Sebastiano Impellizzeri – 37/la stanza dopo
Inaugura 37/la stanza dopo, progetto a cura di Simona Squadrito nel quale le opere di Sebastiano Impellizzeri e m s’incontrano in una sala che non ha un luogo fisico stabilito ma è più che altro una dimensione della memoria della coscienza dei due artisti.
Comunicato stampa
Lunedì 5 ottobre inaugura 37/la stanza dopo, progetto a cura di Simona Squadrito nel quale le opere di Sebastiano Impellizzeri e m s'incontrano in una sala che non ha un luogo fisico stabilito ma è più che altro una dimensione della memoria della coscienza dei due artisti.
La memoria non è la facoltà di classificar ricordi in un cassetto o di scriverli su di un registro. Non c'è registro, non c'è cassetto; anzi, a rigor di termini, non si può parlare di essa come di una "facoltà": giacché una facoltà funziona in modo intermittente, quando vuole o quando può, mentre l'accumularsi del passato su se stesso continua senza tregua. In realtà, il passato si conserva da se stesso, automaticamente. Esso ci segue, tutt'intero, in ogni momento: ciò che abbiamo sentito, pensato, voluto sin dalla prima infanzia è là, chino sul presente che esso sta per assorbire in sé, incalzante alla porta della coscienza, che vorrebbe lasciarlo fuori. La funzione del meccanismo cerebrale è appunto quella di ricacciare la massima parte del passato nell'incosciente per introdurre nella coscienza solo ciò che può illuminare la situazione attuale, agevolare l'azione che si prepara, compiere un lavoro utile.
(H. Bergson, Materia e Memoria, 1896)
Al secondo piano del Louvre, nell’ultima stanza - la numero 36 - su una parete rosa si trova esposto Gilles, il celebre quadro di Jean Antoine Watteau. È in questa stanza che la nostra vicenda ha inizio, ed è qui che Sebastiano Impellizzeri, attraversandola, prende commiato dal suo soggetto. Adesso ci troviamo nella stanza numero 37, una sala che non ha un luogo fisico stabilito ma è più che altro una dimensione fisica della memoria della coscienza dei due artisti in mostra: Sebastiano Impellizzeri e m.
È il tema della memoria, intesa alla maniera di Bergson, che a mio avviso traccia un trait d'union tra i due lavori presentati a Dimora Artica. La memoria che stratifica e accumula i nostri ricordi che emergono nella durata intera del presente.
Questa mostra racconta di come la memoria stessa diventi tema (materia) e struttura (matrice) dell’opera dei due artisti. I sette dipinti presentati da Sebastiano non sono altro che tracce di una memoria presente e si mostrano come il lavorio di una coscienza vissuta, in grado di gettare luce sul qui e ora.
Le piccole tele, che a un primo sguardo potrebbero sembrare dei monocromi, a un’osservazione più attenta mostrano i temi presenti nel Gilles, che prendono spunto dai toni del dipinto originale.
I colori usati da Watteau sono vividi, luminosi e saturi; quelli di Sebastiano, invece, sono come esasperati nella perdita quasi totale di saturazione: tutti i colori si spengono nella luce del bianco, perdendo la loro purezza originale.
Il lungo periodo trascorso dopo lo studio dal vero del dipinto conservato al Louvre ha permesso all’artista di “dimenticare” l’originale e di andare oltre la mera reinterpretazione del dipinto. Lo scorrere del tempo ha consentito lo stratificarsi dei ricordi e della vita vissuta e ha portato finalmente a questi studi definitivi. Qui il colore emerge come ricordo che, da sbiadito, torna in un’attuazione presente e puntuale. La percezione ha articolato questi ricordi-immagine in una serie di rappresentazioni che dipendono dalle esperienze pregresse. Sebastiano si è allontanato dai legami con la forma che, in questi ultimi lavori, è indicata soltanto come traccia, come segno: siamo di fronte alle tracce del corpo e degli abiti di Gilles, alle impronte dei personaggi che gravitano attorno a lui.
La forma, qui interpretata tramite il segno, si discioglie nel colore, allontanandosi dal mero descrittivismo. L'artista ci mette di fronte a ciò che la sua coscienza ha creato, attraverso l’unione e l’interazione con la realtà, e la sintesi delle sue rappresentazioni che l’io costruisce dall'interno.
L'intervento di m prende le mosse dalle opere di Sebastiano. Il lavoro [I] wish [I] was a real artist, concepito appositamente per la mostra, è una lampada rilassante, un’applicazione per smartphone e tablet scaricabile a partire dal giorno dell’inaugurazione. Il player, una volta avviato, rende possibile la visualizzazione di una gamma di colori che, attraverso una transizione molto lenta, sfumano l’uno nell’altro. Selezionati da m a partire da una fotografia privata di Sebastiano, i colori, non a caso, sono riconducibili alla ricerca condotta dal pittore sui cromatismi del dipinto di Gilles. Si tratta infatti degli stessi colori presenti nei lavori in mostra che, come ho specificato sopra, sono anche i colori impressi nella memoria dell’artista, accumulati nel vissuto della vita pubblica e privata di Sebastiano. Al colore m aggiunge un suono, una frequenza pura di una sola onda di 528 Hz: la healing frequency, conosciuta anche come "frequenza dell’amore". Il colore, come il suono, è una frequenza e questa, la 528 Hz, è riconducibile a un verde molto chiaro e brillante. In linea con la propria poetica, m ci parla della dimensione dell’onirico. L'app non intende stimolare alla contemplazione ma al rilassamento e al sonno, come suggerisce la loading sentence “lie down”. A tal proposito, Freud scrive «Tutto il materiale che costituisce il contenuto di un sogno è in qualche modo derivato dall'esperienza, cioè è stato riprodotto o ricordato nel
sogno».L'intervento sinestetico di m fa dunque da pendant a quello di Sebastiano. Mentre i sette dipinti devono essere osservati e contemplati nello spazio espositivo, la lampada va invece a insinuarsi nella nostre case, nei nostri letti e nei nostri sogni.
Con i suoi dipinti, Sebastiano attraversa la stanza numero 36, mentre m, entrandovi furtivamente, consente al pubblico di portarne via una parte. Il risultato di questo incontro è appunto la stanza numero 37.
Simona Squadrito