The Malpighian Layer
In senso metaforico, le immagini generate dai lavori in mostra possono essere considerate come il livello più esterno di una pelle estesa e immateriale, verso cui risale lo spettro di un substratum culturale o strutturale spinto in superficie dallo strato interno.
Comunicato stampa
CAR drde presenta The Malpighian Layer, collettiva che include opere di Amélie Bouvier, Inga Meldere, Giulio Saverio Rossi, Jonathan Van Doornum e Theis Wendt. La mostra è a cura di Bruno Barsanti e Gabriele Tosi.
Lo strato malpighiano è la parte più profonda dell’epidermide. Trae il nome dallo scienziato italiano Marcello Malpighi (nato nel 1628 a Crevalcore, vicino Bologna). In questo livello interno, le cellule sono continuamente rigenerate tramite mitosi, migrando poi verso l’esterno per sostituire quelle perse in superficie. Malpighi poté descrivere questo fenomeno grazie all’innovativo uso del microscopio negli studi sugli organi.
In senso metaforico, le immagini generate dai lavori in mostra possono essere considerate come il livello più esterno di una pelle estesa e immateriale, verso cui risale lo spettro di un substratum culturale o strutturale spinto in superficie dallo strato interno. Questo movimento provoca un cambiamento nella percezione; l’abituale oscurità di qualcosa di “negativo” che solitamente accompagna la “positività” dell’immagine è qui richiamata nei processi che permettono all’immagine stessa di apparire. Avvalendosi di diverse strategie, le opere esposte denotano quindi la natura artificiale e fallace della visione: categorie spaziali e temporali come il qui e l’altrove, il prima e il dopo, diventano di più difficile determinazione e appaiono come fuse le une con le altre in un legame mutevole.
Il mappare questa pelle immateriale come uno spazio ripiegato in una forma compressa e codificata sembra essere l’azione principale compiuta dalle opere in mostra al fine di rivelare nell’immagine la presenza di qualcosa di autentico e generativo che potrebbe facilmente andare perduto nel canone e nella codifica.
Amélie Bouvier (Parigi, Francia, 1982). Vive e lavora a Bruxelles, Belgio. La sua pratica si innesca dall’utilizzo di immagini e diagrammi che provengono da fonti diverse, quali archivi scientifici e militari, Google e materiale di fantascienza, esplorando così la differenza tra percezione reale e artificiale. I suoi disegni, estremamente elaborati, trasformano le immagini e specifici dettagli di eventi storici allo scopo di fornire nuove prospettive sull’identità e la qualità dello spazio, del tempo e della costruzione epistemologica.
Bouvier ha esposto in diverse mostre internazionali tra le quali: Museo Patio Herreriano (Valladolid, Spagna), Carpe Diem Arte e Pesquisa (Lisbona, Portogallo), Plataforma Revòlver (Lisbona, Portogallo) Sabrina Amrani Gallery (Madrid, Spagna), the Verbeke Foundation (Kemzeke, Belgio) e Museu Da Cidade (Lisbona, Portogallo). Il suo lavoro è stato incluso nella XVI Biennale Internazionale di Cerveira e nella VI Biennale dell’arte e della cultura di São Tomé e Príncipe. Bouvier è stata selezionata per il premio ISELP “Hors d’Oeuvre” a Bruxelles e nominata come la miglior artista emergente al Just Mad di Madrid, è stata, inoltre, finalista del CIC’Art Prize.
Jonathan Van Doornum (Mariënberg, Olanda, 1987) Vive e lavora a Zwolle, Olanda. Una ricerca di autenticità negli artefatti è il tema principale del suo operare. L’artista pone questioni sull’assenza di decoro nel quotidiano ripartendo da elementi delle architetture storiche o tradizionali. La ricerca è tradotta dall’artista in materiali poveri ed economici, come compensato e MDF. Attraverso una specifica appropriazioni di elementi dell’estetica locale e regionale olandese in installazioni di carattere scultoreo, il lavoro di Van Doornum può essere anche inteso come un’articolazione di una società in dissoluzione.
Nel 2013 ha ricevuto la borsa per giovani talenti dal Moondrian Fund, nel 2015 è stato artista residente al Wiels di Bruxelles e nel 2017 al De Rijksakamedie di Amsterdam. Tra le diverse mostre si ricordano le personali “Polishing my fake patina” presso DASH (Kortrijk, Belgio), “Imagined Trust” presso la Project Room del Wiels (Bruxelles, Belgio) e “Killing two birds with one stone” presso la Kunstvereniging Diepenheim (Diepenheim, Olanda).
Inga Meldere (Kuldiga, Lituania, 1979). Vive e lavora a Helsinki, Finlandia. Laureata in Pedagogia all’Università della Lituania ha studiato arti visive all’Accademia di Belle Arti della Lituania. Meldere è stata poi ricercatrice per l’Accademia Jan Van Eyck di Maastricht. La sua pratica può essere intesa come una lunga relazione fra la storia dell’arte e un archivio personale dove immagini quotidiane possono convivere con memorie e esperienze private. A partire da questo Meldere elabora l’idea di un’immagine complessa, stratificata da diverse fasi di stampa, pittura e collage.
Il suo lavoro è stato esposto a livello internazionale in mostre personali e collettive. Ha esposto presso: SIC art space (Helsinki, Finlandia), Centro di Arte Contemporanea Kim? (Riga, Lituania), Careof (Milano, Italia). National Arts Club (New York, USA), Driehaus Museum (Chicago, USA), Museo Nazionale della Lituania (Riga, Lituania). E’ stata nominata per il premio Purvitis nel 2016.
Giulio Saverio Rossi (Massa, Italia, 1988). Vive e lavora a Torino, Italia. Rossi ha studiato all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Il suo lavoro è caratterizzato da un uso critico dei mezzi pittorici tradizionali e riflette su come la capacità di guardare alla pittura denunci l’abilità di guardare al mondo. Negando quindi la pittura come risultato di un esercizio ripetitivo, i suoi lavori possono anche essere intesi come la messa in esperimento di diverse strategie per capire lo sguardo attraverso la pittura.
Tra le sue mostre recenti, le personali “No Subject” a LOCALEDUE (Bologna, Italia), “Bordi/Borders/Bords #1” a K+D (Torino, Italia) e le collettive “Sulla Pittura” Spazio Siena (Siena, Italia), “Teatrum Botanicum” PAV - Parco Arte Vivente (Torino, Italia), “Viva Arte Viva” presso Futurdome (Milano, Italia).
Theis Wendt (Copenaghen, Danimarca, 1981). Vive e lavora a Copenaghen. In Wendt la forma e i materiali sono spesso mimetici di qualità e superfici caratteristiche di altri materiali, come se la materia stessa provasse ad assecondare qualcosa di altro da sé. Nei suoi lavori bidimensionali il quadro non si presenta come finestra verso l’altrove ma tutta la sua struttura è come catturata in un’autoreferenzialità senza fine. Le pitture diventano copie di loro stesse, calchi traslucidi rivelano soltanto un’oscurità assorbente.
Wendt ha studiato alla Royal Danish Academy di Belle Arti a Copenaghen e tra le sue principali mostre ricordiamo: San Diego Art Institute (San Diego, USA), Brandts Sculpture Triennial (Odense, Danimarca) Torrance Art Museum (Los Angeles, USA), Kalmar Konstmuseum (Kalmar, Svezia).