Stefano Peroli – Cinque figure nel paesaggio (un quadro)
Surplace presenta la seconda mostra personale di Stefano Peroli.
Comunicato stampa
Surplace presenta la seconda mostra personale di Stefano Peroli.
In mostra “Cinque figure nel paesaggio”, un’opera del 2021-2024 presentata a muro senza il tradizionale telaio, e un piccolo lavoro su carta millimetrata, proveniente dalla mia collezione privata di opere di Stefano (…cinque erano le Teste nel paesaggio presentate nella sua precedente mostra del 2017). Cinque figure nel paesaggio è stato realizzato in due momenti distinti, in un tempo dilatato. Sono del 2021 le figure, del 2024 le teste; appaiono una accanto all’altra, in sequenza e nello stesso ambito spaziale, il vuoto di un paesaggio non rappresentabile, indefinito, senza punti di riferimento, è impossibile darne misura. Sono figure in praesentia nel tempo dell’immemore, figure senza sfondo che non si toccano, non si sovrappongono, non si raccontano; sono vicine ma separate, ognuna occupa la sua porzione di spazio e rimane muta alla presenza delle altre, con l’enigmatica presenza di un pene (un pene qualunque) che entra in campo dal lato destro del quadro. Ectoplasmi assisi e teste con occhi in fissa, occhi aperti ad interpellarci (in altre opere gli occhi delle sue teste sono piccole fessure, un limite del senso); qui gli altri sensi, le altre partire dell’uomo sul mondo, non sono presenti. I lavori “spettrali” di Stefano sarebbero piaciuti a Tiphaigne de la Roche, l’autore del romanzo Giphantie… del 1760. Porre uno iato, una distanza (spirito è anche un po’ medium, qualcosa che sta tra, che sta in mezzo, oltre che un mezzo…) è manipolare il senso dello spazio e aprirlo al pensiero, e per le figure e gli sguardi delle teste di Stefano (da tempo “segni” centrali nella sua ricerca pittorica) la distanza è una metafora dell’io e del non-io. Le figure, chissà se sono immagini oniriche… sono avvicinate, ma non si sfiorano, non conoscono la mutua condivisione, sono messe in dimora nel paesaggio che condividono solo come un desiderio, uno spazio del pensiero, e le figure vi si adattano, riflessive, anonime, per proteggersi dal reale. La rimessa in opera del lavoro, dopo qualche anno, testimonia il tempo aperto dell’attesa, non è per Stefano un procrastinare, un rimandare il lavoro, ma un ritrovare in sito delle possibilità, testimoniare la durata del pensiero nella stessa pratica pittorica, una dinamica silenziosa e meditativa del fare arte, in cui il rapporto con la pittura è simbiotico, sentito, legato alla costruzione della pittura come segno lento, decantato e disincantato, che segnala indicibilmente il passaggio del tempo, quello privato, quello della messa in prova e della resistenza del proprio fare pittura al reale della contingenza, dell’economia del fare pittura, nel senso proprio del prendersi cura del segno, come una sutura, un segmento del proprio essere in moto, che fa sbocciare lo sguardo dell’attenzione che è anche lo sguardo della pittura che si ri-guarda, che ritorna così, a distanza, nello sguardo del suo autore. Un tempo che non esiste alla fine… Come dichiara Stefano “dipingo solo - durante il mio senso di continuità a singhiozzo -, come dice la Rosselli, la poetessa che amo di più. Solo una mezz’ora, è una mezz’ora che funziona dato che, in fondo, il tempo non esiste. Suggerisco al proposito una lettura al testo “Alla fine degli anni novanta mollasti tutto” presente sul suo sito. Le figure aspettano.
Luca Scarabelli
STEFANO PEROLI (Milano, 1958)