Tomas Rajlich – Ab Imis
Verso la fine dei ruggenti anni Sessanta, Tomas Rajlich [Praga, 1940] ha scoperto la propria vocazione di pittore. Da allora la sua pittura (meglio: pittura-pittura, se-condo quella nomenclatura artistica che vuole essere un rafforzativo) viene ascrit-ta nell’area analitica, riduttiva o fonda-mentale.
Comunicato stampa
Verso la fine dei ruggenti anni Sessanta, Tomas Rajlich [Praga, 1940] ha scoperto la propria vocazione di pittore. Da allora la sua pittura (meglio: pittura-pittura, se-condo quella nomenclatura artistica che vuole essere un rafforzativo) viene ascrit-ta nell’area analitica, riduttiva o fonda-mentale. Definizioni che si rifanno ad un generico minimalismo, benché questi lemmi non intendano certamente mini-mizzare le problematiche, si sforzano anzi di giungere ai minimi termini per diven-tare “comune denominatore”.
Prima ancora che un pittore, Rajlich è un tintore/colorista che si è prodigato nel co-siddetto “campo cromatico”. È infatti la sostanza materiale del colore, la quale possiede un valore effettivo e un signifi-cato simbolico, a dover trasmettere all’os-servatore l’ordine psicologico/emozionale della pittura stessa.
Come molti altri artisti dell’epoca, Rajlich era considerato “eroico” proprio perché si ostinava a dipingere, insistendo su una disciplina che nel corso dei decenni sa-rebbe giunta a ridefinire il proprio lin-guaggio. Rifacendosi a una dichiarazione d’intenti che si vaticinava nell’azzeramen-to, l’artista ha sviluppato razionalità e ne-cessità interiori. Un’abitudine (quella di lasciare testimonianza di sé nel suo progredire) in cui si evince che l’artista non ha ceduto alla ripetizione o all’auto-compiacimento, né ha mai dato nulla per scontato. La tendenza all’ovvietà fu infatti l’imperdonabile errore commesso da Lui-gi XVI: con disarmante sufficienza il 14 luglio del 1789, data della presa della Ba-stiglia, il sovrano annotò sul suo diario la frase «oggi niente di nuovo». Lasciandosi alle spalle giorni, settimane, mesi, anni di tenace lavoro, Tomas Rajlich ha coscien-ziosamente messo in discussione l’anato-mia del quadro, pungolato dall’innocenza del perfettibile oltre che dal logico dive-nire delle cromie.
Per l’artista non esiste un modello da imitare, esiste semmai un modulo, nella fattispecie di una griglia che instaura la “collaborazione” tra l’artista e il colore. Gli esordi sono stati determinati proprio da questa struttura chiusa, regestum che contrariamente alla sua indole restrittiva si è rivelata alquanto feconda. Si noti co-me negli anni Settanta l’hortus conclusus del colore limitasse l’azione e la gestua-lità, e come la pittura tendesse in seguito a fuoriuscire dalla gabbia per occultare il reticolo, sostituendosi definitivamente ad esso.
Alternando tinte scure ad altre più squil-lanti, l’intensità dei suoi monocromi di-venta un corpo materico, una luce solida. Ab imis: quarant’anni dopo la storica mo-stra “Fundamentele Schilderkunst” allo Stedelijk Museum di Amsterdam, Tomas Rajlich ci ha insegnato quale sia l’aspetto fondante e fondamentale della pittura.