Sotheby’s Italia Fiftieth Anniversary The Exhibition
Un’esposizione che presenta una serie di capolavori incontrati nel corso di 50 anni e non proposti nei cataloghi d’asta perché selezionati dalle sovrintendenze come beni d’interesse nazionale.
Comunicato stampa
Sotheby’s è presente in Italia dal 1968. Sono 50 anni di attività che appaiono pochi se confrontati agli oltre 270 della casa madre.
Ma desideriamo ugualmente festeggiare questo mezzo secolo di presenza in Italia e desideriamo farlo non con un’asta, ma con una mostra.
Un’esposizione che presenta una serie di capolavori incontrati nel corso degli anni e non proposti nei cataloghi d’asta perché selezionati dalle sovrintendenze come beni d’interesse nazionale.
In mostra quindi una scelta di opere, dal I secolo d.C. alla metà del Novecento, presentate dai nostri esperti, da storici dell’arte e da studiosi delle diverse epoche.
La mostra è incentrata principalmente su un gruppo di sculture, dall’Antichità Romana sino alla grande e magnifica figura di Arlecchino di Lucio Fontana.
È di epoca Traiana (98 – 117 d.C.) il busto funerario romano in marmo di Quintus Socconius Nedymus, scolpito da un unico blocco di marmo con la testa girata verso destra ed un viso espressivo caratterizzato dal naso aquilino e dai corti capelli ondulati che cadono sottili sulla fronte.
L’uomo indossa una tunica e sulla base del busto reca tre righe d’iscrizione latina che si legge: Quinto Socconio, liberto di Quinto, della tribù Palatina, fece questo per se stesso.
I ritratti funebri sono stati inizialmente creati dall’aristocrazia con lo scopo di conservare la memoria del defunto (imagines maiorum); si partiva da un calco di cera del defunto, producendo una somiglianza assai realistica. Quest’uso fu adottato poi anche dalla classe media e mercantile. Il ritratto in mostra è eccezionalmente ben conservato, finemente intagliato e non è mai stato oggetto di studi accademici.
Il Libro d’Ore Corsini, in latino e francese, del 1415-1420, con 48 piccole miniature raffiguranti segni zodiacali e le attività dei mesi e 49 grandi miniature con suggerimenti per una sana alimentazione è un capolavoro del Maestro della Bibliothèque Mazarine, una delle più importanti figure della miniatura quattrocentesca in associazione con un altro importante artista e suo frequente collaboratore, il Maestro di Egerton.
Il Rinascimento è rappresentato, in questo piccolo museo raccolto da Sotheby’s Italia in occasione del proprio anniversario, dal magnifico busto in terracotta invetriata e smaltata, realizzato nel 1470-75 ca. da Luca e Andrea Della Robbia. Il Busto di Bambina “che qui presentiamo – scrive Giancarlo Gentilini nella scheda pubblicata nel volume che accompagna la mostra – costituisce fuor di ogni dubbio un vertice per la sconcertante verità fisionomica, la complessità emotiva e la straordinaria inedita invenzione della sofisticata cuffietta ricamata a racemi”.
L’opera proviene dalla collezione dei conti Guicciardini ed è stata mostrata al pubblico unicamente in occasione della mostra “Lorenzo il Magnifico e le Arti” allestita a Palazzo Strozzi nel lontano 1949.
Il Busto di Bambina è analogo per qualità al famoso Ritratto di Bambino conservato al Museo Nazionale del Bargello di Firenze. E Gentilini, nel testo descrittivo dell’opera, vede i due busti strettamente “imparentati” tanto da suggerire che possano costituire una coppia, ovvero “le effigi congiunte della giovane prole di un’importante famiglia fiorentina…immagini di una verità fisionomica e psicologica ai vertici della pur vasta ritrattistica rinascimentale”.
Rinascimentale è anche il Cassone Nuziale di Manifattura Lucchese - già in collezione Contini-Bonaccossi, Villa Vittoria, Firenze - in legno di pioppo, gesso rilevato, dorato e dipinto, stemmi di legno intagliato dorato e dipinto, databile probabilmente attorno al 1497.
