Stefania Fersini – Toreros d’aujourd’hui
Nelle sale di Palazzo Fagnani Ronzoni THE POOL NYC presenta Toreros d’aujourd’hui, la prima mostra personale di Stefania Fersini a Milano.
Comunicato stampa
Il mondo è pieno di oggetti, più o meno interessanti; non voglio aggiungerne altri. Preferisco, semplicemente, affermare l’esistenza delle cose in termini di tempo e/o spazio.
DOUGLAS HUEBLER
Nelle sale di Palazzo Fagnani Ronzoni THE POOL NYC presenta Toreros d’aujourd’hui, la prima mostra personale di Stefania Fersini a Milano. Descrivere l’audace impresa meta-artistica e post-curatoriale di Stefania Fersini (Aosta, 1982) è un atto di altrettanta arditezza critica e narrativa. Del resto, la giovane artista già ha dimostrato una qualità pittorica elusiva estrema, che gioca con l’enigma del riconoscimento – di sé, degli altri – e della concezione dello spazio reale e immaginario – si pensi alle dimore e ai palazzi storici trasformati grazie a opere come Mirror (Casa Mollino, Torino) e Vanitas (Palazzo Reale, Milano).
Per questa singolare installazione – particolare, perché ogni ascesa è determinata da un rischio maggiore – Fersini attua la sua mimesi con lo spazio espositivo in senso stretto: un ripetersi sottile in ogni capolavoro altrui; una frammentazione di sé negli altri; una consapevolezza da scenografa e curatrice; una regia teatrale di un’opera assente, plasmata di vuoti quanto di quotidiani. Infatti, Toreros d’aujourd’hui trasforma Palazzo Fagnani Ronzoni, sede espositiva della galleria THE POOL NYC, nella stessa unica opera di Fersini presentata. Un luogo che diventa etimologicamente domestico, alcova di tinte pastello ed elementi riconoscibili; uno spazio che diviene un perpetuo déjà vu di tende e tappezzerie dipinte parzialmente e in maniera periferica, con mobili e quadri fittizi, che gioca sull'ambivalenza di aspettativa e realtà, sfondo e soggetto, margine e protagonismo. Effettivamente, la “casa” ideata dall’artista è composta da alcuni lavori – vecchi e nuovi, e il fattore tempo è da tenere presente a ogni passo nel labirintico ragionamento – di Aldo Mondino, Hilario Isola e Gabetti e Isola: Fersini è onnipresente, facendo da cornice e da contenitore delle opere dei suddetti, svelandosi a tratti e ricreando la costante elusività che la rappresenta. Ciò che viene rappresentato sull’opera sarà un oggetto legato all’opera stessa e dislocato in spazi diversi. L’oggetto, selezionato da Fersini, non si troverà davanti alla tela che lo potrebbe raffigurare, ma in un’altra stanza. La ricerca, nello spazio, dell’armonia dell’esposizione e della riflessione; lo scampolo tra l’opera reale e quella riprodotta; l’estetica dello scacco dell’osservatore da parte di una narratrice onnisciente e ironica: l’esperienza della mostra è di per sé l’opera – anzi, la meta-opera.
Si aggiunga infine che l’esperienza è intimamente connessa a quella biografica degli artisti, in un continuo scambio genealogico tra precettori e successori; una relazione genetica e artisticamente ereditaria – Hilario Isola, ad esempio, interpreta il lascito intellettuale del padre con il suo Aristotele. Persino il titolo della mostra deriva dal nome di un libro appartenuto ad Aldo Mondino, appositamente scelto da suo figlio Antonio per questa occasione. Con le frasi-indizi di altri autori – ricamate e dipinte con la sua calligrafia – Fersini invita padri e figli a un dialogo artistico e genetico di memi, in un teatro di ricordi e rimandi tra spazio e tempo, garantendo straordinari poteri di meraviglia, attrazione, interrogazione e universalità.
FEDERICA MARIA GIALLOMBARDO