Stefano Di Stasio – Gaetanaccio
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Mostra personale.
Comunicato stampa
GAETANACCIO, OLTRE IL CREPACCIO
Come prende forma per me una mostra d’arte o una pièce di teatro?
Può avvenire in svariati modi: frutto di grazia ricevuta o di lenta maturazione, intrecciando il linguaggio visivo con quello letterario, ma nel caso della mostra “Gaetanaccio” di Stefano Di Stasio vale la pena raccontarlo per la sua unicità.
Ebbene, stavo arrovellandomi nel definire un ciclo di quattro o cinque mostre sul tema “Arte da teatro”. E ci pensavo assiduamente, anche prima di addormentarmi. Così, svegliandomi un mattino, non metto a fuoco a capo del letto, come fosse la prima volta, un piccolo quadro di Di Stasio che invece è già lì appeso da un sacco di tempo?
V’è raffigurato un personaggio che si carica sulle spalle un piccolo teatro, denominato il castello. È Gaetanaccio, lo storico burattinaio ambulante romano. Particolare curioso: affonda fino al polpaccio nel terreno pur non smarrendo il movimento del passo. In quell’attimo mi è balenato in mente di portare sul mini-palcoscenico de l’Attico il personaggio dipinto da Di Stasio. Era perfetto per “Arte da teatro”.
Cosa era successo?
Nottetempo, appeso al muro, proprio sopra la mia testa sognante, è plausibile che Gaetanaccio dal quadro si sia intrufolato nella mia scatola onirica. “Datti una mossa, ragazzaccio!” mi avrà detto verosimilmente. E io, al risveglio, ho avuto chiaro il da farsi: proporre subito a Di Stasio di portare Gaetanaccio alla ribalta.
Entusiasti all’unisono del progetto, né io né Stefano ci siamo interrogati sul suo significato recondito. Certo, il crepaccio scavato nell’asfalto di una strada, come nel quadro, trasposto al centro della scena drammatizza la rappresentazione, fa pensare a un palcoscenico in dissesto.
La sagoma dipinta di Gaetanaccio, che l’attraversa con il castello in spalla, porta in salvo l’essenza del teatro dal teatro che affonda?
Fabio Sargentini
Gaetanaccio e l’eterno ritorno
Gaetanaccio, apparizione inquietante, lirica e ironica, spunta sorridente da una fenditura della terra, in quello che è allo stesso tempo un omaggio al mistero metafisico della pittura e del teatro, due polarità che da sempre accompagnano l’opera di Stefano Di Stasio e che, non a caso, accompagnavano anche quella del suo illustre predecessore Giorgio de Chirico.
L’antico burattinaio romano, morto di stenti per le durezze della censura pontificia, tiene in mano un tamburello e porta sulle spalle il suo “castello”, il teatrino mobile, privato però dei burattini che animavano i suoi spettacoli.
Lo stesso teatrino ritorna invece come una presenza enigmatica nel quadro (e nello studio preparatorio) dominato dal vuoto, dalla successione architettonica e metafisica delle ombre e dalla figura di un violinista androgino, quasi la rinnovata e ambigua immagine di un antico cantore apollineo.
Il quadro e il suo doppio monocromo sono costruiti dunque in modo orizzontale, dando vita alla dialettica e all’incontro armonico tra il teatrino senza burattini e la malinconia del violinista, che sembra accordare il suo strumento sullo spazio attraversato dal vento che muove un sipario senza attori.
Ci si può chiedere quindi se non sia il vuoto il vero protagonista di questa mostra, il vuoto che abita lo spazio minimo del teatrino nella stanza e che si spalanca nella crepa scenica del teatro più grande.
Non a caso, sono le ombre, nella loro linea sottile o nella loro profondità abitata ad animare il confronto tra il quadro, il disegno e la sagoma installata nel teatro de L’Attico, in una sorta di inafferrabile percorso di anabasi e catabasi, di discesa agli inferi e di risurrezione dall’abisso della fenditura tenebrosa.
“Gaetanaccio nel crepaccio” si trasforma così nell’evocazione dell’eterna caduta e dell’eterno ritorno di un nuovo, beffardo Orfeo romano, nel simbolo della scomparsa e della rinascita del teatro e della pittura, due arti date perennemente per morte e che qui possono risorgere insieme, accompagnate dal battito vitale del tamburello dell’antico burattinaio.
Lorenzo Canova