L’eccellente stato di conservazione rende il cassone di particolare interesse e gli studi lo mettono in relazione con quello delle Quattro Virtù conservato al Minneapolis Institute of Art.
Uno degli stemmi è forse identificabile con il blasone della famiglia Burlamacchi di Lucca e probabilmente è stato realizzato in occasione del matrimonio - avvenuto nel 1497 - di Michele di Pietro Burlamacchi, mercante e uomo politico, con Caterina di Giovanni Balbani.
Jacopo Barozzi da Vignola (1507-1573) progetta il disegno per il piano ottagonale del Tavolo Guicciardini, (impiallacciato e intarsiato in legni rari ed esotici; piede in legno di noce intagliato con lumeggiature dorate; perno di ferro dorato e argento cesellato, inciso con smalti colorati) che è eseguito da Fra Damiano Zambelli da Bergamo (1480 ca.-1549) e dal fratello Stefano Zambelli (piede intagliato).
Questo celebre oggetto d’arredo rinascimentale è stato al centro della mostra At Home in Renaissance in Italy allestita a Londra nel 2006 al Victoria and Albert Museum.
L’opera, com’è noto, appartenne a Francesco Guicciardini (1483-1540), celebre politico e scrittore fiorentino, amante delle arti. Egli ricevette il tavolo, come si può leggere nel testamento del 1540, dai frati del Convento di San Michele in Bosco di Bologna, durante il periodo in cui Guicciardini fu governatore della città su incarico papale.
La presenza sull’opera dello stemma Guicciardini è unito a quello Salviati, in riferimento a sua moglie Maria d’Alamanno di Averardo Salviati.
L’autore del tavolo è da sempre ritenuto Fra Damiano Zambelli da Bergamo, converso domenicano, autore delle celebrate tarsie della basilica di San Domenico a Bologna, forse il più abile maestro della sua epoca in quest’arte, mentre il disegno è riferito all’attività giovanile dell’architetto Vignola.
Il piano ottagonale del tavolo ha trama geometrica centrale, intarsiata su entrambe le facce e deriva da un mosaico visibile sulla volta del Mausoleo di Santa Costanza a Roma, edificio conosciuto nel Rinascimento come Tempio di Bacco, una delle mete più frequentate dagli artisti dell’epoca alla ricerca dell’antico e pubblicato dal Serlio nel 1537 nel suo quarto libro di architettura.
L’elemento determinante che assegna al Vignola il disegno del centro del tavolo risiede nella passione che quest’ultimo nutrì per quella tipologia di decori, utilizzati durante tutta la sua carriera.
Riguardo al piede intagliato, un tripode che rimanda a basi di antichi candelabri romani, l’attribuzione del lavoro è probabilmente assegnabile a Stefano Zambelli, fratello di Fra Damiano, eccellente intagliatore e in quegli anni anch’esso attivo a Bologna.
Il grande Gian Lorenzo Bernini ritrae Papa Urbano VIII Barberini, nel magnifico Busto di Urbano VIII Barberini, bronzo databile al 1658 e proveniente dalla collezione Corsini di Firenze.
Andrea Bacchi, nella sua scheda in catalogo, scrive: Forse nessun rapporto mecenate-artista del Seicento (per rifarci ad una celebre categoria critica messa a fuoco da Francis Haskell) ha dato origine a così tanti busti, in marmo e in bronzo, al pari di quello che legò Gian Lorenzo Bernini ad Urbano VIII, ed è sorprendente come le due biografie del grande artista del Barocco romano non si soffermino di più su quei capolavori.
Il busto in bronzo di Urbano VIII della collezione Corsini (altezza 101,5 cm) appare dorato nel peduccio e nella piccola ape, allusione araldica ai Barberini. Il ritratto è nella collezione dei Principi Corsini, dove è giunto nella seconda metà del XIX secolo per via matrimoniale, in seguito alle nozze di Anna Barberini e Tommaso Corsini, celebrate nel 1858.
