitosi nel territorio spezzino dieci anni fa, per aprire la sua prima galleria nelle Cinque Terre. Dopo questo periodo di importanti esperienze e di crescita nel settore è arrivata l’importante occasione per lui di proseguire l’attività di questa galleria storica nel cuore della città di La Spezia.
Rubedo è il titolo della mostra che festeggia e inaugura questa nuova direzione, presentando gli artisti che collaboreranno con la galleria:
Valerio Adami, Natale Addamiano, Massimo Angèi, Domenico Bianchi, Alberto Biasi, Alighiero Boetti, Piero Dorazio, Omar Galliani, Yayoi Kusama, Pino Pinelli, Franz Rögler, Salvo, Emilio Scanavino, Turi Simeti, Giuseppe Spagnulo, Giuseppe Uncini, Gianfranco Zappettini, Giuliano Tomaino.
Ventisei le opere in mostra il cui filo conduttore è il colore rosso che ciascun artista declina, secondo la propria sensibilità, in forme e stilemi propri.
Rubedo è il colore della passione e della devastazione, del focolare domestico, dell'ardore e della regalità. Il colore rosso non lascia indifferenti, rende le persone euforiche o irrequiete. Nella Teoria dei colori, Goethe associa il rosso a “un'impressione tanto di gravità e dignità che di clemenza e grazia”.
Colore della lussuria, delle labbra scarlatte e del cuore, si è tentati di concupire con la mano, le forme ondivaghe di Turi Simeti, vagheggiando corpi astrali-femminili giunti a una sintesi estrema, e per converso alla loro massima sensualità. Per Massimo Angèi la pittura è un Amabile demone, ossia un focolaio di tremori, tensioni, affanni. Nella sua pittura ogni soggetto è ricoperto da un magma che d’emblèe si rapprende e raffredda sulla tela.
Nelle opere di Salvo, tramonti invernali, invasi da un rosa tenue e sensuale, lasciano il posto a paesaggi rinvigoriti dal solleone. Diversamente, nei dipinti di Natale Addamiano i cieli si infiammano all’imbrunire: anche la più fioca scintilla basterebbe a dar fuoco a questa polveriera che alleggia nell’etere. Se la temperatura si abbassa, ecco che Addamiano surriscalda l’ambiente con un accecante crepuscolo.
Quando non è il paesaggio ad ardere, spetta alle case di Tomaino divampare in una calura estiva. Anche il Palais Royal di Valerio Adami si ravviva al tramonto, mentre gli Incantatori di serpenti, si trasformano in domatori di fuoco. Come barriera tagliafuoco, il cemento di Giuseppe Uncini trattiene il fulgore con stoica risolutezza. Viceversa, in Dorazio il rosso retrocede ma allo stesso tempo sovrasta tutti gli altri colori, fino ad assorbirli in sé. Le immagini di Galliani sono lingue d’ignea energia, effigi della sostanza più sottile e mobile: il fuoco, fonte di luce e calore. Lo stesso ardore in pectore si trova nelle opere di Pino Pinelli e Gianfranco Zappettini, ove il colore è flottante, simile a una vena recisa.
Ne scaturiscono dei coaguli che gli artisti chiamano “Trame e orditi” di “Pitture rosse”. Non dissimili i rilievi di Alberto Biasi, con quelle lame (di rasoio) che tagliano lo sguardo e la carne, causandone il deflusso ematico. Nell’opera di Domenico Bianchi le volute di colore non sono quelle del rosso ma della Rubedo, l'ultima fase nel processo alchemico che conduce all'opus. Nelle opere di Emilio Scanavino l’ignea cromia fa invece da sfondo al brulicare della Nigredo, intreccio gordiano che vuole darsi una forma compiuta.
Prometeo rubò il fuoco per donarlo all'umanità. Rovente e apocalittico, Giuseppe Spagnulo cerca di imbrigliare questo rosso-fuoco nelle sue carte (prima che si infiammino definitivamente). Anche l’arte della “sacerdotessa dei pois” è intrisa/intessuta di ansie, angosce, paure; le Infinity Nets di Yayoi Kusama si allargano all’infinito, capaci di far trascendere lo sguardo verso l’ignoto, in uno spazio assoluto, fatto di pura luce. Nella lapide di Salvo è incisa la frase Gettare via, quasi a voler trovare la vena da cui far stillare il colore. Le parole si imprimono nella levigatezza del marmo bianco – parrebbero addirittura ustorie e cauterizzanti. Lo stesso dicasi dei calendari di Alighiero Boetti, ogni numero è rosso, quel rosso che da sempre funesta i quaderni di scuola, campo di battaglia in cui tutti noi abbiamo assistito allo sterminio degli errori. Verrebbe da chiedersi se il tentativo di Michael Rögler, mentre crea danze in punta di pennello ove i lapilli di colore vibrano creando il proprio campo cromatico, non sia tanto quello di fare tabula rasa, quanto semmai di ottenere una “tabula arsa”.
La mostra è un progetto di Menhir Arte Contemporanea, realizzata a cura di Alberto Zanchetta.
La galleria ringrazia la Cantina 5 Terre per il prezioso contributo e tutti gli artisti, in modo particolare: Addamiano, Angèi, Biasi, Galliani, Pinelli, Simeti, Zappetini e Tomaino, che saranno presenti all'inaugurazione.