Ruben Montini – Dove sto con me
Mostra di Ruben Montini ,”Dove sto con me”.
Comunicato stampa
Il progetto sarà accompagnato dal testo “Dare ragione a Kant”, di Lorenzo Bernini
Ciao Ruben, “Dove sto con me” è la tua prima mostra personale da prometeogallery, durante la quale presenti il tuo progetto “SOLO”. Ci racconti qualcosa su di te, sulla tua pratica artistica e sui tuoi progetti futuri?
Quello che faccio non voglio chiamarlo “pratica artistica” perché è veramente connesso, anzi si inserisce completamente, nella mia vita. Anche la mia scelta di avere lo studio in casa dimostra questa continuità e continua sovrapposizione. Lo spazio che abito è anche lo spazio in cui penso e produco il mio lavoro. L’attività del ricamo oggi occupa gran parte delle mie giornate. Questa è sempre stata considerata storicamente un hobby o un passatempo che svolgevano le signore quando si riposavano dopo una giornata di lavoro fuori casa, dopo aver finito i lavori domestici o mentre guardavano la TV. Tuttavia, sempre più spesso, è utilizzata come vero e proprio lavoro, come strumento catartico o come metodologia artistica indipendentemente del genere della persona che lo esercita. Ad esempio, io lo annovero come attività quotidiana da quando avevo iniziato a praticarlo per la performance “E’ tutto qui. Dove sto con me” (2013). Questa “attività” è entrata a far parte della mia quotidianità qualche anno fa, dapprima con un intento citazionista nei confronti di Maria Lai e, subito dopo, come una lunga performance in cui cercavo di appropriarmi di quel cliché legato appunto alla figura domestica della donna. Ho portato all’estremo questo che per molti era considerato un hobby, a un estremo così esasperato che si è inserito appieno nelle mie giornate. Inizialmente, ricamavo direttamente su progetti per arazzi sardi: anziché usarli come tracce, ricamavo direttamente sopra i disegni su carta che indicano la strada da seguire per le altre persone. Per me diventavano, e lo fanno talvolta ancora, la strada stessa. Perdono il loro significato e il loro obiettivo decorativo per diventare soltanto un mero pretesto per svolgere l’attività del ricamo. Oggi, invece, sempre di più, ricamo o cucio sui miei vestiti, sulle mie lenzuola, asciugamani.. su cose che io ho usato e che trasudano del mio vissuto quotidiano. Che siano vestiti che indosso raramente per uscire piuttosto che indumenti usati durante l’azione del ricamo stesso, poco importa. Ma penso che parlino maggiormente di me. Forse dicono poco, e forse non c’è molto di speciale da dire, ma è pur sempre la storia di una persona che attraversa questo decennio. In questo senso diventano materiale d’archivio forse, o futili testimoni di storie che vanno e vengono o di paure condivise, con la loro capacità di fissare anche visivamente la storia di ciascuno di noi. Allo stesso tempo, sono convinto che riuscire a raccontare la mia vita senza gli artifici che la storia e la storia dell’arte, anche quella queer, hanno sempre usato, sia un gesto politico straordinario perchè rende il tutto normale. Se io racconto la mia quotidianità per quello che è, nessuno potrà mai interpretarla come un qualcosa di extra-ordinario: riuscire a raccontare una storia d’amore omosessuale in maniera normale è politicamente molto più forte e incisivo rispetto all’ostinarsi a raccontare le minoranze sessuali come qualcosa da rispettare perché diverse. La normalizzazione della diversità è un’arma incredibile. Infatti, quella che alcuni potrebbero chiamare la mia “diversità” per me è l’unica realtà che conosco: dunque la mia normalità.
Tra pochi giorni avrei dovuto realizzare una performance presso l’Università di Verona durante la giornata inaugurale del seminario “Queerizzare le teorie e le pratiche anglo/italiane. Le teorie anglofone nel contesto italiano ed il pensiero dissidente italiano”, organizzato QuIR (Queer Italia Network/Rete) e finanziato dallo Arts and Humanities Research Council (UK) in collaborazione con PoliTeSse. La performance che avrei dovuto presentare e che purtroppo è stata posticipata, s’intitola MADRE e l’ho concepita come un dialogo estremante intimo tra una (ipotetica) madre - io - e un (ipotetico) figlio, che mai potrò partorire. Un progetto che racconta il desiderio di essere genitore che si scaglia contro la realtà del mio corpo biologico.
