Tiziano e Paolo III. Il pittore e il suo modello
Esposte in mostra a Padova, per la prima volta al pubblico e agli studiosi, due opere inedite del grande Cadorino, provenienti dal Regno Unito.
Comunicato stampa
Tiziano sa sempre sorprendere.
Stupisce per il suo modo assolutamente innovativo di trattare il colore fin dalle prime opere, con una corposità degli impianti cromatici che direttamente modellano le forme e le rendono intrise di luce;
per la sperimentazione pittorica che caratterizza tutta la sua attività, per la forza straordinaria dei suoi ritratti o, ancora, per la rivoluzionaria tecnica “aperta” che connota le opere della maturità, in cui le ampie pennellate, accostate con grande libertà e a macchie, creano una sorta di "non finito" tanto amato da taluni (l'ambasciatore di Spagna per esempio) quanto guardato con perplessità da altri.
L'occasione per riflettere ulteriormente sull'arte del Vecellio e sul suo modus operandi, per lasciarsi sorprendere una volta di più, è data ora dalla straordinaria esposizione al pubblico e agli studiosi
- per la prima volta - di dipinti inediti provenienti dal Regno Unito e ricondotti senza alcun dubbio alla mano del grande Cadorino da alcuni dei massimi studiosi del Vecellio.
A Padova presso i Musei Civici agli Eremitani, la mostra "Tiziano e Paolo III. Il pittore e il suo modello”, promossa dal 7 luglio al 30 settembre
dal Comune di Padova Assessorato alla Cultura e Musei Civici di Padova, dal Centro Studi Tiziano Vecellio e da Ferdinando Peretti,
curata da Andrea Donati e Lionello Puppi con la direzione di Davide Banzato (catalogo: Andreina Valneo Budai Editore)
offre un momento di grande emozione e di indubbio interesse a livello internazionale proprio perché ci pone di fronte a un nuovo tassello della vicenda artistica di Tiziano, attraverso due lavori finora sconosciuti e di grande qualità.
Da un lato un Autoritratto del maestro, un impressionante olio su carta proveniente dalle collezioni della Casa Reale di Hannover, singolare per l’impostazione per niente aulica e autocelebrativa,
dall'altro un superbo Ritratto di Paolo III senza camauro che si viene ad aggiungere, come “originale multiplo”, agli esemplari noti in cui il Pontefice appare senza copricapo: la versione più nota, che risale al 1543 e fu consegnata dallo
stesso Tiziano al Papa a Busseto, dove doveva incontrasi con l’Imperatore, è conservata ora a Napoli al Museo di Capodimonte.
Entrambi gli inediti eccezionalmente esposti a Padova appartengono dunque al Maestro; entrambi sono dei ritratti - genere nel quale Tiziano raggiunse i massimi livelli qualitativi tra gli anni Quaranta e Cinquanta
– ed entrambi sono esempi di quella tecnica pittorica rivoluzionaria messa a punto dal pittore, che tanto avrebbe influenzato i grandi pittori veneziani del XVI secolo (Tintoretto, Veronese, Bassano) e i principali autori del secolo seguente.
Infine i due dipinti di collezione privata saranno idealmente confrontabili (nel percorso museale e in città) – seguendo l’interessante strada intrapresa in tempi recenti dai Civici Musei di Padova, di fruttuoso dialogo tra collezioni museali
e opere sul mercato – con i lavori di Tiziano presenti a Padova (le giovanili tavole raffiguranti la Nascita di Adone e la Morte di Erisittone) e con le opere di quegli artisti che nella città dei Carraresi
recepirono inevitabilmente gli stimoli innescati dal Vecellio: dal Romanino al Campagnola, fino a Stefano delle Arzere.
Tiziano del resto lascia proprio in città, con gli affreschi realizzati alla Scuola del Santo su incarico del Guardiano della confraternita, tra il 1510 e il 1511,
un segno tangibile della grande innovazione del suo fare pittorico rispetto alla matrice giorgionesca, contribuendo fortemente all’aggiornamento della cultura figurativa locale
I tre episodi affrescati – il Miracolo del neonato che parla, Il Miracolo del piede risanato, il Miracolo del marito geloso – rimangono per decenni, come ricorda Davide Banzato,
“il termine con il quale chiunque a Padova si dovrà confrontare nella sperimentazione pittorica”.
Una forza innovativa, che si coglie anche nelle opere di Tiziano ora esposte e rivelate.
Il bellissimo Ritratto di Papa Paolo III senza camauro (olio su tela 128 x 98 cm) viene ricondotto da Andrea Donati
– come si accennava - nell’alveo del famoso dipinto di cui Tiziano fu incaricato, in occasione del viaggio del pontefice in Emilia nel 1543. Si trattava di una commissione delicata. Paolo III
aveva affidato in precedenza la diffusione della propria immagine a numerosi altri artisti e nello stesso tempo vi era una tradizione iconografica ormai assestata che lo stesso Tiziano aveva contribuito a fissare con i suoi ritratti dei potenti.
