Self Mascot. In grandi formati
Essere la mascot di se stessi, o crearsi una mascot personale. In questa oscillazione pendolare tra due forme di alienazione si danno le condizioni della fase neo pop: tra artista e opera, tra opera e merce, tra artista e merce.
Comunicato stampa
Essere la mascot di se stessi, o crearsi una mascot personale. In questa oscillazione pendolare tra due forme di alienazione si danno le condizioni della fase neo pop: tra artista e opera, tra opera e merce, tra artista e merce. Crearsi un proprio personaggio pare ed è una presa di potere sulla merce imposta, ma pare ed è anche una adesione alla sua riduzione. Che vede la “dittatura del personaggio” sopravanzare l’autore. Che vede la coincidenza tra la pittura e la narratività del personaggio, contraddire una delle categorie fondanti del visivo (e di ogni altro media in una nullificante crossmedialità). Ma è qui la contemporaneità, di pitture-personaggi che esistono anche senza narrazione. Come dal buio di questa mostra, emergono da una narrazione senza storia. Tutto ciò, a dispetto del loro carattere cute, è presentato in grandiosi formati, come il gesto universale del “Ken” di Street Fighter II, trionfante (Luciano Fabale). Perché qualsiasi cosa possa accadere, sarà parte dell’immaginario che ci appartiene.
Dallo Spunky di Luciano Fabale al Tuty di Elio Varuna, da Mademoiselle Good Heavens di Katja Tukiainen al Gogolì di Natascia Raffio, alla nuova serie di Omino71, che mostra il confine comunicante tra mutilazione cute e situazionismo nelle sue icone accecate da scritte, fin proprio al pixel che sfoca il gioco amatissimo, bloccandolo in una dimensione sospesa, dove memoria e tecnica confliggono all’infinito.
Giancarlo Carpi