Tetsuro Shimizu – Polifonia di colore
Mostra personale.
Comunicato stampa
Può essere inutile, oggi, nel parlare di un artista che proviene da un altro paese, da un’altra cultura rispetto a quella nella quale si è inserito, prendere in esame il suo lavoro come frutto di un incrocio di storie e visioni differenti, dato che il mondo in cui viviamo ha ridotto le distanze e reso le posizioni individuali il frutto di complesse reti di relazioni.
Si tratta però di un dato che non si può tralasciare, anche perché, nel caso di Tetsuro Shimizu - che dal 1° al 28 febbraio allo Spazio d'Arte Scoglio di Quarto presenta la sua nuova mostra "Polifonia di colore" a cura di Francesco Tedeschi - come artista ha avuto una prima formazione in Giappone, dove ha anche effettuato le sue prime mostre, e solo all’età di quasi trent’anni si è trasferito, con la moglie Ayako Nakamiya, anche lei pittrice, a Milano...Anzi all’Accademia di Brera, si dovrebbe dire, luogo nel quale ha avuto modo di incontrare artisti e persone che non solo l’hanno accolto e apprezzato, ma hanno avuto un ulteriore ruolo formativo nei suoi confronti.
Se da Oriente viene la sua attenzione per l’impermanenza, la finezza, ma anche la sensibilità per colori e spazi che si creano nei gesti e nell’unione di due modi opposti di concepire la forma mobile ed espansiva del colore e la decisa energia delle fenditure che incidono le sue superfici, dall’Occidente provengono le riflessioni interne, magari non volute o non del tutto coscientizzate, che lo pongono ormai dentro un’altra storia, rispetto a quella di partenza. Storia che è quella di una pittura che riprende a essere territorio espressivo e narrativo, dopo i passaggi che hanno spinto la pittura nell’ambito delle tautologiche rappresentazioni del suo alfabeto linguistico. Credo infatti che per avvicinare l’opera di Shimizu non sia fuori luogo richiamare le posizioni della pittura analitica, degli autori francesi di Support-Surface e di quegli artisti europei che hanno reso il dipingere un fattore mentale, decostruendone le ragioni.
Il rapporto con queste situazioni non è diretto, ma mediato. Mediato da quegli artisti, tutti dichiaratamente “pittori”, con i quali si è rivelata, tra gli anni Ottanta e Novanta, con Tetsuro una forte affinità. E penso qui a Gottardo Ortelli, a Italo Bressan, a Claudio Olivieri, a Mario Raciti, che insieme ad altri, in quel periodo, che si protrae per alcuni di loro ancora nel presente, avevano riaperto la possibilità di ricorrere al segno e al colore non come derivazioni di un processo di pensiero, ma come fonte di stupore, motivo di esplorazione dell’interiorità attraverso la sua valenza visiva e sensoriale, qualcosa insomma che vuole unire ragione e sentimento.
Questa collocazione storico-critica essenziale può valere per ritornare alla pittura specifica di Tetsuro Shimizu, i cui caratteri sono stati ben analizzati nei testi di Claudio Cerritelli, Alberto Veca, Flaminio Gualdoni e Matteo Galbiati, che hanno seguito quest’area espressiva nel corso degli anni. Il colore ne è il protagonista, come materia e come forma dell’essere. Un colore che giunge alla sua condizione di superficie attraverso diversi momenti, diversi passaggi, che non sono solo preliminari, ma costituiscono il corpo di una massa vibrante, in movimento, capace di assorbire luci, spazi, tempi, che sono quelli di cui la tradizione pittorica occidentale e moderna si è nutrita nei passaggi generazionali. Mi segnala, Shimizu, la sua passione per Cézanne, ma si può pensare alla memoria di Matisse e di Bonnard, come riferimenti ideali divenuti guide nella quotidianità dello studio.
Colore che assorbe il respiro delle cose e si traduce in campo aperto, corpo morbido di suadenti epidermidi, ma anche luogo del mistero, dove luce e ombra si avvicendano, intrecciandosi. Il retaggio della stagione precedente, quella degli anni Settanta, e della pittura analitica, può riconoscersi negli elementi accessori, che completano la natura del quadro, vale a dire la sagomatura della tela, che va a rompere la forma del quadro tradizionale, e le incisioni che ne intaccano il telaio, ne tracciano delle direzioni interne e ulteriori, contribuiscono a uno sbilanciamento che è forse necessario, perché la natura della pittura, per Tetsuro Shimizu, è fondata sulla indefinitezza, sulla impermanenza, sull’improvviso emergere di un limite, tutte cose che hanno a che fare con quell’incontro personale fra mondi e culture che nella sua pittura trova una manifestazione fortemente individuata.
Nei lavori esposti a Milano, realizzati quasi tutti nel corso del 2022, si riscontra una continuità con il suo lavoro precedente, soprattutto nei corpi di luce, mi verrebbe da denominarli, che dialogano con il senso del notturno, del vuoto, per quanto in ciascuna delle sue tele troviamo la compresenza di tracce dell’una e dell’altra condizione, evocate attraverso il processo che dall’occhio si trasmette al modo di sentire, in sintonia con processi indagati dall’estetica romantica.
Una nota in certo senso originale, perché insistita, più che completamente nuova, è quella dei dipinti sulle tonalità del verde, colore/colori che Tetsuro ha poco praticato, per non incorrere in una lettura in chiave naturalistica, ma che ora, consolidata la dimensione di una qualità autonoma dell’energia cromatica da lui praticata, può riaffiorare, possibile elemento di mediazione fra il dato sensibile e quello emotivo, fra le qualità attive e quelle contemplative, che sono parte del suo linguaggio pittorico nel suo insieme, per cui il meccanismo della mostra deve essere considerato nel suo funzionamento complessivo, dove le opere si rispondono.