Terra italiana
In mostra questa apparente semplice parola, “Terra”, assume una dimensione quasi magica rivelandosi in un fitto intreccio di riferimenti fatti di considerazioni di tipo geografico (esplicite in quell’«italiana») che si vanno a sovrapporre però a riflessioni più complesse su come il corpo tangibile e concreto dell’arte sappia manifestarsi in completa indipendenza dal supporto utilizzato.
Comunicato stampa
L'esposizione che inaugura il nuovo anno della Galleria d'Arte Maggiore di Bologna rivela un originale filo conduttore nella scelta di Franco e Roberta Calarota di declinare in modo diversificato ma organico il tema della "Terra". In mostra questa apparente semplice parola, "Terra", assume una dimensione quasi magica rivelandosi in un fitto intreccio di riferimenti fatti di considerazioni di tipo geografico (esplicite in quell'«italiana») che si vanno a sovrapporre però a riflessioni più complesse su come il corpo tangibile e concreto dell'arte sappia manifestarsi in completa indipendenza dal supporto utilizzato. Gli artisti selezionati per rivelare questi intriganti giochi di rimandi sono Mimmo Paladino – di cui si esporranno sculture e dipinti che spaziano dagli anni Ottanta ai giorni nostri – Leoncillo di cui si dà rilievo soprattutto alla fase informale, per continuare con le opere di Sando Chia ancora inedite per il pubblico italiano. Completano l'esposizione le opere di Roberto Sebastian Matta, di cui si selezionano le suggestive terre colorare e i lavori su tela di juta.
"Terra Italiana" è volutamente un titolo che gioca sull'ambiguità e sulle molteplici letture che può offrire. Anche il semplice livello letterale è doppio. A seconda della parola su cui facciamo ricadere l'accento, se su "Terra" o su "Italiana", la mostra diventa un omaggio alla materia che, come elemento concreto, emerge dalla superficie di una tela o si fa struttura stessa dell'opera per poi però entrare in un universo geografico e in una dimesione evocativa più sfumata in cui le tecniche e i materiali, da soli, non riescono più a definire una mostra che si rivela quindi nella sua autenticità solo a un livello di lettura più complesso. Non siamo davanti infatti solo a sculture, ma anche a lavori su tela e tecniche miste su carta, che condividono però una comune tensione verso una dimensione concreta e tattile: una tendenza esplicita ed intrinseca all'opera nel caso della ceramica che si fa scultura, più sottile e psicologica, invece, nell'anelito alla tridimensionalità espresso dall'aggiunta di materiali che emergono dalla tela o nella tavolozza che si colora di paste terrose. Il tutto in un omaggio al nostro paese - anche nel caso di Matta che a un certo punto della sua vita sceglie proprio l'Italia come terra d'elezione.
Mimmo Paladino è un artista nomade, che ama attraversare i vari territori dell'arte, sia in senso geografico che temporale e con la massima libertà tecnica e creativa. Fortemente impegnato nel recupero delle radici storiche e delle tradizioni della sua terra natia (il Sud dell'Italia, un luogo pieno di magia e mistero in cui affondare le radici per nutrirsi di miti), Paladino crea opere dalle forti suggestioni arcaiche che amano includere simboli greco-romani, etruschi e della prima Cristianità e traggono spesso ispirazione da temi mitologici. Da sempre coinvolto nella sperimentazione di molteplici tecniche artistiche, negli ultimi vent'anni arriva a realizzare opere che oltrepassano i limiti del manufatto per diventare installazioni, architetture o veri e propri lavori di urbanistica, espressioni diverse in cui far vivere le proprie invenzioni.
L'accento della mostra si sposta più spiccatamente a favore della parola "terra" con un artista che ha scelto la ceramica come mezzo privilegiato attraverso cui esprimere la sua arte: Leoncillo. La storia artistica di Leoncillo è legata inscindibilmente all’utilizzo di questo materiale a partire dalle prime opere di ispirazione espressionista fino al linguaggio informale rappresentato in mostra dal “Taglio rosso” del '63. Non meno interessanti sono le tecniche miste su carta, a cui la mostra dà il meritato rilievo. Questi "disegni" sono innanzitutto materia strappata al caos, formata attraverso un lavoro accanitissimo, un corpo a corpo che investe la carta, i cartoni, le terre, gli inchiostri, per trasformarli in qualcos'altro. Diventano pertanto i perfetti contraltari dei tagli nelle sculture, così ricchi di cromia e plasticità, e nelle gocce che da queste ferite della terra emergono rosse, laccate e squillanti.
Con Sandro Chia l'attenzione torna sulla Transavanguardia già attraversata con Paladino. In Chia affascina quella mescolanza di fantasia e sentimento, poesia e ironia, che caratterizza la sua arte. Molto
forte il legame con l'Italia. Nelle sue opere ne ritroviamo le origini e la storia dell’arte, rivisitate con una personalità del tutto nuova in opere che si rivelano sempre in una doppia valenza: come sostanza pittorica e come forma mentale. La "Terra Italiana" si fa quindi essenzialmente memoria culturale, in un universo iconografico che si nutre indistintamente dell'antico come del moderno e che si ispira con leggerezza e ironia a un ampio territorio artistico. E ancora una volta, siamo davanti ad opere che non hanno timore di misurarsi con molteplici linguaggi: dalla pittura alla scultura, dal mosaico alla ceramica.
"Posso dire che la materia è una cosa meravigliosa. È ciò che una volta si chiamava «natura divina». [...] Entrare in materia è come entrare in un oceano." E' così che la mostra si conclude in una dimensione di "Terra" più onirica e misteriosa. Queste parole sono infatti pronunciate da Roberto Sebastian Matta, protagonista del movimento surrealista e poi maestro di tutta la generazione di artisti americani più giovani che sarebbero diventati i protagonisti dell'Espressionismo Astratto tra cui Pollok e Gorky. Con Matta si entra in un nuovo modo di intendere lo spazio e la materia. Per capirlo basta affidarsi alle parole di Marcel Duchamp che nel 1946 scriveva come Matta avesse scoperto regioni dello spazio sino ad allora inesplorate. Certo non è facile spiegare quella ignota regione che Matta ha tradotto in immagini e che quindi non è più una terra vergine inesplorata. Ma i domini dell'arte non hanno geografia e per penetrarvi non servono mappe. Lo spazio che Matta ci propone è, di fatto, una pura congettura dell'immaginazione. In mostra si esporranno i lavori in cui questo rapporto con la materia si fa più viscerale: le terre colorate, i lavori su tela di juta e le sculture.
Una mostra quindi che va oltre a un'indicazione prettamente geografica o a un riferimento univoco verso una tecnica e un materiale per evocare invece una dimensione più ampia e meno scontata.