Simon Perathoner – Black box
Nessun apparecchio fotografico ben programmato può essere interamente compreso da un fotografo, per questo secondo Vilélm Flusser è un “Black box”.
Comunicato stampa
Nessun apparecchio fotografico ben programmato può essere interamente compreso da un fotografo, per questo secondo Vilélm Flusser è un "Black box".
Il gesto del fotografo è mosso in questo senso da una conoscenza parziale, dall'infinita possibilità intrinseca a un'intelligenza artificiale che genera la possibilità di produrre stati di cose mai esistiti prima.
Il lavoro di Simon Perathoner (1984, Ortisei) si serve della sperimentazione tecnica per riflettere in senso filosofico sulla natura del medium fotografico.
La poetica dell'artista parte dal presupposto che uomo e macchina comunichino attraverso il codice e che l'utensile impiegato in fotografia per realizzare le immagini,
ovvero la macchina fotografica, sia da intendere come dispositivo reso possibile dall'ingegno collettivo e conseguentemente operante come generatore di immagini che non possono essere ascritte ad un'autorialità unitaria.
La mostra riflette sulla codifica a transcodifica delle immagini, sul rapporto tra fotografia e scrittura e sull'enorme quantità di dati che vengono conservati su hardware sempre più piccoli.