Thalia Kerouli – Somatica
Somatica, forma neutra e plurale dal greco σωματικός, «corpo», è il risultato di una riflessione poetica e insieme anatomica sugli strati costitutivi del corpo, dagli organi interni alla pelle.
Comunicato stampa
Somatica, forma neutra e plurale dal greco σωματικός, «corpo», è il risultato di una riflessione poetica e insieme anatomica sugli strati costitutivi del corpo, dagli organi interni alla pelle. L’artista Thalia Kerouli riveste completamente le superfici disponibili nello spazio con un assemblaggio di carte dipinte con pigmenti naturali ed essiccate al sole fino al raggiungimento di una consistenza rigida e friabile allo stesso tempo. Il pavimento e le pareti sono dunque utilizzati come uno scheletro architettonico su cui l’artista innesta una nuova pelle.
Come il corpo è il primo tramite per l’esperienza e la relazione con l’altro, così l’opera chiede all’osservatore di stabilire un contatto, si lascia calpestare ed esplorare da vicino, esposta nella sua fragilità come ogni altro essere vivente. È proprio nell’attraversamento dell’opera che l’artista genera paradossi e ambiguità che alterano la percezione dello spazio, sfumando la distinzione tra interno ed esterno, o meglio tra interiora e superficie cutanea. Entriamo nell’opera attraverso la porta d’ingresso come Giona entra nel ventre della balena dalle sue fauci. Lo spazio, allora, somiglia allo stomaco di chissà quale creatura che ci rigetta infine come un boccone indigesto. Possiamo confonderci come Astolfo dell’Orlando Furioso, sentirci in trappola come Pinocchio ingoiato da un mostro marino, perderci e restare immobili come il Soldatino di piombo nella favola di Andersen. L’installazione ci inghiotte nel suo ventre caldo. Poi tutti salvi, tutti risputati nel mondo.
Alle possibilità di uno sguardo endoscopico che rende l’opera simile alla membrana addominale di una creatura zoomorfa, Thalia Kerouli affianca una riflessione sulla membrana epidermica, spostando l’attenzione dall’interno al confine più esterno del corpo. Carta e pelle si confrontano in un mutuo scambio di fibre – cellulosa e cellule si confondono fino al parossismo – entrambe concepite come supporto di registrazione di dati, storie raccontate dai segni in superficie, da rugosità e cicatrici. Indagando il potere semiotico della pelle, l’artista recupera dalle proprie radici greche il mito di Marsia, appeso ad un albero e scuoiato vivo da Apollo, e ne riecheggia la suggestione inserendosi in una cruda iconografia del corpo, antica e contemporanea, insieme ad opere come La bottega del Macellaio di Annibale Carracci (1585), o Vanitas: Flesh Dress for An Albino Anorectic di Jana Sterbak (1987), dove la carne si fa abito. Per Kerouli, è la pelle il primo abito che si indossa, e il corpo si sfoglia come una pagina su cui leggere le tracce di accadimenti personali e collettivi. La pelle è campo aperto di percezioni e relazioni, interfaccia e schermo che riflette l’esperienza delle cose. Nell’intensa stratificazione a cui l’artista sottopone lo spazio espositivo, l’immagine della pelle secca e vuota come quella di un serpente dopo la muta diventa metafora e involucro di un corpo che è stato. E su un sottile foglio di pelle, resta l’evidenza più profonda dell’essere nel mondo.
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Thalia Kerouli (Heraklion, Creta), vive tra la Grecia e l’Italia, dove studia Pittura all’Accademia di Belle Arti di Napoli. La sua ricerca più recente si concentra sull’utilizzo della carta, utilizzata come supporto in cui forma e colore risultano inseparabili. Tra le mostre più recenti: “Alone”, Trento Art Festival, Trento, 2022, “Sarca, Egiidon 31”, Atene, 2021; “Hartigrafia”, PAN Palazzo delle Arti di Napoli, 2019.
https://thaliakerouli.wixsite.com/arte
ENG:
Somatica, neuter plural adjective from the Greek σωματικός, wich means "body", arises from a poetic and anatomical reflection on human body layers, from the inner organs to the skin. Artist Thalia Kerouli covers the whole exhibition space with an assemblage of papers painted with natural pigments and sun-dried until they get a rigid and yet friable texture. Floor and walls therefore function as an architectural backbone on which a new skin is grafted.
Just as the body is the main conduit for experience and relationship with others, so the work demand physical touch from the viewer, it can get stepped on or be explored from close-up, revealing its own weaknesses just like any other living being. In fact, by allowing the viewer to go through the work, the artist alters the space perception with paradoxes and ambiguities which blur the distinction between inside and outside, or rather between guts and epidermis. We step through the front door and we are immediately surrounded by the work, kind of like Jonah entering the whale's belly from its maw. Thus, the space resembles the stomach of a creature that spews us out like an indigestible bite. We can feel dizzy like Astolfo from Ariosto's ’Orlando Furioso, we can feel trapped like Pinocchio swallowed by a sea monster, or simply get lost and stand still like the Tin Soldier in the tale by Andersen. First the installation engulfs us in her warm stomach, but then it saves us, spitting us out into the world again.
Drawing attention from the inside-out of the body, the artist creates a double key to access the work: from an endoscopic view, the installation evokes the abdominal tissue of a zoomorphic creature, but from an outside perspective it recalls the epithelium, the last layer of the body. Paper and skin share their fibers – cellulose and cells are mixed to paroxysm - both conceived as recording media of all the stories that one can read though marks, roughness, and scars on the surfaces. In her investigation on the semiotic power of the skin, the artist gets back to her Greek roots by evoking the myth of Marsyas, who was hang on a tree and skinned alive by Apollo; this mythological figure is the starting point of a crude iconography of the body from ancient to contemporary times, along with artworks such as La bottega del Macellaio by Italian painter Annibale Carracci (1585), or Vanitas: Flesh Dress for An Albino Anorectic by Jana Sterbak (1987), who realized a female dress made of raw flesh. Instead, Kerouli conceives the skin as the very first dress people wear, and the body as something which can be leafed through like a book where traces of personal and common experiences are told. The skin is the open field of feelings and relationships, an interface and a screen showing how things are lived. Kerouli deeply stratifies the exhibition space until it looks like a snake which has shed its skin, metaphor for the empty shell of one body. And right on a delicate sheet of skin is where the deepest evidence of being in the world can last over time.
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Thalia Kerouli (Heraklion, Crete), lives and works between Greece and Italy, where she studied painting at the Academy of Fine Arts in Naples. Her practice focuses on the use of paper as a media where shape and color form a single whole. Among the most recent exhibitions: “Alone, Trento Art Festival, Trento, 2022”, Sarca, Egiidon 31”, Athens, 2021; “Hartigrafia”, PAN Palazzo delle Arti, Naples, 2019.
https://thaliakerouli.wixsite.com/arte