Simon Gaon – Like a Wave
Lo Street Painter newyorkese è ospite della Andrea Tardini gallery per la sua prima mostra personale a Venezia.
Comunicato stampa
La galleria della Giudecca conclude la stagione espositiva del 2016, anno delle celebrazioni del Cinquecentenario della fondazione del Ghetto di Venezia, con una personale dell'artista americano di origine ebraica Simon Gaon
Andrea Tardini gallery è lieta di presentare dall'11 novembre 2016 all'8 gennaio 2017 (opening: giovedì 10 novembre, ore 18) la prima mostra a Venezia del pittore statunitense Simon Gaon. Nato a Manhattan nel 1943 in una famiglia ebrea uzbeka, Gaon è considerato come l'ultimo degli Espressionisti, erede di artisti quali Chaïm Soutine e Marc Chagall e un imprescindibile narratore della vita a New York, città in cui fonda il movimento degli Street Painters e che lo ha recentemente omaggiato, includendo le sue opere nella collezione del New York Historical Society Museum.
Con questa mostra Simon Gaon torna finalmente a Venezia, dove ha vissuto negli anni Settanta, e lo fa tornando in azione, dipingendo dal vivo, come allora, dalle strade e dalle sponde dei canali; questa volta, il punto di vista privilegiato sarà dalle rive del Canale della Giudecca, negli spazi del laboratorio Fucina Andrea Tardini, che si trasformerà per 14 giorni nel suo atelier.
Like a wave è quindi un ritorno all'opera di un artista, oltre che un intenso dialogo simbolico tra le due città - isole, grandi protagoniste dell'opera pittorica di Gaon.
Nelle sue tele, gli scorci e le vedute da cartolina di Venezia diventano soggetti vorticosi e inquieti; Piazza San Marco, la Chiesa della Salute emergono dai generosi impasti di colore e si trasfigurano a colpi di pennello e spatola.
Di New York, e soprattutto, dell'isola di Manhattan, Simon racconta la vivace quotidianità, tra le strade. Immerso nella folla di Times Square, Gaon enfatizza il suo amore per l’umanità, espressa nella moltitudine, l’energia profonda che gli comunica il caos, il denso di intrecci di vite e di storie.
Infaticabile ed energico, Simon dipinge tra lo smog e le luci vibranti, dalle rive dei canali, dai ponti: gli scorci suggestivi, i volti dei passanti, i ritratti e i volti carnevaleschi si infiammano, grazie alla sua materia pittorica. Ogni figura è unica e nasce da corposi impasti di pigmenti, portati sulla tela con pennello, spatole e dita, senza esitazioni, con gesti istintivi.
Secondo il curatore Marcello Chinca Hosch «il rappresentabile per Simon è sempre una questione cruciale. Ogni angolo della Terra, ogni volto, ogni sembiante, che sia umano o animale, ha per lui la medesima portanza teleologica, la sua funzione nel Creato, ogni forma vivente, per assorbita che sia dentro il dramma del vivere, s'impone al dunque come punto degno della Creazione, punto di sutura della sua incompiutezza»
Proprio dal suo amore per la strada e la sua devozione alla pittura dal vivo prende vita il movimento degli Street painters nel 1977, un gruppo di otto artisti (Tad Day, Ronald De Nota, Jessie Benton-Evans, Simon Gaon, Don Gray, Myron R. Heise, Kenneth McIndoe, e Philip L. Sherrod) votati alla pittura on the road, a caccia di soggetti, tra le strade di New York.
Il confronto prosegue tra la Venezia, città dove sorge il primo Ghetto della storia, di cui si celebra il Cinquecentenario quest'anno, accanto alla metropoli dove vive la più grande comunità ebraica, fuori Israele; porta del Mediterraneo la prima e porto dell'Atlantico la seconda, entrambe importanti centri finanziari, crocevia di scambi di merci, persone, culture.
Anche quella di Simon è, come per molti newyorkesi, una storia migrazioni e di viaggi. Nasce a Manhattan, da una famiglia ebrea originaria dell'Uzbekistan e dal 1962 è in viaggio per l'Europa, grazie ad una borsa di studio: prima in Olanda ad Haarlem, poi Amburgo, Amsterdam, Parigi e infine nella sua amata Venezia, dove vive per un anno, assieme al primo maestro e mentore Arthur Bressler (1927–1975). Il suo stile pittorico, già fortemente plastico e materico, diviene così debitore della lezione dei Fauve, dell'Espressionismo tedesco, Chaïm Soutine e Marc Chagall nei suoi intensi ritratti di rabbini e Lubavitch. Intrattiene una fitta corrispondenza con l'anziano Oskar Kokoschka, ammira Vincent Van Gogh e guarda a William Turner, come grande maestro del passato, a cui rende omaggio in diverse opere.
«E' difficile da descrivere, - racconta Simon Gaon - come questi artisti utilizzino l'ansia "come un colore invisibile". In Soutine, non c'è gravità: tutto e tutti stanno per cadere nel vuoto. Parla del momento. In quell'istante sospeso, come se non esistesse un domani, credo che sia Soutine, come Kafka, abbia previsto il dramma dell'Olocausto, in una sorta di via mistica. Nei dipinti di Vincent Van Gogh, - prosegue l'artista - con quei vortici di colore, vedo l'agitazione intorno alla sua figura auto ritratta, il suo disturbo emotivo, la sua irrequietezza, l'ansia per l'uso del colore. Questa è la sensazione che condivido».
Con questa esposizione la pittura torna ad essere, quindi, protagonista assoluta nella galleria giudecchina, che prosegue così nel suo intento di riscoperta e rivalutazione di questo linguaggio artistico; il filo conduttore è ancora una volta l'acqua, elemento declinato nei suoi molteplici aspetti e significati. Dopo l'inaugurazione invernale, con i freschi ruscelli dei boschi dell'Albania di Orion Shima e la stagione estiva, segnata di profondi blu di Christelle Labourgade, la nuova mostra autunnale è un omaggio alla carriera artistica, lunga oltre cinquant'anni, di questo straordinario pittore, vissuta a ondate tra le metropoli statunitensi, le vie di Parigi, Amsterdam, Amburgo. Ma è anche un ritorno a casa, tra le rive e i canali della sua amata Venezia, percorsa e dipinta in punta di piedi.