Schifano&Lehnert&Landrock – Per costruzione di oasi
L’École des Italiens presenta a Domodossola, via Mellerio 2, Per costruzione di oasi. “Schifano&Lehnert&Landrock
Comunicato stampa
l’École des Italiens presenta a Domodossola, via Mellerio 2,
Per costruzione di oasi. “Schifano&Lehnert&Landrock”
Testo di Davide Brullo
Catalogo Mme Webb
Elogio dell’esotismo
L’esotismo è la prima spremitura del sogno. Imbustato in fiale. Come una droga. Chi lo dileggia è rimbambito dall’incubo – multitonante – dell’utile. L’esotico, sbrindellato dall’accademia, diventa una branchia scientifica: sociologia, antropologia. Antropofagia della facoltà fantastica.
L’esotismo, in effetti, è un passo prima del fantastico. Senza l’esotismo non solo non avremmo il catastrofico tour sul Battello ebbro di Rimbaud – il quale, quando andò ad abitare l’esotico, nell’Africa ignota, pensò che era meglio sognarlo – “la verde notte di nevi abbagliate”, “il sole basso macchiato di mistici orrori”, “ghiacciai, soli d’argento, cieli incandescenti”, “siderali arcipelaghi”, ma neppure le tigri di Rudyard Kipling, i bungalow di Joseph Conrad, l’onniscienza di Jorge Luis Borges, che divorava e reinventava miti australi per fame bibliomantica. D’altronde, non bisogna essere mercanti o frati medioevali per sapere che, sempre, dietro l’orizzonte ceruleo, si nascondono cani a tre teste, donne con la testa di leone, fate turchine e passaggi a nord-ovest.
Per altro, il ghirigoro etimologico è chiaro: ‘esotico’ esonda dal vocabolario greco. Vuol dire, ‘che viene da fuori’. Vuol dire ‘straniero’. Lo straniero è strano, estero, esotico. O lo sogni, detergendo la realtà di sfingi – o lo uccidi.
Quando il Turco pretese il Giambellino alla sua corte, Giovanni, l’inventore della pittura del Rinascimento, spedì a Costantinopoli il fratello Gentile. Costui realizzò un ritratto di Maometto II, “che pareva vivissimo; al quale, come cosa inusitata, pareva questo più tosto miracolo che arte”. Il miracolo dell’arte occidentale è dar vita alle proprie immaginazioni. Dar vita all’immagine. Fottere la realtà reinventandola – gli orientali, a contrario, tramite la mania dell’arte inventano un’altra realtà, l’opposta. Gentile, secondo la testimonianza di Vasari, stordisce di meraviglia il Sultano, “non poteva immaginarsi che e’ non avesse qualche spirito divino addosso”. Tornato a Venezia, Gentile ubriacò i compatrioti con un capolavoro dell’esotismo, la Predica di san Marco ad Alessandria d’Egitto. Tra dogi, visir, notabili rinascimentali, saggi musulmani, stuoli di donne incappucciate, dromedari e giraffe, in una raffigurazione gigantesca e fantascientifica, senza pastoie cronologiche né filologiche, a occupare la scena, affollatissima, non è Alessandria, ma “lo edificio di Santa Sofia di Costantinopoli, oggi moschea de’ Turchi; è tirato in prospettiva, cosa veramente difficile e bella per molte parti che si veggono che egli ha fatto scoprire in quello edificio”. Già avventurieri scaltri, avvezzi ai racconti della famiglia Polo, per i veneziani l’esotismo diventò il pasto quotidiano.
D’altronde, senza l’arte del Giappone – crittogramma divino e presunzione di graphic novel – che irrompe a Parigi in folto Ottocento con mostri marini, samurai, onde marmorizzate e donne enigmatiche, non avremmo i ponti sospesi di Monet né i furori di Van Gogh. Senza l’arte ‘negra’ non avremmo il più muscolare Picasso. Per André Malraux, vivace romanziere e scaltro sapiente, l’arte è un museo immaginario che va dai graffi di Lascaux agli idoli fabbricati a Giava, dai feticci boscimani ai cubismi di Braque ai titanici Buddha cinesi, con quel sorriso che uccide, quella quiete che soffoca. Dall’esotismo – cioè, l’incontro dell’occhio occidentale con lo strano, lo straniero, l’estero – nasce la grande arte. O il grand tour.
