Sin Wai Kin – Dreaming the End (Sognando la fine)
La mostra, a cura di Alessio Antoniolli, costituisce un ulteriore capitolo della ricerca di Sin Wai Kin, che riflette sull’oggettivazione del corpo e la cultura che lo regola attraverso la pratica dello storytelling, ponendo così in discussione i processi normativi che regolano le categorie identitarie e una coscienza del sé fondata sul binarismo.
Comunicato stampa
Fulcro dell’esposizione è il video Dreaming the End: una storia che si muove tra il registro narrativo e quello reale, giocando con i tempi, gli spazi, i luoghi e riferimenti, così da rendere tutto allo stesso tempo familiare e sconosciuto. Ossessioni e contraddizioni sono al centro del film, un viaggio a metà tra sogno e visioni opprimenti compiuto da una serie di figure enigmatiche che si incrociano nei diversi scenari immaginati da Sin Wai Kin. L’approccio trasversale di diversi generi cinematografici (thriller, noir, fantasy…), con incursioni nella moda e altri ambiti della cultura popolare, contribuisce al senso di spaesamento di Dreaming the End, che offre allo spettatore un’esperienza in cui i punti di riferimento vengono continuamente messi in discussione e ribaltati. È attraverso questa storia – un pastiche di generi, stili, e coordinate spazio-temporali – che il film pone una domanda: dove finisce l’autenticità e comincia la performance? Chi decide cosa sia fantasia o realtà? Per Sin Wai Kin la possibilità di cambiamento è fondamentale: anche quest’opera è un invito ad adottare una coscienza non-binaria, per sciogliere la rigidità di certi schemi e lasciare che le nostre esperienze ci facciano evolvere.
Caratterizzati da una narrazione fortemente improntata alla fiction, nei progetti artistici di Sin Wai Kin si assiste a uno sdoppiamento, talvolta una vera e propria moltiplicazione dei personaggi in scena, quasi sempre interpretati dall’artista. È il caso di Dreaming the End, produzione inedita interamente concepita in occasione della mostra alla Fondazione Memmo, dove i personaggi si incontrano e si muovono attraverso lo spazio narrativo, scambiandosi e alternandosi l’uno con l’altro. Questo processo ciclico fa sì che queste figure debbano continuamente riscoprirsi, prendere coscienza di sé in ambienti ed esperienze che li vedono coinvolti in un perpetuo flusso: “I am perceiving myself shaping the words, but I am also perceiving the words shaping me as I speak them” (estratto dal testo del film).
La fluidità dei corpi e delle prospettive è evidenziata dalla scelta di mostrare il video in loop, così da creare una storia che si racconta e si rinnova attraverso la ripetizione, evolvendosi e cambiando a seconda di chi la narra e chi l’ascolta: “Everytime I hear the story it changes a little. Everytime the story is embodied it changes a little…” (estratto dal testo del film).
La forte connotazione psicologica dei personaggi è alimentata dai luoghi che fanno da sfondo a Dreaming the End. Interamente girato a Roma, il film può contare su ambientazioni di grande fascino, tra gli interni di Palazzo Ruspoli, i giardini di Villa Medici e gli spazi del Palazzo della Civiltà Italiana: contesti iconici che amplificano il senso di meraviglia dell’opera di Sin Wai Kin, creando un inedito ponte tra la storia millenaria di Roma e l’enfasi dell’artista sul potere della narrazione. Il corpo di Sin Wai Kin, così come quello della città, sono in continua evoluzione, capaci di unire storie passate e potenziali futuri, attraversando stati e fasi differenti.
Oltre al film, gli spazi della Fondazione Memmo saranno popolati dai personaggi di Dreaming the End e dai loro stadi di trasformazione. Busti e parrucche saranno collocati in spazi diversi, ma in dialogo l’uno con l’altro, così da creare un continuo scambio; questi elementi saranno accompagnati da una serie di salviette struccanti con le tracce del make-up dei diversi personaggi interpretati da Sin Wai Kin: si tratta a tutti gli effetti di “sindoni” che diventano dipinti contenenti paesaggi e cosmologie di un’identità che cambia e che lascia segni di un processo senza fine.
Dreaming the End non è soltanto la prima esperienza espositiva di Sin Wai Kin in Italia, ma anche il debutto italiano del curatore Alessio Antoniolli che con questa mostra inaugura un nuovo corso per la Fondazione.
Il progetto di Sin Wai Kin vedrà anche la realizzazione di una pubblicazione sotto forma di fotoromanzo – seguendo un’estetica particolarmente vicina alla sensibilità di Sin Wai Kin – e di una serie di attività di approfondimento come incontri e laboratori didattici rivolti ai bambini: il primo appuntamento in programma è domenica 14 maggio, con un workshop creativo dedicato alla fascia d’età tra i 5 e gli 11 anni.
