Sul segno degli artisti#22 – Sergio Fiorentino
Dodici artisti presentati, nell’arco di un anno, con 12 lavori ciascuno e raccolti in un catalogo annuale. Lo zodiaco costituirà ciclicamente per 12 anni l’imprevedibile percorso di una lunga mostra sul segno astrale di 144 artisti prescelti, per un ammontare cabalistico di 1728 opere da esporre.
Comunicato stampa
Dodici artisti da presentare nell'arco di un anno con 12 lavori ciascuno. Alla fine dell'anno sarà pubblicato un catalogo edito dalla Salarchi Immagini, nel segno degli (astri) artisti prescelti, con 144 opere: esso costituirà ciclicamente per dodici anni il corpo ideale di una sinestesia simbolica da deporre nella collana editoriale “Sul segno degli artisti” in dodici volumi, per un ammontare cabalistico di 1728 opere d'arte esposte, prodotte da 144 artisti.
Sabato 26 luglio 2014, alle ore 19, organizzata da Archinet e dalla Fondazione degli Archi,in collaborazione e con il patrocinio dell'Assessorato alla Cultura della Città di Ragusa, presso il Castello di Donnafugata è la volta, per il ciclo degli autori del Toro, dell'artista Sergio Fiorentino. Il ventiduesimo appuntamento della rassegna “Sul segno degli artisti” è dedicato per pura coincidenza cabalistica ad un pittore catanese emergente che ha deciso di stare nella figurazione ritagliandosi, però, uno spazio pittorico che volteggia, contraddicendone l'ingombrante causticità corporea dei soggetti ritratti (spesse volte, raddoppiando o triplicando le singole identità), verso un'assunzione figurativa eterea ed incorporea, metafisica e fantascientifica, iconoclasta. Extraterrestri o multiple identità che cercano dolorosamente di attraversare la sottile patina delle infinite stringhe che li separa, pronti a scoprirsi impauriti della loro esistenza, necessaria, nei diversi mondi paralleli, in una sorta di traslato salto quantico finale.
Dal testo di Antonio D'Amico
A prescindere dall'identità
di Antonio D'Amico
Il poeta fissa il ricordo di un volto a lui caro nell’acqua tremolante che gli restituisce l’immagine di un passato distante ma pregno di emozioni, vivo, ancora pulsante. Il suo è uno sguardo sul tempo che illumina il vissuto trascorso. Le visioni che Sergio Fiorentino fissa sulla tela vanno oltre il fluire delle emozioni, invocano il bisogno di fermare il tempo e i suoi inesorabili mutamenti. Gli uomini e le donne che dipinge con pennellate corpose, ora nervose ora scandite con ritmi striscianti, appaiono segnati da flebili “barbe” di materia cromatica e densi di sfumature luminose di una luce artificiale che si stagliano sugli incarnati, restituendoceli immersi in un tempo senza tempo. Queste figure non sono ritratti di volti a lui cari, sono immagini della mente, visioni, che l’artista catanese blocca per non farle cadere nell’oblio, per non farle sparire dal suo frammentario vedere. Fiorentino dunque, scavalca il tempo e persegue la fissità, l’eterno immobilismo.
Immobili sono i suoi Tuffatori, senza scansione di movimento, seppur suggerito; figure che fermate in volo, quasi aspettano di congiungersi al mare azzurro che rimane comunque distante. Il suo è uno spazio metafisico in cui è assente qualsiasi forma di mutamento: il suo azzurro è l’idea del mare o del cielo, che supera la natura e si innalza in una visone esternatrice.
Alla visione idealizzata della realtà si ricongiunge il suo io, anch’esso lontano dal reale ma unito ad esso dal silenzio, un silenzio assordante in cui il se stesso si è sdoppiato, così come si sdoppiano i suoi Gemelli. In Sergio Fiorentino l’io sembra coincidere con il pensiero sulle cose, con una identità pensata e non vissuta, in un microcosmo meditato e non guardato. Egli in un certo senso si scopre portatore di un io che per bloccare il mostruoso culto dei fatti, come direbbe Oscar Wilde, ha bisogno di specchiarsi in un altro da se, per meglio fissarsi nello spazio e riconoscersi.
Ma l’io è mutevole, la sua fisionomia cambia da un momento all’altro e anche nel tentativo di bloccarlo sulla tela, di sdoppiarlo, di liberarlo da tutti i condizionamenti interni ed esterni, non sarà mai lo stesso, non potrà mai essere catturato, avrà sempre piccoli e significativi mutamenti. Sergio Fiorentino per queste ragioni è figlio della poetica pirandelliana, per la quale l’identità non si può fissare, non si sa mai dove risiede e così come in Pirandello anche in Fiorentino l’io si frantuma.
L’unica illusione salvifica è farne una copia e da questa un’altra ancora che comunque sarà sempre diversa dalla prima. I suoi volti, dai Ritratti, ai Gemelli, ai Santi, difatti non rappresentano l’identità della persona, bensì la volontà, il desiderio, il bisogno di fissare le sue visioni.
Nelle opere dell’artista catanese, ogni pseudo identità è Uno, nessuno e centomila, rafforzando la filosofia pirandelliana che ci insegna, che l’essere umano si identifica con la sovrapposizione di quegli elementi che la realtà esterna deposita sull’io giorno dopo giorno e momento dopo momento.
Nei dipinti di Sergio Fiorentino si cristallizzano parti del suo io frammentato, che non ritraggono mai dati di fatto, mai cose tra le cose, mai vivacità del quotidiano, mai il ricordo affettuoso delle persone care, ma sono una dimensione accessibile solo all’attività del pensiero, solo all’interpretazione singolare, come elaborazione della mente.
Sergio Fiorentino descrive un mondo fatto di sguardi e silenzi che comunicano intimità sorde in cui non sono contemplate le emozioni, bensì pensieri multipli che si avvicinano alla realtà e ne rendono conto soltanto mentre se ne allontanano da essa, a prescindere dall’identità. Egli non cerca immediate verifiche, non si piega alla trasparenza dei suoi pensieri, alla comunicabilità effettuale. Non sente ragione di dover dare un nome a tutti i suoi pensieri e, come Alessandro Baricco in Castelli di rabbia, le sue opere sembrano ricordare tutto ma non il nome. Si ricordava anche il profumo che aveva. Ma il nome no, quello lo immetterebbe nell’effettività ed egli non vuol viverla