Simone Piccioni – La Deliziosa Solitudine
“La deliziosa solitudine” è un viaggio che, attraverso luce, forme e colore, racconta Roma e i suoi panorami, dalla città fino al litorale, attraversando i Colli Albani, soffermandosi su un’architettura che vive in armonia perfetta con il paesaggio e con la sua storia.
Comunicato stampa
Il mistero di Roma e l’incanto delle cose
Il cielo e le rovine, la natura e le architetture, le fontane, i ponti, le sculture e la polvere, una città che ha catalizzato per secoli lo sguardo degli artisti divenendo la culla di un modo classico e innovativo di rappresentare il paesaggio: tutto questo rappresenta uno dei molti, magnifici, enigmi di Roma e delle sue tante meraviglie che vanno dal suo centro storico fino ai meravigliosi luoghi dei suoi dintorni, con i loro palazzi, le loro memorie antiche e la campagna che li circonda.
Lorenzo Canova
La splendida natura della campagna romana, resa più misteriosa e suggestiva dai resti di ville antiche e monumenti, da palazzi e residenze signorili. Sono le suggestioni visive che alimentano la produzione pittorica di Simone Piccioni, che ritrae Roma, la sua città, regalando una personale visione della bellezza che lo circonda.
“La deliziosa solitudine” è dunque un viaggio che, attraverso luce, forme e colore, racconta Roma e i suoi panorami, dalla città fino al litorale, attraversando i Colli Albani, soffermandosi su un’architettura che vive in armonia perfetta con il paesaggio e con la sua storia. Una passeggiata pittorica che ricorda le straordinarie vedute che alimentavano l’ispirazione di numerosi artisti e viaggiatori che hanno attraversato queste terre rimanendo folgorati dalla bellezza delle campagne romane.
“La deliziosa solitudine”, curata da Paolo Longo e promossa dall’associazione culturale KillThePig, sarà ospitata in un luogo che più di ogni altro rappresenta i Castelli Romani, Palazzo Sforza Cesarini.
In occasione del vernissage, giovedì 17 dicembre a partire dalle 18,30, i visitatori saranno accolti da musica e suoni e dalla video installazione “landscape becomes a drawing” di Luca Gaeta realizzata in esclusiva per la mostra di Simone Piccioni.
L’intervento del critico Lorenzo Canova
Il cielo e le rovine, la natura e le architetture, le fontane, i ponti, le sculture e la polvere, una città che ha catalizzato per secoli lo sguardo degli artisti divenendo la culla di un modo classico e innovativo di rappresentare il paesaggio: tutto questo rappresenta uno dei molti, magnifici, enigmi di Roma e delle sue tante meraviglie che vanno dal suo centro storico fino ai meravigliosi luoghi dei suoi dintorni, con i loro palazzi, le loro memorie antiche e la campagna che li circonda.
Del resto, la pittura di paesaggio non sarebbe stata la stessa senza la luce di Roma e la storia dell’arte avrebbe avuto esiti diversi se gli artisti provenienti da tutta Europa non avessero trovato una speciale fonte di ispirazione in quella luce che per secoli ha incantato il loro sguardo col suo riflesso speciale e con il suo modo di dare forma e vita alle cose. La pittura per secoli ha inseguito infatti il mistero della luce della Città Eterna, il suo cielo che passa da consistenze di azzurri gessosi nella calura estiva a bagliori d’oro nei tramonti di primavera, il nitore di certi mattini invernali e il verde autunnale dei suoi alberi che si anima di sfumature e di vibrazioni segrete. Artisti che arrivavano dalle Fiandre e dall’Olanda, dalla Francia, dalla Russia e dall’America si sono quindi immersi in quello splendore e hanno scavato nella miniera dei suoi doni per trovare il senso enigmatico di una rivelazione metafisica che ha unito molti artisti come Lorrain, Poussin, Turner o de Chirico.
Così dagli affreschi delle Ville del Rinascimento sul Tevere o sui colli, dalle decorazioni e dalle collezioni dei Palazzi barocchi, dalle purezze neoclassiche fino alle visioni simboliste, alle case sventrate e ai tetti della Scuola Romana si potrebbe tracciare una linea segreta ma ricca di fermenti che ha trovato in Roma, nei Castelli Romani e nella loro campagna uno stimolo creativo irripetibile che si è rinnovato anche nella pittura, nella fotografia e nel cinema delle più giovani generazioni.
Simone Piccioni rappresenta molto bene questa tendenza di ritorno alla rappresentazione del paesaggio, una tendenza che è esplosa tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila presentando una grande varietà di espressioni e di punti di vista che hanno composto un mosaico molto stratificato e ricco di interesse. Nell’opera di questi artisti, e di Piccioni in particolare, il legame con la grande tradizione appena tratteggiata in questo testo si è arricchito di spunti contemporanei che non dimenticano il legame con l’Iperrealismo e con la fotografia e con le nuove tecnologie, creando spesso le forme di un nuovo classicismo ad altissima definizione che si pone in confronto attivo e non subalterno con le nuove e più feconde espressioni dell’immagine digitale.
Simone Piccioni dipinge difatti con un metodo lento, raffinato e complesso che porta ad altissimi livelli la qualità straniante di costruzione delle sue immagini, una tecnica che crea quel rapporto del tutto personale di comporre il rapporto tra lo spazio e le cose, un confronto che mette in gioco un tempo paradossalmente in bilico tra sospensione e movimento, dove la luce sembra fissata in un attimo assoluto che la pittura blocca nel suo corpo liquido prima che si dissolva nell’oblio.
Piccioni è dunque uno dei pittori che ci regalano un modo unico di guardare al mondo, a frammenti di tempo anche minimi e apparentemente trascurabili che compongono la costellazione della memoria, un artista capace di riattivare ricordi, di inquadrare e di riformare la percezione dello spettatore attraverso il suo sistema visivo.
Nel ciclo di opere di questa mostra Piccioni ci fa riscoprire allora la luce intensa e misteriosa del sole che incendia gli oggetti prima di una tempesta, i riflessi delle nuvole e del cielo sui Laghi di Albano e di Nemi, il grigio sulle case dei pescatori di Fiumicino, il rosa sul verde dei vigneti scaldato dal dolce tepore dell’ocra che prelude alla vendemmia e all’autunno, le case di Roma, i suoi ponti e i suoi monumenti in una visione in cui tutto diventa quasi irreale attraverso il rigore visivo della sua pittura.
Simone Piccioni con le sue vedute di luoghi segnati dalla storia, dove la natura si armonizza alla cultura nelle sembianze di un eterno presente, rende così possibile l’incanto e i segreti di un nuovo realismo magico, elabora le forme, i lacerti e le rovine di una bellezza ferita e ritrova infine uno sguardo lirico e lucido che ci rivela l’indissolubile incanto del mistero delle cose.
Paolo Longo
Curatore
Lorenzo Canova
Critico
Roberto Libera
Antropologo Culturale
Carlo Vignapiano
Grafica e Allestimento
Luca Gaeta
Regista
Daniele Garigliano
Videomaker
Celeste Frontino
Tecnico effetti sonori
Maria Tona, Nela Lucic, Valentina Ghetti, Glenda Canino, Alexandra Mogos, Demi Giustarini
Attrici