Nel 1681 nella casa di Bernini, si conservavano due busti del pontefice in terracotta, uno ricordato genericamente, l’altro così descritto: “un ritratto di Papa Urbano Ottavo fatto di creta cotta con il suo busto, e piede indorato.” Forse uno di questi era proprio il modello da cui Bernini aveva potuto trarre versioni in bronzo nel corso degli anni.
Con un salto di qualche secolo presentiamo in mostra “La Concezione”, altorilievo in marmo parzialmente dorato, firmato da Adolfo Wildt.
L’opera è esposta insieme ai bozzetti preparatori realizzati dall’artista.
Si tratta di una delle figure più ardue create da Wildt sul mistero della nascita. La Concezione non è frutto di una commissione ma è il prodotto di una visione surreale e fortissima dell’artista.
Dopo la guerra, l’artista torna ai virtuosismi del suo mestiere, in una rappresentazione espressionista che si esprime soprattutto “nelle forme del bambino, negli occhi sferici allontanati ai margini della testa della madre, nella anatomia esasperata del padre” come scrive Paola Mola nel suo Adolfo Wildt, 1868-1931, Milano, 1989.
Un’altra versione in marmo è al museo della Scienza e della Tecnica di Milano mentre un particolare della testa della Madre è in una collezione privata.
L’opera è notissima, proviene (già) dalla collezione milanese di Vanni Scheiwiller e fu subito esposta alla Biennale di Venezia nel 1922, sino alla recente mostra Post Zang Tumb Tuum alla Fondazione Prada, Milano.
Capolavoro del più celebre allievo di Wildt è l’Arlecchino di Lucio Fontana, mosaico policromo datato 1948, proveniente dal Cinema Arlecchino di Milano e oggi in collezione privata.
La figura di Arlecchino in quegli anni aveva riacceso l’immaginazione dei milanesi e nel giugno del 1947, Strehler aprì il sipario del Piccolo Teatro con la famosa commedia di Goldoni: “Arlecchino servitor di due padroni”. Subito dopo lo spettacolo, il protagonista della Commedia dell’Arte divenne così popolare a Milano, che un cinema centralissimo fu battezzato Arlecchino e per la decorazione interna venne chiamato Lucio Fontana.
Fontana realizza così un’opera di grande impatto e la colloca nell’atrio del cinema di via San Pietro all’Orto: il costume di coloratissimi mosaici del suo Arlecchino pareva evocare l’arte dei film in technicolor.
Anche quest’opera è stata dichiarata di eccezionale interesse artistico.
Completa la mostra una scelta di dipinti tra i quali una coppia di nature morte di Paolo Porpora e un olio su tela di Giorgio Morandi del 1940.
Si tratta di un’eccezionale coppia di Nature Morte del napoletano Paolo Porpora che risale al soggiorno romano dell’artista, documentato con certezza dal 1650; i due dipinti vanno paragonati per vicinanza stilistica alle due Nature Morte conservate in Francia al Musée des Beaux-Arts di Valence.
La straordinaria dimensione delle tele permette all’artista partenopeo di rappresentare con maestosità un trionfo di frutta e di fiori e arricchisce le composizioni con citazioni classiche.
La coppia di dipinti Fiori, frutta e un bassorilievo in un paesaggio e Vaso di fiori con frutta, funghi, una fontana e un uccello in un paesaggio (olii su tela, cm 160x190 ciascuno) ha una storia espositiva che inizia alla Royal Academy di Londra nel 1982, prosegue a Torino, a Palazzo Reale ed infine, nel 1984-85, è al centro della celebre mostra Civiltà del Seicento a Napoli, al museo di Capodimonte.
In mostra a Palazzo Grassi nel 1989 in Arte Italiana. Presenze 1900 – 1945, Natura Morta di Giorgio Morandi del 1940 offre una sapiente teoria di vasi e bottiglie, elementi tipici di quel quotidiano tanto caro al pittore che si staglia su fondo neutro dando una sensazione di monumentalità, accentuata dal numero degli oggetti che affollano la scena in primissimo piano, in un perfetto equilibrio statico.