The Changing Room: Arab Reflections on Praxis and Times
The Changing Room: Arab Reflections on Praxis and Times è un progetto espositivo unico nel suo genere e inedito per la città di Torino, che ha come tema centrale la situazione di profondo cambiamento legata ai recenti avvenimenti in Medio Oriente e più in generale nel mondo arabo. Un evento aperto ed interattivo che vuole offrire spunti e possibilità di confronto e dialogo rispetto ad un momento storico di grande rilevanza.
Comunicato stampa
The Changing Room:
Arab Reflections on Praxis and Times
www.thechangingroomproject.org
23 settembre - 22 ottobre 2011
Spazio Qubì, via Parma 75/c, Torino
A cura di Aida Eltorie
organizzato da Associazione Finding Projects
in collaborazione con Galleria Metroquadro, Rivoli (To) e Spazio Qubì, Torino
Orari: da giovedì a domenica ore 16 - 20
Inaugurazione: venerdì 23 settembre 2011, ore 18
In tale occasione la storica dell’arte Martina Corgnati dialogherà con gli artisti e con il pubblico in un incontro sui temi della mostra.
Image: Nermine Hammam, from Upekkha series, 2011. Image copyrighted to the Artist
Artisti
Adel Abidin, Iraq
Sama Alshaibi, Palestina/Iraq
Kader Attia, Algeria
Khaled Hafez, Egitto
Karim Al Husseini, Palestina
Ibrahim Saad, Egitto
Steve Sabella, Palestina
Larissa Sansour, Palestina
Ahmed El Shaer, Egitto
Anas Al Sheikh, Bahrain
Nermine Hammam, Egitto
Marwan Sahmarani, Libano
Ines Jerray, Tunisia
Khaled Ramadan, Libano
Bassem Yousry, Egitto
COMUNICATO STAMPA
The Changing Room: Arab Reflections on Praxis and Times è un progetto espositivo unico nel suo genere e inedito per la città di Torino, che ha come tema centrale la situazione di profondo cambiamento legata ai recenti avvenimenti in Medio Oriente e più in generale nel mondo arabo. Un evento artistico aperto ed interattivo che vuole offrire spunti e possibilità di confronto e dialogo rispetto ad un momento storico di grande rilevanza.
Le rivolte in Egitto, Tunisia, Algeria, Bahrain, Libia, Siria hanno scardinato e trasformato realtà di oppressione, di umiliazione e limitazione delle libertà, innescando trasformazioni le cui conseguenze sono soltanto immaginabili, ma non prevedibili, e creando una forte reazione di stupore e solidarietà nell’opinione pubblica internazionale. Le modalità con cui l’informazione, la protesta e la rivolta si sono diffuse hanno rivelato una coesione sociale forte e ampia e sono state esempi di una nuova forma di comunicazione capillare attraverso i canali di Internet e del social network, innescando reazioni e riflessioni su una nuova realtà che potrebbe cambiare il ruolo della comunicazione stessa e dei suoi mezzi nella società contemporanea.
Attraverso il lavoro di 16 artisti provenienti da diversi paesi dell’area araba il progetto intende configurare una piattaforma aperta di riflessione, scambio, analisi di questi fatti e delle loro conseguenze da un punto di vista privilegiato e volutamente soggettivo quale quello dell’artista, cui viene affidato il ruolo di protagonista, ricercatore, osservatore, narratore. Gli artisti invitati svolgono le loro riflessioni coerentemente con il proprio percorso artistico, scegliendo però in questa occasione uno sfondo di conflitto e occupazione. La straordinarietà della situazione implica una presa di posizione, una scelta tematica e formale che di volta in volta si propone come sintesi o in antitesi rispetto alla produzione precedente, presentata in mostra assieme ai nuovi lavori, configurandosi come opportunità di maturazione, di ricerca, di una nuova narrazione.