L’opera “SOLO”, che presento nella Project Room della galleria, ha a che fare - in un certo senso - anche con questo: mentre ci lavoro, cucendo insieme tutti i miei vestiti nel tentativo di creare uno spazio per me, un rifugio, una sorta di pelle in cui potermi rifugiare, mi accorgo che se potessi avere dei figli probabilmente alcuni dei vestiti li terrei per poi lasciarli a loro: alcune cose molto particolari, ad esempio la cravatta che indossavo quando feci da testimone di nozze a mia sorella, piuttosto che il primo cappotto che mi comprai con i primi soldi guadagnati dalla vendita di un mio lavoro. Quelle piccole cose che i genitori conservano e poi passano ai propri figli. Questa azione del ricamare così prolungata nel tempo sta diventando un luogo per pensare, un luogo in cui sto con me e solo con me (da qui il titolo della performance “E’ tutto qui. Dove sto con me”, che cita un verso di una canzone di Patty Pravo). Ultimamente penso che questa sorta di archiviazione dei miei vestiti sia anche una sorta di inventario, di conta dei miei averi più prossimi: quelli che, appunto, indosso quotidianamente. Un modo per fare ordine; o per mettere un punto. Lo stesso lavoro SOLO avrà un suo secondo momento, il 17 Maggio, quando lo userò all’interno della performance sonora SOLO (adagio) presso Begijnhofkerk a Bruxelles, all’interno di BANG! Festival curato da Joris Van De Moortel.
Per quanto riguarda i progetti futuri, sto lavorando a Questo Anonimato E’ Sovversivo, un lavoro a più tappe che inizia a fine Aprile presso la Royal Needlework School di Londra e che poi porterò al Museum Europäischer Kulturen di Berlino a giugno e, infine, in autunno, al MAN di Nuoro. Un progetto che coinvolge diverse istituzioni e diverse persone durante la performance: una sorta di ricamo collettivo a distanza, innescando meccanismi di collaborazione e co-operazione tra individui che non si conoscono e che probabilmente
mai si incontreranno, ma nel cui sviluppo mantengo comunque una forte componente autoriale e le cui tappe sono costituite dalla mia terra d’origine, la città in cui mi sono formato e la città in cui risiedo, tutti luoghi fondamentali nella mia vita.
17 maggio – live streaming da Begijnhofkerk a Bruxelles, all’interno di BANG! Festival curato da Joris Van De Moortel e Davide Bertocchi.
Milano – Berlino 21 aprile 2017
Ruben Montini (Oristano - Italia, 1986) vive e lavora a Berlino.
Dopo essersi laureato in Arti Visive all’Accademia di Belle Arti di Venezia e aver studiato alla Manchester Metropolitan University, nel 2010 ottiene un MA in Fine Arts presso il Central Saint Martins College of Art & Design di Londra.
La sua ricerca artistica racconta principalmente il suo vissuto personale attraverso la realizzazione di performance e di opere oggettuali intrise del suo vissuto, contestualizzando il suo operato all’interno del dibattito contemporaneo e delle nuove geografie politico-sociali europee con una attenzione particolare per le teorie queer e le minoranze Lgbtq. Ha partecipato a numerose mostre internazionali, in istituzioni pubbliche e private, tra gli altri: "Questo anonimato è sovversivo", Museum Erophäischer Kulturen - Berlino e MAN - Nuoro (upcoming); “Cosa Resta di Noi”, CloTHINK, con Dr Wessie Ling e Dominic Smith, Northumbria University, Newcastle Upon Tyne (2016); “Lupa”, Caffè Internazionale, Palermo (2016); “Pomada" Museum for Contemporary Art Ujazdowski Castle, Varsavia (2015); “Vanità/Vanitas” Museo Ettore Fico, Torino (2015); “Cosa Resta di Noi - Requiem” (solo) Oratoire du Louvre, Parigi (2015); "Turtle Salon in the Forest", Fargfabriken, Stoccolma; "Bienal del Fin del Mundo", Buenos Aires (2014-2015); ArtStays, Ptuj – Slovenia (2014); “Teoremi", Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce, Genova (2014); “Piece", Teatro Studio Krypton, Scandicci – Firenze (2014); "Microutopias of the everyday” and "Theatre of Life", Co Ca Znaki Czausu, Torùn – Polonia (2013 – 2012); "Piccolo Festival", Università di Trento (2012); "Luce e Movimento", Signum Foundation per la Biennale di Architettura, Venezia (2010); “Realpresence", Castello di Rivoli, Torino (2008) e MKG, Belgrado (2008).