Savage Humans
L’esplorazione delle dinamiche che si creano dall’incontro di due visioni dell’odierna “giungla urbana” permette di constatare quali siano le diverse possibilità di rappresentazione degli impulsi e degli stati d’animo che essa suscita.
Comunicato stampa
IT’S A JUNGLE OUT THERE:
TRA DESIDERIO E INQUIETUDINE
L'esplorazione delle dinamiche che si creano dall'incontro di due visioni dell’odierna "giungla urbana" permette di constatare quali siano le diverse possibilità di rappresentazione degli impulsi e degli stati d’animo che essa suscita. Nelle opere di Narcisa Monni e Vincenzo Pattusi la forza espressiva si contrappone al fragile sentimento umano che si rivela nell’atto della creazione: l’uomo e la bestia che perde e che vince.
Questo dualismo rimanda al rapporto che intercorre tra la vittima e l’aggressore, i cui ruoli possono essere facilmente interscambiabili. Il termine vittima deriva dal latino victima, che originariamente significava “cibo offerto agli dei”, ma anche da vincire, che indicava il termine “legare”, per designare come la vittima, animale o umana, venisse legata sull’altare per il sacrificio alle divinità. In ambito psicologico per vittima s’intende chi “conserva dentro di se il dolore, trasformandolo in manipolazione, e la rabbia che non riesce, o che non vuole esprimere, diviene affermazione del suo bisogno di amore, attraverso un’assoluta dipendenza”[1]. il termine aggressore deriva anch’esso dal latino, e significava “andare verso, accostarsi a qualcosa”. Col tempo però ha assunto un significato carico di valenze ostili: “sopraffare con intenzione malevola”[2]. Secondo Freud l’aggressività è “una pulsione primaria in cui l’aggressore proietta sulla vittima e sul mondo le parti rifiutate di se stesso e la sua integrità psichica si ricompone solo in presenza di un contrario di cui ha assolutamente bisogno per esistere”[3].
Nell’arte contemporanea, l’ utilizzo di contenuti che spaziano dal dolore all’angoscia, fino ad arrivare alla violenza, può essere riconducibile a una reazione di insofferenza nei confronti della cultura proposta dal conformismo diffuso nel mondo globalizzato. Nell’era della multimedialità e dei conflitti legati dell’avanzare della recessione in Occidente, le proposte artistiche che evidenziano, anche in termini di denuncia, problematiche inerenti i rapporti di potere politico, i conflitti sociali e le discriminazioni di genere sono in continuo aumento. Parallelamente all’ascesa di queste tematiche, bisogna tuttavia registrare anche l’emergere di espressioni legate a un malessere individuale che non hanno niente a che vedere con slanci utopici o rivoluzionari, ma che al contrario tendono a riscattare momenti della vita quotidiana. Le opere proposte da Narcisa Monni e Vincenzo Pattusi appartengono decisamente alla seconda categoria. Comune ai due artisti è infatti l’evocazione di un clima di incertezze che oscilla tra scatti reattivi e stati di frustrazione morbosa, in cui il desiderio si trasforma in fascinazione verso la sofferenza, dando vita a un’inquietudine in cui gli impulsi primordiali prevaricano sulla ragione. La bestie e l’uomo si scontrano e s’ incontrano, lontani dalle convenzioni etiche e morali, all’interno di un spazio privilegiato, quello dell’arte, per una negoziazione dei ruoli alla ricerca della consapevolezza del proprio essere, sia nella negazione che nell’ossessiva affermazione del proprio io.
Nel lavoro di Vincenzo Pattusi è presente un chiaro riferimento all’immaginario proposto dai mezzi più popolari di comunicazione come i fumetti, la pubblicità, i film e i video musicali. L’artista dichiara di essere molto “legato alla manualità del fare arte, creare dal nulla qualcosa che altrimenti non sarebbe esistito” e di “sentire l’esigenza di immagazzinare immagini” che rielabora attraverso un movimento di appropriazione ossessivo, compulsivo, incessante, rivolto all’utilizzo dei supporti più disparati. Le strategie impiegate richiamano quelle provenienti dalla street art: tinte piatte, pittura spray, tag, poster, sticker, stencil che gli consentono di sviluppare delle originali installazioni. Dietro alle forme e all'evoluzione dei personaggi c'è un lungo studio, fatto di bozzetti preparatori che traggono ispirazione dall'ambiente circostante. Nelle opere di Vincenzo Pattusi vediamo il mondo con l’occhio della mente: le immagini risultano filtrate dal subconscio, così come accadeva per i surrealisti; la rappresentazione dà vita a creature che alternano slanci irruenti a toni decisamente più innocui e rassicuranti. L’artista ci fornisce così la sua personale interpretazione dell’umanità contemporanea in tutta la sua moltitudine di razze, forme e colori.
Nelle opere di Narcisa Monni emerge un graduale ripensamento di stati emotivi che variano dall’indifferenza alla rassegnazione e dalla rabbia al dolore. Attraverso un nucleo poetico variabile, che si basa sulla su una rappresentazione soggettiva del mondo entro una cornice fatta di segni e sguardi quotidiani, i suoi lavori rivelano un sofferto racconto di vita, reso con toni dimessi. L’unico elemento dinamico proviene dall’ esplosione delle tinte utilizzate, che creano un contrasto tra forma e contenuto. L’assenza di riscatto affiora dalle bestie e dagli insetti, spesso con tratti umani, che vivono il loro malessere inermi e senza alcuna partecipazione emotiva. La possibilità di esistere e la probabilità di non esistere si contrappongono e convivono nello stesso spazio; le pretese si impongono sotto la luce di un vissuto leggero, composto dai sentimenti e dalle possibilità della loro rappresentazione, attraverso una serie di autoritratti dalle sembianze animali. Seppure all’apparenza possano creare reazioni di disgusto o evocare sensazioni di pericolo, queste immagini si caratterizzano in realtà soprattutto per il loro sguardo di sottomissione, da cui traspare la consapevolezza di non aver più niente da perdere.
Savage Humans si presenta come una zona oscura, fatta di impulsi primordiali, in cui i ruoli di vittima e aggressore si alternano tanto nell’ uomo quanto nella bestia.
Davide Mariani