A Space Exodus di Larissa Sansour (Palestina) presenta l’artista nelle vesti della prima Palestinese a camminare sulla luna, con una esplicita citazione video del celebre 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, e riflette attraverso l’ironia e la satira sul senso di dislocazione e frustrazione tipico di chi nasce nel suo paese. Lo stesso stato d’animo emerge dal lavoro di un altro Palestinese di origine mista, Steve Sabella, che attraverso la serie fotografica Euphoria esprime il transitorio sentimento di euforia sperimentato in una fase del percorso di ricerca e introspezione dell’artista, nella condizione di esilio fisico e mentale che caratterizza la sua vita e la sua ricerca artistica. Sabella lascia Gerusalemme nel 2003, ma ci ritorna periodicamente, in qualità di osservatore del cambiamento continuo della città, che diventa specchio di una continua ricerca individuale.
Khaled Hafez (Egitto) adotta il formato di un video diario e crea la propria narrazione mettendo in sequenza immagini riprese da lui e da amici in diversi luoghi della città del Cairo durante i 18 giorni della Rivoluzione Egiziana utilizzando una telecamera amatoriale; questa narrazione è arricchita da immagini mediatiche estratte da Youtube ed altri portali Internet. Hafez ha costruito il proprio racconto attraverso conversazioni telefoniche e telematiche, o raccogliendo testimonianze di amici che erano in strada a protestare. Il suo progetto fotografico TV Diaries presenta le immagini congelate della rivoluzione reale e documenta momento per momento la cronaca dell’evento.
Khaled Ramadan (Libano) ospita una conversazione su Skype da Copenhagen con il co-curatore e amico Alfredo Cramerotti a Nottingham, sul tema del senso di appartenenza e di proprietà della storia; riflettendo sulla nozione dell’essere Libanese paragonata a quella di essere Italiano, Belga, o Fiammingo, i pensieri dei due amici indugiano sul concetto di “nazione” come stato d’animo, in opposizione a quello di “nazionale” come stato dell’essere.
Nermine Hammam utilizza l’immagine del soldato, inteso come protettore, combattente, guerriero, inserita in sfondi surreali e improbabili di paesaggi alpini e campi di fiori, riflettendo sul concetto di controllo e repressione militare nel momento in cui un’illusione di sollievo e libertà sostituisce la durezza del potere.
Con Thowra Sama Alshaibi offre la propria visione della rivoluzione attraverso il fermento dell’esistenza in natura, l’inspiegabile pioggia di centinaia di uccelli neri morti, un’eclissi, eventi inattesi ed enigmatici ripresi in diversi luoghi della regione araba. Il suo viaggio lungo i fiumi di Tunisi, i campi innevati dell’Arizona e le sabbie egiziane si configura come un’esperienza di attraversamento ed unificazione dei confini della creazione.
Queste sono soltanto alcune delle suggestioni dei lavori presentati nella mostra. Attraverso i diversi linguaggi dell’arte contemporanea quali l’installazione, il video, la fotografia si delinea una visione socio-politica della cosiddetta regione MENA (Middle East and North Africa). Se conoscere la propria storia significa anche poter conoscere ciò che succederà in futuro, gli artisti diventano i narratori della storia, segnano il tempo e il luogo degli eventi indipendentemente da quanto astratti o letterali siano i versi della loro scrittura, e avanzando verso il futuro tornano costantemente al passato, al punto di partenza, che ironicamente, spesso, è anche un punto d’arrivo. I lavori in questa esposizione mostrano una grande capacità di previsione, di anticipazione, così come di critica dei fatti, del loro passato e del loro imprevedibile futuro.
Si ringrazia in modo particolare Martina Corgnati, che vent’anni fa ha iniziato a esplorare e studiare la scena dell’arte in Medio Oriente, con la convinzione che un giorno questa regione avrebbe dato il suo contributo alla storia dell’arte contemporanea.
La mostra è curata da Aida Eltorie, curatrice del Padiglione Egiziano alla 54^ Biennale d’Arte di Venezia, ed organizzata dall’Associazione Finding Projects, in collaborazione con la galleria Metroquadro di Rivoli (To) e Spazio Qubì, Torino.
Gli artisti e la curatrice saranno presenti all’inaugurazione e nei giorni successivi l’apertura. Nel periodo di apertura della mostra si svolgeranno incontri, visite guidate e serate tematiche aperte al pubblico.