Tomaso Binga
Seconda mostra personale nei suoi spazi di Tomaso Binga (alias Bianca Pucciarelli Menna, Salerno, 1931)
Comunicato stampa
La Galleria Tiziana Di Caro presenta la seconda mostra personale nei suoi spazi di Tomaso Binga (alias Bianca Pucciarelli Menna, Salerno, 1931), che inaugura mercoledì 7 dicembre 2016, alle ore 19:00. La mostra include una selezione di opere della serie dei polistiroli e I ritratti analogici. Questa mostra, come Scrivere non è descrivere inaugurata a settembre del 2015, intende raccontare vari momenti della produzione dell'artista, partendo dagli anni Settanta cioè da quando si sono formate le principali linee guida che hanno fatto di Tomaso Binga un'artista centrale per la nostra cultura.
Questo progetto si presenta come una sorta di remake di due mostre personali entrambe intitolate Il Polistirolo e i ritratti analogici dedicate all'artista nel 1972, la prima inaugurata a Roma a maggio presso Paesi Nuovi Art Gallery e la seconda inaugurata a Napoli a dicembre alla galleria Il Diagramma 32. Le due sono accomunate da un elemento sul quale Tomaso Binga fonda gran parte della produzione fra il 1971 e il 1973: l'uso del polistirolo.
Binga realizza dei collage riciclando gli imballaggi interni alle scatole di cartone e creando quelli che nel catalogo della mostra al Diagramma 32, Italo Mussa definì “oggetti immagine”. Gli imballaggi interni alle scatole dei più disparati oggetti di consumo si trasformano in opere. Binga è interessata al polistirolo “in quanto materiale di scarto” e lo utilizza tal quale, quasi senza apportare modifiche, conservando le tracce precise degli oggetti un tempo in esso contenuti. L'imballaggio di polistirolo è considerato, quindi, di per sé, non subisce modifiche e manipolazioni, non contiene un significato, neanche metaforico, ma è considerato allo stesso modo una forma scultorea, preservando un preciso volume nello spazio, così come la base, se non alle volte l'architettura a cui fa seguito un “procedimento operativo”, ovvero la realizzazione di un collage. Ed è nei collage che si narrano le storie, si svolgono le rappresentazioni, si raccontano gli aneddoti.
La mostra si apre con “Autoritratto”, uno dei pochi casi in cui Binga manomette il polistirolo sovrapponendo due volumi, uno circolare che indica il viso e l'altro orizzontale che indica la linea delle spalle, per poi inserirvi due immagini: la bocca e un occhio (un solo occhio, come se stesse facendo l'occhiolino). Seppure descritto con pochi ed essenziali elementi, questo volto non smette neanche per un secondo di essere malizioso ed ammiccante.
Nell'ambiente successivo si sviluppa una teoria di opere, in cui naturalmente a prevalere è il colore bianco che diventa sfondo perfetto per le rappresentazioni più disparate, rese attraverso il più tradizionale collage. Emergono figure e simboli di varia natura, così come parti del corpo descritte attraverso un'anatomia tutta personale, ma anche inserti di scrittura “desemantizzata”, elemento che caratterizzerà il lavoro di Tomaso Binga per tutto il decennio.La mostra si completa con una serie di Ritratti analogici, lavori bidimensionali in cui uno dei generi pittorici più consolidati storicamente, il ritratto, è reso non più attraverso figure, bensì iniziali di nomi o cognomi a cui si abbinano elementi di varia natura come mani, gambe, occhi. Il segno grafico si sostituisce alla descrizione fisionomica e ciò che in essi risalta realmente, è la presenza e la parvenza delle lettere, anticipando una esperienza che diventerà centrale nel lavoro di Tomaso Binga, soprattutto nella fase più originale della sua produzione, ovvero la relazione tra le arti visive e la parola.
Tomaso Binga in arte ha assunto questo nome per contestare, con ironia e spiazzamento, i privilegi del mondo maschile. Si occupa di scrittura verbo-visiva ed è tra le figure di punta della poesia fonetico – sonora - performativa italiana.
Galleria Tiziana Di Caro presents the second solo exhibition featuring Tomaso Binga (aka Bianca Pucciarelli Menna, Salerno, 1931) hosted in the gallery’s premises, opening Wednesday, December 7, 2016, at 19:00. The exhibition includes a selection from the Polistiroli series of works of and the Ritratti Analogici. This exhibition, similarly to Scrivere non è descrivere [To Write is not to Describe] held in September 2015, aims at describing various moments of the artist’s production starting from the Seventies, which saw the outlining of the main guidelines that have made Tomaso Binga a central artist in our culture.
This exhibition is a sort of remake of two 1972 solo exhibitions both entitled Il polistirolo e i ritratti analogici and featuring the artist, the first held in Rome in May at the Paesi Nuovi Art Gallery and the second held in Naples in December at the Diagramma 32 art gallery. The two share one element on which Tomaso Binga based much of her production between 1971 and 1973: the use of polystyrene.
Binga creates collages by recycling packaging material found inside cardboard boxing and creating what in the Diagramma 32 exhibition catalog Italo Mussa called “image objects.” All sorts of packaging material are turned into works of art. Binga is attracted to polystyrene “as waste material” and uses it as such, almost without making any changes, retaining the exact marks of the objects originally contained in it. The polystyrene packaging is therefore considered for itself, without undergoing changes and manipulations; it does not contain a meaning, not even a metaphorical one, but is viewed as a sculptural form, preserving a precise volume in space, as well as the basis – when not an architecture when followed by an “operational procedure” – for the creation of a collage. And it is in the collages that stories are narrated, representations take place, anecdotes are told.
The exhibition opens with Autoritratto [Self-portrait], one of the few cases where Binga alters polystyrene by superimposing two volumes, a circular one representing a face and an horizontal one indicating the line of the shoulders, the whole completed by two images: a mouth and one eye (as to mimic winking). Although outlined with few essential elements, this face relentlessly manages to be mischievous and flirtatious.
The room that follows features a multitude of works, in which of course the color white prevails, becoming the perfect background for the most diverse representations, yielded through the more traditional means of collage. Figures and symbols of various kinds are featured, as well as parts of the body described through a very personal interpretation of anatomy, but also are inserts of “desemantized” writing, an element that characterizes the work of Tomaso Binga throughout the decade.
The exhibition ends with a series of Ritratti Analogici [Analog Portraits], two-dimensional works in which one of the historically more established painting genres, the portrait, is no longer yielded through figures, but through the initials of first or last names matched with various elements such as hands, legs and eyes. The graphic symbol replaces the detailed physiognomic description, and what really stands out is the presence and the appearance of the letters, anticipating an experience that will become central to Tomaso Binga’s work, especially in the most inventive phase of her production, which focused on the relationship between visual art and word.
Tomaso Binga took on this pseudonym in order to challenge, through humor and displacement, the privileges of the male world. She deals with verbal-visual writing and is among the leading figures of phonetic-sound-performative poetry in Italy.