Sophie T. Rauch – Icone
Ogni opera-finestra e’ un ‘filo rosso’ che si snoda tra avanguardia e neoavanguardia, arte concettuale e minimale, fino all’attualita’.
Comunicato stampa
Alla Galleria Agorà dal giorno venerdì 11 luglio al 26 luglio, saranno esposte le opere dell’artista canadese Sophie T. Rauch. Una mostra che, in occasione della festa di Santa Rosalia, racconta la storia della Santa a tappe, intessendo trame di vita, suscitando curiosità estetiche ed istinti di culto e venerazione. Icone contemporanee, che riportano alla memoria lontane pitture greco-ortodosse realizzate su legno. Particolari citazioni, intese come “sguardo ed appropriazione”, operati dall’artista su forme storicizzate, giunte o che giungono a noi già codificate come opere d’arte. La mostra fa parte delle attività culturali organizzate in occasione del 390° Festino di Santa Rosalia. Il ritratto della Santa verrà inoltre donato dall’artista alla città di Palermo e custodito presso la Galleria di Arte Moderna S. Anna (GAM).
ICONE
Icone in cui la bellezza non è l’oggetto ma il fine
di Genny Di Bert
Il 15 luglio si svolge la Festa di Santa Rosalia a Palermo e non a caso 15 sono le opere che Sophie Rauch ha realizzato, progettando una installazione di “opere-inquadrature” di un film virtuale. L’artista racconta, infatti, la storia della Santa Rosalia a tappe, intessendo trame di vita, suscitando curiosità estetiche ed istinti di culto e venerazione. Sono icone contemporanee, che riportano alla memoria lontane pitture greco-ortodosse realizzate su legno. Sono particolari citazioni, intese come “sguardo ed appropriazione”, operati dall’artista su forme storicizzate, giunte o che giungono a noi già codificate come opere d’arte.
Sophie Rauch regista di un’arte sacra rivisitata.
Ogni opera-finestra della Rauch è un “filo rosso” che si snoda tra avanguardia e neoavanguardia, arte concettuale e minimale, fino all’attualità, per poi condurci nella metafora del “senza tempo”. Così i lavori dell’artista sono singolare espressione dell’arte d’oggi, in cui le creazioni superano il concetto iniziale, volutamente non espresso in modo esplicito perché esiste un sapere post pop e post minimal. Sono espressioni di una conoscenza che si esprime nell’opera stessa, nella sua materia. Dal concetto all’effimero. Un’arte “sovraconcettuale”. Le immagini interagiscono con scritte-titoli, narrazioni mediante le quali la percezione visiva viene modificata e nella mente si “cristallizzano” ritratti.
L’arte di Sophie è un guardare ed un guardarsi, perché ogni opera soggiace, per sua stessa natura, al principio della metamorfosi. Tra tutte, l’opera-simbolo “Santa Rosalia”, che ha l’orientamento ascendente degli occhi: rivolti verso il cielo, lassù. Ogni lavoro è stato realizzato con cura compositiva, illuminando forme e giocando con cromatismi simbolici, riflessi di segreti e pulsioni. Analizzando l’intrigante rapporto opera-messaggio e immaginazione-materia, mi nasce spontaneo il riferimento ad una osservazione del filosofo Jacques Maritain: “il bello è caratterizzato da tre qualità: l’integrità, perché l’intelligenza ama l’essere, la proporzione, perché l’intelligenza ama l’ordine e l’unità, e lo splendore, perché l’intelligenza ama la luce”. E rilevo …. la Bellezza non è l’oggetto, ma il fine.
Nelle creazioni di Sophie tecnica, tratto, segno, tutto segue le devianze di ritmiche elaborazioni. Sono modularità rese da scomposizioni, nel gioco intuitivo tra figurazione ed astrazione, che lanciano autentici flash back della storia dell’arte, superando memorie visive di impressionismi strutturati alla Cézanne, tardi puntinismi (si veda Paul Signac e Robert Delaunay), astrazioni alla Mondrian (in cui prevale un gioco tra linee verticali ed orizzontali) e “pixel” della Pop Art. Infatti, gli oggetti ed i soggetti dipinti dall’artista canadese non sono immagini collegate con la natura che iniziano ad essere astratte, non fuoriescono da immaginazioni di una sintesi della realtà e neppure da icone televisive o stampate. Sono ritmi della storia bloccati, fotografie dell’anima rarefatte tramite l’uso sapiente di tonalità che sembrano pulsare (zone del corpo con energie differenti). Visioni in trasparenza, “rubate” da un mondo diverso, filtrate oltre le teche delle reliquie (come quelle di Santa Rosalia che, nel 1625, vennero poste all'interno di uno scrigno in argento e vetro). Sono apparizioni, leggere, fluttuanti su sfondi tendenzialmente monocromi.
Gran parte degli sguardi dei protagonisti ritratti si dirigono frontalmente, proiettandosi al di fuori del quadro ed invitano lo spettatore ad entrarvi. Tra tutti, si vedano i volti di Sant’Agata, San Benedetto il Moro, Urbano VIII e Giannettino Cardinal Doria.
Capacità tecnica, istinto creativo e psicologia iconografica (la santa era particolarmente invocata contro la peste) si trovano anche in “La Peste”: raffigurazione della morte. Un teschio senza veggenza, una macchia bianca nel luogo deputato per il “terz’occhio”, un urlo muto-vuoto della mente o forse una zona colpita da una forte energia per provocarne la smaterializzazione? Miti di ieri e di oggi. Il divenire-segno di un simbolo dell’Uomo.
Nell’opera “la Colomba Ferita” (titolo del manoscritto dell’Opera Sacra di Santa Rosalia edito a Napoli nel 1672) la vibrazione pittorica trasmette movimento, delineato da piccole “spalate”, che interagiscono nell’insieme ottenuto da sfumature di blu ed azzurro che si accostano a sfondi più caldi, tinte marroni e complementari. Nei lavori intitolati “Rose” (Rosalia di Sinibaldo, figlia del Signore della Quisquina e del Monte delle Rose) pensieri d’amore ed affetto sono sprigionati da combinazioni di colori-tasselli. In queste mimesi della Natura si coglie intenso contrasto tra vuoto e pieno della struttura, dialettica visiva tra gestualità ed immediatezza della stesura, per svelare i segreti dei fiori e, in generale, della vita, per suggerire la delicatezza del tocco.
Organizzazione generale e allestimento:
Stefania Giacchino
Roberta Navarra
Sergio Pausig
Progetto grafico
Agorà di Stefania Giacchino