Tramemorie
usomagazzino per altre architetture non chiude lo sguardo alla memoria estrapolando dalla collezione di casa Rosato alcuni lavori di autori, abruzzesi e non, che tra gli anni sessanta e ottanta del novecento ricercano tensioni tra colore e forma intrecciando, come tessendo, concettualità e materia.
Comunicato stampa
usomagazzino per altre architetture non chiude lo sguardo alla memoria estrapolando dalla collezione di casa Rosato alcuni lavori di autori, abruzzesi e non, che tra gli anni sessanta e ottanta del novecento ricercano tensioni tra colore e forma intrecciando, come tessendo, concettualità e materia.
Dall’inconfondibile segno op-art di Getulio Alviani (Udine 1939) agli intarsi di geometrie visive di Marcolino Gandini (Torino 1937 - Roma 2012) passando per i fili di cotone che scorrono come linee irregolari sulla tela azzurra di Achille Pace (Termoli 1932) si approda alle direttive opposte e composte di Aldo Calò (San Cesareo di Lecce 1910 - Roma 1983); così come, in un territorio solo geograficamente abruzzese, dalle tracce di colore esplose nella ceramica smaltata di Giorgio Saturni (Colledara di Teramo 1914 - Pescara 2007 ) e dal cretaccio di geologica memoria di Nino Gagliardi (Avezzano 1918 – 1994) si risale attraverso ipotesi dinamico-spaziali dalle graffiature di Pasquale Di Fabio (Civitella Roveto 1927 – Roma 1998) e dalle schermature luminose di Andrea Carnemolla (Chieti 1939) agli intrecci di un disegno bianco di Dino Colalongo (Manoppello 1946) e alla raffinata china nera del Siderio di Angelo Colangelo (Penne 1927); tutto soffermandosi tra le texture poetiche e ossessive di Luciano De Liberato (Chieti 1947) che ci lasciano addentrare nei nodi dell’intreccio di una ordinata e faticosa passione rivelata in superficie dalla sublimazione della forma che nel bronzo di Bruno Liberatore (Penne 1947) la luce erode, come dice Cesare Vivaldi, chiudendola in solidi e precisi volumi ma al tempo stesso aprendola come al configurarsi di un viaggio.
Ed è esattamente un viaggio nella memoria quello che Lúcio Rosato propone accostando a questo prezioso patrimonio non solo territoriale, da sempre aperto ad un sentire globale, due suoi lavori di altra architettura che portano il segno di un vissuto e rivelano le ragioni di un allestimento che si fa anche racconto autobiografico: “tra me e me trame e memorie di adolescenziali-giovanili domestiche frequentazioni, accettate a volte amate che ineluttabilmente ritrovo sull’ordito ancora tramanti”