Silvia Camporesi – Forzare il paesaggio

Informazioni Evento

Luogo
Z2O GALLERIA - SARA ZANIN
Via Alessandro Volta, 34, Roma, RM, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

Mon – Sat | 1 - 7 pm; or by appointment

Vernissage
16/11/2020

no, apertura ore 13-19

Artisti
Silvia Camporesi
Curatori
Angel Moya Garcia
Generi
fotografia, personale

Il potenziale illusorio della fotografia, che segna la ricerca di Silvia Camporesi (Forlì, 1973), viene snodato e sviluppato attraverso le suggestioni di tre luoghi italiani che, per le loro caratteristiche, rispondono a particolari caratteri di insolito o inusuale e in cui si manifesta una specifica forzatura del paesaggio, un intervento radicale che ha modificato le sorti del luogo stesso.

Comunicato stampa

Il potenziale illusorio della fotografia, che segna la ricerca di Silvia Camporesi (Forlì, 1973), viene snodato e sviluppato attraverso le suggestioni di tre luoghi italiani che, per le loro caratteristiche, rispondono a particolari caratteri di insolito o inusuale e in cui si manifesta una specifica forzatura del paesaggio, un intervento radicale che ha modificato le sorti del luogo stesso.
In particolare, la prima stanza della galleria viene dedicata all'isola delle Rose, una piattaforma artificiale di 400 m² che sorgeva nel mare Adriatico a 11,612 km al largo delle coste di Rimini e 500 m al di fuori delle acque territoriali italiane. Costruita dall'ingegnere bolognese Giorgio Rosa, il 1º maggio 1968 autoproclamò lo status di Stato indipendente e pur dandosi una lingua ufficiale (l'esperanto), un governo, una moneta e un'emissione postale, non fu mai formalmente riconosciuta da alcun paese del mondo come nazione indipendente. Occupata dalle forze di polizia italiane il 26 giugno 1968 e sottoposta a blocco navale, l'Isola delle Rose fu demolita nel febbraio 1969. L'episodio venne lentamente dimenticato, considerato per decenni solo come un tentativo di "urbanizzazione" del mare per ottenere vantaggi di natura commerciale. Solo a partire dal primo decennio del 2000 esso è stato oggetto di ricerche e riscoperte documentarie imperniate invece sull'aspetto utopico della sua genesi.
La seconda stanza viene invece indirizzata verso lo Specchio di Viganella, un comune di 200 abitanti della Valle Antrona (Provincia VCO). Dall'11 novembre al 2 febbraio di ogni anno, per 83 giorni, il paese si trova in totale assenza di sole a causa della montagna antistante. Per questo motivo nel 2006 l’allora sindaco Franco Midali e l'architetto Giacomo Bonzani fecero costruire nelle vicinanze del paese un grande specchio di 40 metri quadrati in grado di riflettere la luce solare in direzione della vallata, anche nei mesi di buio. Lo specchio è in grado di dirigere in tempo reale i raggi solari verso i luoghi prestabiliti, ad esempio la parte pedonale della piazza principale e illumina il villaggio durante l’inverno, per 6 ore al giorno. Il ritorno della luce naturale viene ancora oggi celebrato, il 2 febbraio di ogni anno, con una grande festa.
Infine, nell’ultima stanza troviamo il paese di Fabbriche di Careggine. Un paese fantasma della provincia di Lucca, nel comune di Vagli Sotto, abbandonato nel 1947 e quindi sommerso dalle acque del lago artificiale di Vagli formatosi a seguito della costruzione di una diga idroelettrica. Il Lago di Vagli, il più grande bacino idroelettrico della Toscana, è stato svuotato per manutenzione in quattro occasioni, l’ultima, nel 1994. Da allora il paese di Fabbriche di Careggine non ha più visto la luce.
Tre ambienti documentati attraverso fotografie, video e materiali di repertorio che evidenziano l’ambiguità tra realtà e finzione, l’esigenza di ricercare frammenti di memorie, le conseguenze di una sfrenata antropizzazione in determinati luoghi e la curiosità che si cela in contesti al margine della normalità. Atmosfere utopiche, sospese e cristallizzate, in cui il paesaggio viene concepito artificialmente ex novo, scardinato per evitare l’abbandono o sommerso come unico modo di evitare l’oblio e la loro scomparsa dalle carte geografiche. Un’alterazione del paesaggio che si interseca e si stratifica a sua volta con le possibilità di manipolazione della fotografia e che porta l’artista a mettere in discussione l’infallibilità di questo mezzo per riprodurre fedelmente la realtà.

Angel Moya Garcia