In questo caso però il Pontefice non chiedeva un dipinto da esibire a Palazzo Farnese ma un manifesto vero e proprio del suo atteggiamento l’opera rientrava cioè nella partita diplomatica che il Farnese stava giocando
con Carlo V e lo scopo era di mostrarsi all’imperatore pronto a chinare il capo e ad aprire la borsa, per ottenere l’investitura di Parma e Piacenza ma anche del Ducato di Milano.
Tiziano, stando ai racconti di Giovio e di Vasari, raggiunse il Pontefice a Ferrara e da quel momento si unì alla corte papale che si diresse prima a Bologna e poi a Parma, per arrivare a Busseto il 21 giugno.
Il ritratto, che pare non sia stato neppure pagato a Tiziano, suscitò un plauso universale e la reputazione del Vecellio salì alle stelle, tanto che il Cardinale Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora ne richiese una replica allo stesso Tiziano,
un dipinto segnalato dal Vasari presso gli eredi del committente ma di cui oggi si sono perse le tracce. Una richiesta che tuttavia è verosimile abbiano fatto anche altri dell’entourage, per cui il notevole dipinto portato ora all’attenzione del pubblico e delle critica sarebbe, appunto, un ulteriore esemplare del ritratto realizzato in quel contesto: non una copia di bottega ma una “replica d’autore” eseguita dallo stesso maestro e con una sua ragione compiuta.
E’ un terreno difficile quello del rapporto tra originali e copie in Tiziano, ma di grande fascino e di enorme importanza laddove, come in questo caso, si è di fronte ad un’opera di cui si riconosce l’altissima qualità pittorica.
Una questione che riconduce per altro anche al tema dei modelli o dei “ricordi” conservati all’interno della bottega, necessari per mantenere lo standard qualitativo delle opere finite e garantirsi la possibilità di eseguirne delle repliche.
Non si trattava necessariamente di disegni ma anche di bozzetti, oppure olii su carta anche abbastanza rifiniti come nel caso dell’Autoritratto qui presentato (olio su carta, 40 x 27,7 cm),
che va ricondotto secondo Lionello Puppi al dossier dei materiali accumulati nell’atelier del Biri Grande, a ricordo del volto e della fattezze del capo bottega, da rivedere ogni qualvolta occorresse.
L’atto di orgoglio del pittore che conduce Tiziano a trasformare la sua immagine in icona immortale, dando vita anche una serie di criptoautoritratti, è ben ripercorso nel catalogo della mostra, a partire da quel primo perduto autoritratto
testimoniato dal Vasari nel 1545, prima del viaggio a Roma, “per lasciare memoria di sé ai figliuoli”.
Tiziano agisce in funzione di autopromozione e autocelebrazione nella duplice condizione culturale e sociale di “pittore divino” e di “cavaliere aurato” e fissa l’immagine che viene tramandata
nel tempo nell’autoritratto di Berlino e in quello più tardo e di profilo del Prado, seguendo i caratteri tipici del sapiente - la berretta, il manto di pelliccia, la barba, lo sguardo intenso - ai quali aggiunge anche la catena d’oro
donatagli da Carlo V nel 1533, espressione della condizione nobiliare.
Viceversa nell’inedito nell'olio su carta qui presentato, Tiziano appare per così dire in abito dimesso, in giubba e berrettaccio, proprio come lo ritroviamo nella xilografia di Giovanni Britto,
in apertura della biografia di Tiziano nell’edizione Giuntina della Vite del Vasari, del 1568, ma anche nel bronzo sansoviniano della Sacrestia di San Marco.
Lionello Puppi avanza allora una suggestiva ipotesi, avvalorata dalla perfetta relazione tra la succitata xilografia e il bozzetto che qui si presenta, dall’alta qualità dell’opera e dai documenti che testimoniano
la presenza di un agente mediceo a Venezia, impegnato a reperire disegni da utilizzare nel laboratorio editoriale della Vite vasariane.
Lo studioso ipotizza cioè che l’olio su carta approdato nelle collezioni Reali di Hannover sia un bozzetto predisposto da Tiziano molto probabilmente per il sodale Jacopo Sansovino entro il 1560, come modello per la traduzione in scultura di un programma iconografico che, dovendo rappresentare i Profeti nelle sembianze di esponenti dell’arte e della cultura contemporanee, escludeva i simboli e gli orpelli dell’autocelebrazione.
Trattenuto in bottega come ricordo lo stesso bozzetto potrebbe poi essere stato scelto dal Vasari per la sua riproduzione.
Tant’è.
In mostra a Padova Paolo III, seduto sulla “carega” di legno tappezzata di velluto scarlatto, con la tunica bianca e la cappa di velluto rosso e il capo scoperto, una mano appoggiata
sul bracciolo della seggiola e l’altra sulla borsa stretta in vita, guarda dritto allo spettatore; mentre lui, Tiziano scruta in modo enigmatico il soggetto che egli stesso ha ritratto
in ossequio al suo eminente rango: il maggiore e più controverso Pontefice del Rinascimento che, come scrive Davide Banzato “forse in cuor suo temeva ed era costretto a rispettare senza un intimo apprezzamento”
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