Territori della performance: percorsi e pratiche in Italia (1967–1982)
Oltre 100 contributi tra fotografie, disegni, schizzi, riviste e pubblicazioni dell’epoca, video, testimonianze orali per raccontare quindici anni di grande sperimentazione delle pratiche performative in Italia, nel pieno dei movimenti d’avanguardia degli anni Settanta.
Comunicato stampa
Da Jannis Kounellis a Laurie Anderson, da Marina Abramovic a Vettor Pisani, da Luigi Ontani a Tomaso Binga
il racconto della grande sperimentazione nelle arti performative in Italia con il focus Territori della performance: percorsi e pratiche in Italia
(1967 – 1982)
a cura di Lara Conte e Francesca Gallo
21 ottobre 2022 - 28 maggio 2023
Archive Wall | ingresso libero
www.maxxi.art | Cartella stampa e immagini: maxxi.art/area-riservata/ password areariservatamaxxi
Roma, 20 ottobre 2022. Oltre 100 contributi tra fotografie, disegni, schizzi, riviste e pubblicazioni dell’epoca, video, testimonianze orali per raccontare quindici anni di grande sperimentazione delle pratiche performative in Italia, nel pieno dei movimenti d’avanguardia degli anni Settanta. È il focus Territori della performance: percorsi e pratiche in Italia (1967 – 1982) a cura di Lara Conte (docente di storia dell’arte contemporanea all’Università Roma Tre) e Francesca Gallo (docente di Storia dell’arte si storia dell’arte contemporanea alla Sapienza Università Roma) in programma al MAXXI, negli spazi dell’Archive Wall, dal 21 ottobre 2022 fino al 28 maggio 2023.
Il progetto espositivo si propone di attraversare criticamente un territorio vasto, sfrangiato e ancora in buona parte sommerso: quello delle pratiche performative in Italia, in particolare nella stagione cruciale che si dipana dalla fine degli anni Sessanta ai primi anni Ottanta, un momento storico marcato da grandi cambiamenti sociali, politici e culturali che hanno portato al definitivo riconoscimento della performance all’interno della storia dell’arte.
Attraverso un’inedita mappatura geografica e topografica, il focus racconta le pratiche performative, sfuggenti per natura ai processi lineari di storicizzazione, con una particolare attenzione alla duplice dimensione territoriale in cui hanno avuto luogo, quella geografica e quella degli spazi di accadimento del gesto performativo.
Il percorso espositivo si delinea, infatti, su quattro aree cromatiche corrispondenti allo studio e all’ambiente domestico (verde), alla galleria (arancione), agli spazi informali e alternativi (grigio) e al contesto istituzionale (giallo). Ci immergiamo ad esempio in ambienti privati, come lo studio dell’artista o del fotografo, con le azioni di Renato Mambor, Marisa Merz, Vettor Pisani; attraverso la documentazione degli interventi di Vito Acconci, Jannis Kounellis, Meredith Monk, Luigi Ontani e Gina Pane emerge la costellazione delle gallerie che in Italia ha svolto un lavoro pionieristico per la performance; con artisti come Laurie Anderson, Giuseppe Desiato, Joan Jonas e ORLAN scopriamo spazi di intervento informali e realtà espositive alternative; Marina Abramovic, Tomaso Binga, Yayoi Kusama, Carolee Schneeman, invece, ci portano all’interno di istituzioni e grandi rassegne.
Oltre i sopra citati, dai documenti emergono figure centrali dell’epoca, tra le quali: Joseph Beuys, John Cage, Giuseppe Chiari, Gino De Dominicis, Luciano Fabro, Urs Lüthi, Eliseo Mattiacci, Fabio Mauri, Hermann Nitsch, Cesare Pietroiusti, Michelangelo Pistoletto, Demetrio Stratos, Gilberto Zorio, solo per citare alcuni nomi.
Il filo conduttore individuato dalle curatrici, che lega tra loro le diverse pratiche artistiche che hanno avuto luogo in grandi città così come in contesti periferici della penisola, è la centralità del corpo come strategia di autoaffermazione da parte di artiste e artisti. Attraverso questa nuova attenzione al gesto performativo emergono questioni legate all’identità e all’autorappresentazione, alla politica, all’antropologia, al mito e alla storia dell’arte.
In stretta relazione con l’Archive Wall, i tavoli-vetrine sviluppano quattro focus tematici che permettono di approfondire alcuni aspetti legati allo studio e alla ricezione della performance art, come la fluidità e la pluralità lessicale, i contesti espositivi e la relazione tra pratica e documentazione fotografica.