SE #3 – Massimiliano Amati
Dopo le prime due mostre che hanno visto come protagonisti Giulio Bensasson, Lele D’Alò, Robberto Atzori, e Sergio Salomone, Galleria 291 est conclude la programmazione del progetto dedicato ad artisti emergenti SE, a cura di Roberto D’Onorio e Vania Caruso, con la personale di Massimiliano Amati dal titolo RE.
Comunicato stampa
Dopo le prime due mostre che hanno visto come protagonisti Giulio Bensasson, Lele D’Alò, Robberto Atzori, e Sergio Salomone, Galleria 291 est conclude la programmazione del progetto dedicato ad artisti emergenti SE, a cura di Roberto D’Onorio e Vania Caruso, con la personale di Massimiliano Amati dal titolo RE.
SE rispecchia la volontà della Galleria 291 est di avere un occhio attento alle libere espressioni tuttora distanti dal peso e dalle convinzioni dell’attuale sistema. A tal fine gli appuntamenti programmati aderiscono all'individuazione di possibili identità in cammino verso una progressiva ricerca di metodo e forma. L’esposizione limitata a sette giorni rappresenta uno strumento analitico aperto all'indagine antinomica dell’arte presente, dando respiro alle possibilità che nascono dalla cooperazione e la ricerca di diversi operatori.
Il Tempo non è fuori di noi o dentro di noi. Il tempo è la prima architettura che l’uomo s’è dato per poter abitare. Di questo tempo Massimiliano Amati guarda al legame profondo tra l’esperienza e la testimonianza, quale intrigo vitale per concepire l’opera di architettura come risultato nello spazio, datato delle caratteristiche di durata e vissuto. L'interesse ad allontanare il frutto della costruzione dalla condizione di semplice “oggetto” per renderla più vicina all’idea di un “evento”, capace di leggere il mondo non più come prima, scaturisce dagli anni di studio dedicati dall’autore al rapporto tra l’attività umana e la conseguente modifica dello spazio all’interno dell’opera architettonica.
Nel progetto presentato per Galleria 291 est, la corrispondenza tra natura ed artificio, viene testimoniata da un ciclo di opere grafiche connesse visceralmente al luogo di origine e quello che rappresenta nell’evoluzione della civiltà: l’antica Biblioteca di Ninive, voluta dal re assiro Assurbanipal tra il 626 e il 668 a.C. Dal desiderio di immortalità dell’animo umano e la necessità di edificare archivi di memoria, in cui l’oratoria discerne la scrittura, viene rivelato a Gilgamesh Il dono più prezioso che il tempo possa dare, il dono della testimonianza.
In RE l’incontro tra Massimiliano Amati e la rivelazione del regno perduto di Uruk, quale luogo al centro di una nuova dimensione spaziale, religiosa e mentale, per due terzi città e per un terzo giardino, ricalca come proiezione antropomorfizzata l'ego smisurato ed inarrestabile dell'eroe epico, per due terzi di natura divina e per un terzo umana.
L’immaginario generato dalla conservazione, accompagna sensibilmente il processo di traduzione nei tredici lavori grafici, suddivisi in tre dittici, due illustrazioni e quattro acqueforti, quest’ultime dedicate alla tauromachia.
La trasmissione detta informazioni nuove pensate per la natura stessa del racconto, che non è dire qual è il bene o il male, ma è mostrare che non può esserci senso se non in progressione dell’errore, saggezza che trova nell’origine dell’epopea il suo più antico insegnamento. Nella tecnica adottata per le tavole l’imprevedibilità dell’errore viene educata dall’aggiunta in divenire di minuziosi dettagli. Forme geometriche sostituiscono i tratti della rappresentazione epica e i dei suoi personaggi, creando un'inedita iconografia dell’animo umano.
Nei dittici lo statuto che abita il mito è agito a metà tra il ritratto e la maschera. L’ambiguità dell’immagine viene affidata al riconoscimento cognitivo dell’osservatore, mentre la percezione dell’intero all'alternarsi di vuoti e pieni costituiti dalla prossimità dei segni. Il fitto reticolo agisce sospeso nel foglio vuoto, testimone dell’assenza dell’Io e del conseguente avvento del desiderio, lo stesso che matura in Gilgamesh alla morte di Enkidu. Il desiderio appare all’eroe quando non c’è più riscatto dalla condizione animale, di cui è fatta l’essenza del doppio.
L’impossibilità nel sottrarre l’amico alla morte, in quanto testimonianza di sé, è la stessa incapacità di Gilgamesh di trattenere l’albero della vita. A questo proposito, Lucrezio scrive: «L’uomo è come un vaso forato, è un buco che non può essere colmato perché fatto della stessa stoffa di cui è fatto l’uomo». Nel fondo di quel vaso sedimenta quello che Lacan definisce il vuoto del desiderio. Per questo, anche se non ne siamo consapevoli, l’assenza dell’oggetto bramato ci porta ad un’agire irrazionale, paragonabile ad uno stato febbrile e di vertigine, la stessa che anima l’effetto ottico nella rappresentazione del mostro Humbaba.
Il tempo del racconto scelto dall’artista non concerne l’ordine degli eventi sulla base di distanze o di intervalli, né cura le tracce delle descrizione fornite dal testo. La scelta licenzia la costruzione dell’autore lasciando la storia al completamento di chi guarda. La chiave di lettura adottata in mostra è l'elaborazione interpretativa di scene che si contrappongono all’ordine narrativo dell’epopea.
Dalla letteratura in mostra quello che più emerge è un discorso di riuscita anziché di fallimento: Gilgamesh conquista la saggezza, inventa la scrittura e per questo l’umanità acquisisce la speranza. Per trovare il significato più profondo, bisogna diventar capaci di produrre eventi, tracciando l’itinerario oltre gli angusti confini di un’esistenza egocentrica e credere di poter dare un importante contributo alla vita, se non subito almeno in un tempo più o meno lontano.
La mostra sarà accompagnata da un'inedita composizione di suoni primitivi, pensata dal duo Italo Albanese Acchiappashpirt, composto da Jonida Prifti e Stefano di Trapani.
Massimiliano Amati, nato a Locorotondo in Puglia nel 1979, si laurea in Architettura alla Sapienza di Roma e consegue un dottorato in "teoria e progetto d'architettura" presso il DiAP, con una tesi intitolata "Tempo e racconto nell'opera di Architettura ", in cui indaga le relazioni tra costruzione narrativa e processi creativi. Da sempre svolge attività in settori quali il disegno e la performance con particolare attenzione agli aspetti di ricerca del segno e alla costruzione di scenografie e maschere utilizzate in azioni performative pensate ad hoc.
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