Stefano Peroli – Figure nel paesaggio
Mostra personale.
Comunicato stampa
Secondo la teoria della Gestalt, alla percezione visiva umana si applica un principio di preferenza gerarchica che individua in un’immagine l’elemento denominato “figura” e un campo restante definito “sfondo”. Tale assioma viene sorretto anche dall’esistenza di eccezioni, immagini cosiddette “ambigue” nelle quali, al mutare della messa a fuoco, figura e sfondo possono scambiarsi di ruolo, passare da uno stato all’altro come libere da contesti e contorni. Per una certa storia della pittura, la selezione di uno dei cardini della visione potrebbe aver dato luogo allo sviluppo di due generi distinti: il ritratto e il paesaggio.
Stefano Peroli sembra optare per una scelta drastica e radicale: eliminare la figura dal paesaggio e viceversa. Non si tratta di una cancellazione, tanto meno di iconoclastia. Si assiste piuttosto ad una concentrazione di sforzi, ad una riflessione sull’energia potenziale del quadro.
Già agli albori dagli anni Novanta, Concetto Pozzati si interrogava sulla possibilità di dipingere ancora, soprattutto paesaggi (Impossibile paesaggio, 1991), la sua era un’incognita diretta non tanto alle ipotesi compositive o alle facoltà rappresentative, quanto alla reale necessità di protrarre una sollecitazione.
Accade allora, come in Senza titolo (2011), che l’orizzonte si schiacci fino alla base della tela, producendo un esile profilo montano nel quale si rispecchia una veduta cara all’artista, il resto della superficie rimane privo di pigmento occupato da una griglia che suddivide lo spazio come a prefigurare un’ipotetica composizione futura. Le uniche forme che invadono lo schema sul lato destro sono molli, penzolanti, arcuate. Ricordano in qualche modo gli 11 cetacei (2006), guizzi di acrilico bianco che si muovono liberi su una campitura acquosa che riempie lo spazio del quadro come una texture. Tra le due opere si impone un repentino cambio del punto di vista, dalla frontalità delle sagome alpine si trasla ad una veduta marina aerea, a volo d’uccello, per poi innalzarsi ancora verso una distasa zenitale in Finis Terrae (2017). Si fa luce l’idea di una mappa, la traccia di una Pangea in espansione che cerca collocazione soppiantando il vuoto, conquistando centimetri attraverso l’alternanza di fragili lingue e fiordi discontinui.
Così come nei paesaggi, anche per i cicli delle Figure e delle Teste il dato primario affonda in una tensione tra poli in opposizione. Alla base di questi dipinti è il sottile limite tra gesto e sembianza, il primo infatti si ripete, tentativo dopo tentativo, per rimanere in bilico tra forma (form) e figura (shape), mentre la seconda appare e scompare a seconda della posizione dell’occhio di chi guarda. Gli occhi e lo sguardo sono per certi versi al centro della poetica di Stefano Peroli e, specialmente nelle Teste, ciò risulta ancora più evidente. Mentre la conformazione dei visi, dei corpi, si emancipa dalla macchia per tendere verso la sagoma, il vero punto di attrazione sono palpebre chiuse, bulbi oculari, linee in procinto di schiudersi, fino ad occhi completamente aperti. E da qui si può ripartire per una nuova visione.
Testo critico : Claudio Musso