Solveig Cogliani – Nei colori di Roma
Le tele di Cogliani tornano in mostra a Roma dopo l’ultima esposizione, pochi mesi fa, con cui si inaugurava lo spazio espositivo di Villa Altrieri.
Comunicato stampa
Inaugurazione martedì 14 maggio alle ore 19 alla Galleria d’arte Michelangelo (Via G.Giraud 6, Roma) per la nuova personale, la nona, della pittrice Solveig Cogliani.
Intitolata “Nei colori di Roma”, l’esposizione a cura di Fabio Cozzi porta in mostra per un mese, sino al 14 giugno (apertura 15,30-19,30 dal martedì al sabato) 28 opere dell’artista.
Alla serata inaugurale insieme con la pittrice anche Claudia Alliata di Villafranca che presenterà la propria limited edition, un vino ispirato proprio a Solveig Cogliani.
Le tele di Cogliani tornano in mostra a Roma dopo l’ultima esposizione, pochi mesi fa, con cui si inaugurava lo spazio espositivo di Villa Altrieri. Lì, attraverso “Sanpietrini e tetti”, si evocava la compresenza di culture, popoli e storie nella città eterna. Ora Roma si “trascolora” in una passeggiata dall’alba al tramonto, con i quattro grandi quadri, 200x200, dell’inedito ciclo delle fontane, ispirato dalla musica di Respighi, ad aprire il percorso.
Dipinte liberi dal vincolo della luce, esaltando la possenza delle sculture e lavorando sempre sui colori, si scopre a ultime pennellate già asciutte che le quattro opere raccontano altrettanti spaccati temporali della capitale: la fontana di Valle Giulia all’alba, la fontana del Tritone nella mattina, la fontana di Trevi per il meriggio, la fontana di Mercurio di Villa Medici per le ore della sera.
“Acqua e marmo – scrive Danilo Maestosi in apertura di catalogo - sono il sangue di Roma”. Le fontane erano dunque “una tappa obbligata”. “Solveig però non ci si era mai bagnata prima, le guarda con diffidenza e rispetto. Per cominciare, ne ha individuate quattro, non tutte altrettanto importanti, seguendo lo spunto di un celebre brano di Respighi, vortici di musica che portano echi delle sue pennellate. Poi ha iniziato a tessere la sua tela di Penelope. Il cavalletto al posto dell’arcolaio. Sulla tela bianca traccia il disegno dei dettagli che più l’hanno colpita. Solveig non contempla le cose, per impadronirsene deve toccarle, riplasmarle, adattarsele addosso come un vestito. Risvegliarne dentro l’emozione o il ricordo. Eccola davanti alla fontana del Tritone a piazza Barberini. Guarda con attenzione, poi chiude gli occhi. Che le rimane dentro? Le sagome aggettate dei pesci, lo stemma, la torsione della figura centrale, la cornice della conchiglia che fa da quinta, la balaustra di colonnine che recinta l’invaso. Ed è questo groviglio che dipinge. Tracce nere sullo sfondo bianco che comincia a coprire di colore. A volte guidandolo. Il verde giù in basso e sul lato destro a restituire il flusso specchiante dell’acqua e un guizzo di cornice architettonica. Più spesso lasciandogli mano libera. Frustate di bianco che si impennano verso l’alto come tentacoli di un polipo. Così spetalata e disfatta la Fontana del Tritone ha l’aspetto di una cartolina ripescata dalla centrifuga di un frullatore. Puoi intuirne il rimando reale, il movimento del suo impianto barocco. Il resto è solo pittura”.