Silvia Infranco – Tempus defluit, imago latet
Lo spazio espositivo della project room accoglie ed enfatizza il processo di lavoro dell’artista in tutta la sua complessità e varietà espressiva per condurre il visitatore nel suo mondo fisico e mentale.
Comunicato stampa
Lo spazio espositivo della project room accoglie ed enfatizza il processo di lavoro dell’artista in tutta la sua complessità e varietà espressiva per condurre il visitatore nel suo mondo fisico e mentale.
Su un grande tavolo sono esposte alcune fonti della sua ricerca e lavori preparatori - come un quaderno dei disegni e degli spolveri e varie polaroid - proposti con pari dignità delle opere finite. Alle pareti nuovi lavori su carta della serie Metaforme e alcune pitto/sculture di piccole dimensioni della serie Kenotipie/solidi e Asportazioni; due lavori tridimensionali della serie Melìa e Idroforìa sono depositati, come reperti, in una teca.
Si può definire il lavoro di Silvia Infranco un memoir, il ricordo di esperienze personali che prendono avvio dalle sue letture (soprattutto di testi classici di botanica e filosofia) e dalle sue lunghe passeggiate nella natura.
La sua ricerca si sostanzia nel tentativo di fermare il tempo in immagini prima che intervenga l’oblio ad offuscarle, ma al contempo esprime la necessità di un distacco perché il ricordo possa germogliare e continuare a crescere.
Il processo di realizzazione delle opere avanza per sedimentazioni progressive. Il ritmo temporale è dilatato: l’artista rispetta le regole della materia da cui origina e il bisogno di metabolizzare la sua esperienza. È un abitare il tempo in modo diverso, con delicatezza e con rispetto. L’opera porta in sé l’esperienza di un mondo fisico senza parole e, al contempo, la possibilità, per il corpo dell’artista al lavoro, di divenire esso stesso strumento depositario della memoria.
Silvia Infranco cerca l’istante perfetto per dare avvio alla sua opera che parte da uno sguardo su vividi dettagli, catturati con la fotografia e col disegno. I disegni stilizzati accolgono frammenti di visione e spesso vengono sovrapposti dando vita a nuove forme. Lo spolvero segue il disegno e diviene matrice per l’inizio del trattamento del supporto con pigmenti e ossidi naturali che sono stesi in uno o più passaggi e che l’artista sigilla successivamente con la cera.
Nelle sue sculture oggetti o elementi naturali, nucleo dell’opera, sono sottoposti al medesimo procedimento di stratificazione della materia impiegata (cera, bitume, pigmento) e, talvolta, alla sua parziale asportazione e incisione, in una eterna danza di addizione e sottrazione.
L’inventario di forme primigenie viene rilasciato in immagini formalmente “liquide”, quasi indistinte: vere e proprie tracce di un lungo percorso di elaborazione al contempo fisico e mentale.
Non a caso l’artista parla del suo lavoro come narrazione metamorfica che contiene una ritualità evolutiva e una testimonianza di entropia del ciclo della vita.