The Electric Comma
Una mostra collettiva, prodotta da V-A-C e sviluppata in dialogo con KADIST, unisce le collezioni di V-A-C e KADIST.
Comunicato stampa
Una mostra collettiva, prodotta da V-A-C e sviluppata in dialogo con KADIST, unisce le collezioni di V-A-C e KADIST.
Erick Beltrán, Alighiero Boetti, Mircea Cantor, Nicolás Consuegra, Anthony Discenza, Shannon Ebner, Valentin Fetisov, Fabien Giraud & Raphaël Siboni, Piero Golia, Wade Guyton, Jacqueline Humphries, Daniel Keller, Daria Martin, Pedro Neves Marques, Jonathan Monk, Trevor Paglen, Bridget Riley, Andrey Shental, Dayanita Singh, Cheyney Thompson, Urban Fauna Lab.
Riprendendo il titolo dell’installazione di Shannon Ebner, “The Electric Comma”, la mostra si concentra sui mutamenti nel linguaggio, nella percezione e nella comprensione all’epoca dell’intelligenza artificiale. Sulla base di prassi e retroterra diversi, gli artisti partecipanti riflettono sul tema della negoziazione fra la mente cosciente e l’onnipresente macchina di apprendimento, immaginando percorsi di scambio fra umano e non-umano che vanno dal poetico-intuitivo all’algoritmicoanalitico.
Diverse opere presenti in “The Electric Comma” si interrogano sulle nostre modalità di comunicazione con le tecnologie e sul loro possibile impatto ambientale, mimando i sistemi crittografici e biologici, oppure rivelando o immaginando infrastrutture viventi per la vita artificiale. La videoinstallazione di Andrey Shental “Descent into the Fungal” presenta reti di miceli fungini che permettono alle piante connesse di comunicare, oltre che trasmettere sostanze nutritive ed energia, riflettendo su come alcune forme di vita traggano beneficio da queste reti di connessioni, mentre altre ne cadano vittime. Oggi un super-organismo in espansione, fatto di algoritmi e banche dati, filtra sempre più il modo in cui percepiamo, apprendiamo, comunichiamo e ricordiamo. Estendendo i suoi tentacoli su tutto il globo, come l’intreccio di un micelio, la nostra attuale infrastruttura digitale presenta più somiglianze con i sistemi viventi che con le obsolete tecnologie analogiche.
“Misting Miner”, scultura di vapore realizzata da Alexey Buldakov per il collettivo russo Urban Fauna Lab, visualizza il fenomeno invisibile del mining delle criptovalute. Il calore in eccesso generato dal computer mentre esegue questo processo è una fonte latente e inutilizzata di energia, che può essere reindirizzata e utilizzata in molteplici modi. Sulla falsariga dell’algoritmo detto Drunken Walk (camminata dell’ubriaco), sistema matematico aleatorio utilizzato nella teoria finanziaria per prevedere i prezzi delle azioni, gli “Stochastic Process Paintings” di Cheyney Thompson utilizzano una formula per determinare uno specifico sistema cromatico tridimensionale, mentre i dipinti neri monocromi di Wade Guyton, prodotti da stampanti a getto sopra un formato preesistente generato dal computer, mettono in risalto il paradosso dell’errore pre-programmato come forma di ‘creatività’ propria della macchina.
Al giorno d’oggi la distinzione fra intelligenza artificiale e umana si fa sempre meno netta, apparendo sempre più come un mero costrutto della nostra percezione. Nel cortometraggio di Pedro Neves Marques, “The Pudic Relationship between Machine and Plant”, i confini fra vita sintetica e organica sono ancora più sfumati: un braccio robotico sfiora le foglie di una pianta di mimosa pudica, specie ipersensibile che chiude istintivamente le foglie in reazione al tocco freddo della macchina.
Mentre procede la digitalizzazione della maggior parte delle nostre storie collettive, ricordi e fantasie, si continuano a sottovalutare gli effetti di questo fenomeno sulla condizione umana. L’incontro con la “File Room” di Dayanita Singh è simile alla vista di un mondo di carta congelato e dimenticato. Archivio degli archivi, questa serie di fotografie raffigura pile apparentemente infinite di registri e memorie conservati in India. Elegia alla sparizione della documentazione cartacea, “File Room” è un duro memento sull’odierna, radicale trasformazione del rapporto fra l’umanità e la sua memoria. Il modo in cui si raccontano le storie, si conservano i documenti e si costruiscono le narrazioni storiche non segue più la stessa traiettoria di prima.
Alla luce di questo cambio di paradigma, una parte della mostra riflette sulla capacità cognitiva e sul modo in cui gli esseri umani interpretano il mondo che li circonda, campo del sapere che non comprendiamo ancora appieno. Alludendo all’impossibilità di una definizione stabile, la parentesi al neon di Jonathan Monk, “Something Contained, Removed”, dà il benvenuto ai visitatori. La costruzione e l’interpretazione del linguaggio sono di capitale importanza per la comprensione del funzionamento delle nostre menti, del modo in cui percepiamo e comunichiamo con un mondo sempre più connesso e automatizzato. Nella poesia di 13 diversi che sta alla base della serie di Shannon Ebner, “The Electric Comma”, il linguaggio scritto è trasformato in una forma astratta e più intensamente visiva: mutando la poesia incompiuta in immagine, il processo di Ebner rivela la modalità non lineare, spesso erratica, con cui viviamo il linguaggio.
In un periodo in cui tecnologie complesse, dotate di capacità para-umane, evolvono sempre più rapidamente, “The Electric Comma” si chiede fino a che punto il rapporto fra umano e macchina possa spingersi, e se sia basato sulla simbiosi, sul parassitismo o su altro. La macchina di apprendimento, con tutto il suo tremendo potere computazionale, è in grado di essere poeta o artista? Può la macchina attingere lo spazio dell’intuizione, della metafora, della poesia e, in ultimo, divenire consapevole di sé stessa?
“The Electric Comma” è curata da Katerina Chuchalina per la Fondazione V-A-C e da Pete Belkin per KADIST.