L’uomo occidentale sente il tramonto dentro di sé. Percepisce la morte come un morso. Non vuole morire. Per questo sbraita, sbanda, arranca, arremba, corre. L’uomo occidentale corre. Per schivare di un grammo la morte fa, agisce. Corre. Audace. Spesso incapace. Inquieto. Rapace. Se resta in Occidente eleva grattacieli e s’inventa la Borsa – spera che alla fine la morte si lasci convincere, fissi un prezzo, piglia i soldi e se ne va. Altrimenti, va in qualsiasi altrove. Il profumo dell’esotico lo sfinisce – senza finirlo. Feaci che ti convincono che il passato è vetro, il futuro è vergine, la morte non esiste. Poi, l’uomo occidentale, che ha creduto in milioni di Eden, distrugge tutto. Passa a filo di spada la conquista. Fa esplodere Hiroshima mentre ammira Hiroshige. Deve sgozzare l’Eden, dissangua l’eros dell’esotico. Si sorprende, infine, di essere così cattivo. Il pentimento tardivo dell’esotismo si chiama antropologia. L’immaginazione diventa accademia. Seconda morte.
Era un laboratorio dei sogni. Coscritti – classe 1878 – avevano stabilito lo studio a Tunisi, nel 1904. Si erano incontrati in Svizzera quell’anno. Entrambi afflitti dalla febbre mediorientale. Un austriaco e un tedesco. Pensarono che l’arte è anche l’arte di vendere un sogno. L’idea – d’altronde, con ogni alato rispetto, che è Aida di Giuseppe Verdi o Madama Butterfly di Puccini o la Carmen? Cosa sono i canti di Ossian, le traduzioni in inglese del savio persiano Kayyahm, i sublimi maomettani di Jean-Léon Gérôme se non esotismo che fa reddito? – funzionò. Rudolf Lehnert scattava. Franz Landrock piazzava. Le fotografie impilano donne dalla pelle di bronzo, di animalesca bellezza, sorrette da un velo, con orecchini, turbanti e monili di stupefacente eleganza. Poi ci sono vecchi che sembrano custodire tra le mani la parola in grado di fare lo sgambetto a Dio. Edifici pieni di aria, tappeti, le Mille e una notte in formato Baedeker. Menzogna? Signori: nessuno viaggia per vedere ciò che ha sotto gli occhi. Il viaggio è una esperienza iniziatica, fatta per vedere quanto il reale sia suggerito dal sogno, per andare al di là della forma. L’al di qua, sappiamo tutti com’è: ad ogni latitudine l’uomo è lo stesso, caga, copula, uccide; sui panorami passa lo stesso sole, si alternano le medesime stagioni, tutto nasce e tutto muore, tutto piove alla vita e si disgrega nel Lete. La sterzata esotica ci dà il brillio che dentro un corpo di donna berbera, mollemente adagiato sui cuscini, non ci sia solo la carne, ma il segreto di una vita diversa. Ogni scatto pare definitivo: come lo sguardo di Orfeo su Euridice. Il poeta perderà per sempre la sua amata – ma quello sguardo, indelebile, vale ogni perdita.
Dopo la Prima guerra, Lehnert&Landrock, i fratelli Grimm del primo Oriente, trasferiscono lo studio a Il Cairo, dove lavorano insieme fino al 1930. Le loro cartoline esotiche hanno un successo clamoroso. Fanno sentire il sentore d’Oriente a Berlino e nelle stantie stanze di Stoccarda. Stoccano meraviglie in una manciata di centimetri quadri di carta. In quello stesso ring di anni, tra l’altro, Thomas E. Lawrence pubblica I sette pilastri della saggezza, più che un romanzo storico o un reportage-fiume, il napoleonico pilastro dell’esotismo moderno. “Ti amavo, perciò ho sospinto queste fiumane d’uomini/ tra le mie mani ed ho scritto la mia volontà/ sul cielo, come stelle”, attacca la poesia a S. A., che apre il libro. Un talismano per viaggi oltreumani.
Le palme sono ovunque. Nelle immagini di Lehnert. La palma che sborda dalla Santa Sofia reinventata da Gentile Bellini. Fino alla palma ossidata di Mario Schifano. La palma simula il palmo della mano. Sotto una palma puoi cartografare il tuo destino, è detto. Un tempo l’uomo occidentale a mani nude afferrava i suoi sogni e i suoi deliri. Sfrenato dall’esotico. Con dita simile a lame, mani che sanno impastare la verità congiurando il sogno. “Sboccerà come palma il giusto” (Sal 92, 13); “Tutti in piedi davanti all’Agnello, in vesti bianche, agitavano rami di palma” (Ap 7, 9). Oggi si aggirano legioni di umani dagli occhi buoi, volti leonini con le mani monche, i sogni segati.