Sassoferrato. Dal Louvre a San Pietro
Dopo più di due secoli torna a casa L’Immacolata Concezione, capolavoro di Giovan Battista Salvi detto il Sassoferrato. La magnifica pala, oggi nel Museo del Louvre, venne trasferita in Francia da Dominique-Vivant Denon, direttore del Musée Napoleon; da allora non è più rientrata in Italia. Era tra i tesori della millenaria abbazia benedettina di San Pietro a Perugia.
Comunicato stampa
Dopo più di due secoli torna a casa L’Immacolata Concezione, capolavoro di Giovan Battista Salvi detto il Sassoferrato. La magnifica pala, oggi nel Museo del Louvre, venne trasferita in Francia da Dominique-Vivant Denon, direttore del Musée Napoleon; da allora non è più rientrata in Italia. Era tra i tesori della millenaria abbazia benedettina di San Pietro a Perugia.
A ottenere il rientro dell’opera, naturalmente temporaneo, è stata la Fondazione per l’Istruzione Agraria, presieduta dal Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Perugia, professor Franco Moriconi.
L’ Immacolata Concezione del Louvre sarà esposta accanto a una quarantina di dipinti, in parte di Sassoferrato in parte di famosi maestri ai quali l’artista si ispirò.
“In mostra saranno presenti capolavori del pittore marchigiano provenienti da varie raccolte pubbliche e private italiane e straniere. Si potranno ammirare, fra l’altro, tutte le opere eseguite del Salvi (ben 17) eseguite per il complesso benedettino di San Pietro” sottolinea la professoressa Cristina Galassi, curatrice della mostra insieme a Vittorio Sgarbi. Ma accanto alle opere del Sassoferrato verranno esposte anche opere di Pietro Perugino, il grande maestro umbro lungamente studiato da Sassoferrato.
“L’intento, evidenzia la Curatrice, è quello di far capire quanto il pittore rinascimentale abbia influito sulla visione dell’artista seicentesco, a cominciare dalla purezza formale delle immagini”. Pari interesse Sassoferrato riservò alle opere umbre di Raffaello. In mostra vengono messe a confronto due copie della Deposizione Borghese di Raffaello, la prima di Orazio Alfani, la seconda di Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino, provenienti dalla Galleria Nazionale dell’Umbria, con la bella versione dipinta da Sassoferrato nel 1639.
Uno spazio significativo viene riservato anche alla cosiddetta Madonna del Giglio, immagine devozionale che assicurò grande notorietà al Sassoferrato: se ne presentano tre versioni: le prime due provengono da Modena e da Bologna, la terza è di proprietà della Fondazione. In queste opere l’artista riprende un’antica immagine di culto realizzata da Giovanni di Pietro detto lo Spagna, dotatissimo seguace di Perugino e Raffaello.
“Di fronte a opere del genere – continua la professoressa Galassi – gli studiosi si sono legittimamente chiesti fino a che punto la pittura di Sassoferrato debba essere considerata originale. In realtà, e la mostra lo conferma in pieno, sarebbe sbagliato considerare il Salvi un mero imitatore, perché, come ha acutamente osservato Federico Zeri, egli non si limita a copiare le opere degli artisti presi a modello ma aggiunge sempre la sua personale interpretazione. Ciò emerge chiaramente dal confronto tra la bellissima Maddalena del Tintoretto e la versione di mano del Sassoferrato, dove le forme turgide e quasi sensuali del pittore veneto vengono riproposte dal Salvi con un linguaggio più asciutto e temperato. In mostra non mancano, d’altra parte, opere in cui l’artista si palesa in tutta la sua eccezionale originalità. Ecco dunque la Giuditta con la testa di Oloferne, un dipinto che non è esagerato includere tra i capolavori del Seicento italiano, la grande Annunciazione della Vergine, opera di rara finezza esecutiva, i santi Benedetto, Barbara, Agnese e Scolastica, lavori in cui l’artista, pur rispettando l’autorità dei modelli, mette da parte ogni forma di deferente imitazione. Esemplare, in tal senso, è anche la Madonna con il Bambino e Santa Caterina da Siena, concessa dalla Fondazione Cavallini Sgarbi, autentico vertice della pittura religiosa del Seicento”.
Tutte le opere del Salvi conservate in San Pietro furono commissionate dall’abate Leone Pavoni che resse per lunghi anni la comunità benedettina di San Pietro. Era di sua proprietà la magnifica Santa Francesca Romana con l‘angelo, oggi custodita nella sagrestia della Basilica, per lunghi anni attribuita a Caravaggio, in realtà capolavoro di Giovanni Antonio Galli detto lo Spadarino, uno degli interpreti più fedeli del maestro lombardo. In omaggio all’ abate Pavoni, singolare figura di committente e collezionista, anche questa tela farà parte del percorso espositivo.
Lo studio sistematico delle opere esposte, in aggiunta ad alcuni documenti inediti emersi dalle carte custodite nell’archivio della Basilica e alla pubblicazione di nuove fonti utili per la ricostruzione della vita del Sassoferrato, confluiranno in un ricco catalogo a stampa che si è posto l’obiettivo di ridare nuova luce a un artista efficacemente definito da Adolfo Venturi aveva “un quattrocentista smarrito nel Seicento”.
La collaborazione con il Museo del Louvre, con la Galleria Nazionale dell’Umbria, con la Galleria Nazionale delle Marche e con altre istituzioni pubbliche e private, come dichiara il Magnifico Rettore “accrescerà l’interesse per un formidabile artista del Seicento italiano ma rilancerà, al tempo stesso, il complesso di San Pietro, seconda realtà museale dell’Umbria dopo la Galleria Nazionale dell’Umbria nonché luogo che tuttora emana il fascino della sua storia millenaria”.
La mostra è realizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Perugia e la Regione Umbria, e si avvale del patrocinio del comune di Perugia. La realizzazione è resa possibile grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia e della Regione Umbria.
Un ricco catalogo a stampa pubblicato per l’occasione dall’editore Aguaplano raccoglierà lo studio sistematico delle opere esposte, in aggiunta ad alcuni documenti inediti emersi dalle carte custodite nell’archivio della Basilica e di nuove fonti utili per la ricostruzione della vita del Sassoferrato.