BIOGRAFIA SIN WAI KIN
Sin Wai Kin (Alias di Victoria Sin, 1991, Toronto, California) utilizzano la finzione speculativa all'interno di performance, immagini in movimento, scrittura e stampa per interrompere i processi normativi di desiderio, identificazione e oggettivazione. Attingendo a incontri personali ravvicinati di sguardo e desiderio, il lavoro presenta narrazioni di fantasia pesantemente costruite sull'esperienza spesso inquietante del fisico all'interno del corpo sociale.
Il film più recente di Sin Wai Kin, A Dream of Wholeness in Parts (2021), è stato recentemente candidato al Turner Prize e proiettato al 65° London Film Festival del British Film Institute. Il loro lavoro è attualmente incluso nella mostra itinerante British Art Show 9 e in Protozone alla Shedhalle di Zurigo e HYPER-POSSIBLE: Coventry Biennial 2021, Coventry. Tra le mostre personali più recenti figurano It's Always You alla Blindspot Gallery di Hong Kong (2021); She's Hopeful (2018) al Soft Opening di Londra (2020); Narrative Reflections on Looking al Museum of Contemporary Art di Zagabria (2020); Indifferent Idols al Taipei Contemporary Art Centre di Taipei (2018). Tra le mostre collettive più recenti ricordiamo Drawing attention al British Museum di Londra (2022); Interior Infinite alla Polygon Gallery di Vancouver (2021); B3 Biennial of Moving Image di Francoforte (2021); Born in Flames: Feminist Futures al Bronx Museum di New York (2021); The many faced god.dess, a cura di Thomas Conchou presso La Maison populaire de Montreuil, Montreuil (2021); Age of You, a cura di Shumon Basar, Douglas Copeland & Hans Ulrich Obrist al Jameel Arts Centre di Dubai e al MOCA di Toronto (2020 e 2019); MORE, MORE, MORE al Tank di Shanghai (2020); Masks alla Galeria Municipal do Porto, Porto (2020); Transformer: A Rebirth of Wonder, a cura di Jefferson Hack al 180 The Strand, Londra (2019); Kiss My Genders alla Hayward Gallery, Londra (2019); BCE alla Whitechapel Gallery, Londra (2019) e DRAG alla Hayward Gallery, Londra (2018). Le opere di Sin Wai Kin sono presenti nelle collezioni pubbliche del British Museum Prints & Drawings, della Ingram Collection of Modern British Art e della Sunpride Foundation di Hong Kong.
BIOGRAFIA ALESSIO ANTONIOLLI
Alessio Antoniolli è direttore di Gasworks, Londra, dove dirige un programma di mostre, residenze per artisti e progetti partecipativi. È anche direttore di Triangle Network, una rete mondiale di organizzazioni di arte visiva che collaborano per creare scambi tra artisti e condividere le reciproche conoscenze. Ha tenuto numerose conferenze e ha fatto parte di molte giurie, tra cui quella del Turner Prize del Regno Unito nel 2019. Nel 2022 è stato nominato curatore della Fondazione Memmo, dove curerà il programma annuale di mostre personali. Questa è la prima mostra che Antoniolli cura in Italia.
FONDAZIONE MEMMO
La Fondazione Memmo nasce nel 1990 dal desiderio di Roberto Memmo di dar vita a un’attività culturale mirata ad avvicinare il mondo dell’arte a un vasto pubblico attraverso la diretta conoscenza di capolavori di tutti i tempi e delle più varie civiltà.
A partire dal 2012, grazie all’iniziativa di Fabiana Marenghi Vaselli Bond e Anna d’Amelio Carbone è attivo un nuovo programma espositivo interamente dedicato al panorama artistico contemporaneo. Contribuire allo sviluppo del tessuto culturale nel territorio, connettersi a realtà internazionali, aprendo un dialogo con le altre istituzioni e promuovere l’interazione fra gli artisti e la città di Roma sono tra gli obiettivi della Fondazione Memmo.
Il nuovo corso è stato avviato con la mostra personale di Sara VanDerBeek (2012), seguita da Sterling Ruby (2013), Shannon Ebner (2014) e Camille Henrot (2016), tutte a cura di Cloè Perrone; nel 2017 si è tenuta la personale di Giuseppe Gabellone, a cura di Francesco Stocchi, il quale ha successivamente curato anche le mostre dell’artista tedesca Kerstin Brätsch e del duo KAYA, di Latifa Echakhch (2019), Oscar Murillo (2021) e Amalia Pica (2022).
Nel 2015 è stata presentata la mostra collettiva Conversation Piece, a cura di Marcello Smarrelli, cui sono seguite altre sette edizioni organizzate a cadenza annuale, con l’intento di fare il punto della situazione sulle presenze artistiche a Roma (in particolare coinvolgendo gli artisti ospiti presso le accademie e gli istituti di cultura straniera attivi nella Capitale).
Nel 2019 la Fondazione Memmo avvia un programma di residenze a Londra, in collaborazione con Gasworks, dedicato agli artisti italiani, proseguendo in questo modo l’attività di confronto, scambio e connessione tra artisti e istituzioni di contesti diversi. Gli artisti finora coinvolti sono Diego Marcon (2020), Adelaide Cioni (2022) e Francis Offman (2023).