Tra cielo e terra
Il dialogo di questa doppia personale è tra la scultura tessile dell’italiana Federica Luzzi (Black Shell N. 8, 2013) e l’opera su carta dell’artista giapponese Naoya Takahara (Macchie Blu, 2013). Il titolo Tra cielo e terra esprime il concetto di universalità a cui ambiscono gli autori nella rispettiva ricerca dei significati profondi della figura del Ginnosofista.
Comunicato stampa
Il dialogo di questa doppia personale, a cura di Lori Adragna e Manuela De Leonardis, è tra la scultura tessile dell’italiana Federica Luzzi (Black Shell N. 8, 2013) e l’opera su carta dell’artista giapponese Naoya Takahara (Macchie Blu, 2013).
Il titolo Tra cielo e terra esprime il concetto di universalità a cui ambiscono gli autori nella rispettiva ricerca dei significati profondi della figura del Ginnosofista, figura su cui è incentrato il ciclo di appuntamenti espositivi Ginnosofisti - Denudati fino all’essenza coordinato su progetto di Lori Adragna con Enzo Barchi e organizzato da Bibliothé Bhaktivedanta in collaborazione con la Commissione Cultura di Roma Capitale.
Tra cielo e terra è il sedicesimo appuntamento.
Ginnosofista - il sapiente nudo - come i greci antichi definivano i sapienti indiani che vivevano spogliati di tutto.
Per ritrovare una spiritualità originaria, il ginnosofista squarcia il velo delle apparenze, si libera dal superfluo e trascende le influenze del mondo materiale - come la totale identificazione con il corpo, la nazionalità e il credo. Allo stesso modo l’artista contemporaneo chiede di ritornare alla propria essenza. Rivendica la libertà di muoversi in un’ottica integralmente artistica come ‘soggetto’ e non più come ‘oggetto di mercato’; spogliandosi dai condizionamenti delle fabbriche d’immagine e degli interessi economici, l’artista tende a riappropriarsi della ‘creatività teurgica’ orientandola alla conoscenza di sé, travalicando ogni confine geografico, religioso, culturale. Lori Adragna
L'incontro di Alessandro Magno con i saggi che la Grecia definì gimnosofisti fu uno dei più felici nella storia antica. Confermava ciò che di meraviglioso i viaggiatori che giungevano da oriente andavano dicendo sui brahmini indiani, alcuni dei quali vivevano in mezzo alla natura, in assoluta povertà, spogliati di tutto. La loro nudità non dipendeva né da fattori climatici né tanto meno, socioculturali, ma rifletteva una mirabile evoluzione coscienziale, che li aveva portati a spogliarsi del superfluo e a condurre uno stile di vita essenziale, all'insegna della purezza e dell'immenso amore di Dio verso tutte le creature. Negli ambienti filosofici della Grecia, quei saggi nudi divennero per tutti i ginnosofisti e rappresentarono un modello di vita soprattutto per gli stoici. Anche nei primi secoli dell'era cristiana il mito dei gimnosofisti continuò a propagarsi, rappresentando un ideale punto di riferimento per alcuni padri della Chiesa. Dal testo Il modo di vivere dei Brahmani, che sant'Ambrogio vescovo di Milano tradusse o fece tradurre dal greco, leggiamo: «Ho il cielo come tetto, la terra come letto. I fiumi mi versano da bere, la foresta mi provvede il cibo. Non mi nutro delle viscere degli animali, ma la natura provvidente mi porge tutti i suoi frutti come una madre offre il suo latte».
La mostra Gimnosofisti. Denudati fino all'essenza, desidera esprimere un'arte che, sul modello di quei grandi sapienti, metta a nudo il pleonastico della vita fino a coglierne l'essenza. Iacopo Nuti