Trascendenze
Mostra collettiva dal titolo “Trascendenze” presso il Polo Museale di Ascoli Satriano (FG).
Comunicato stampa
Giorno 10 giugno 2016 si inaugura la collettiva dal titolo “Trascendenze” presso il Polo Museale di Ascoli Satriano (FG). Il curatore, Antonino Foti, nella prefazione del catalogo (edito dalla casa editrice IL Castello di Foggia) sostiene che “affrontare, da laico, il concetto di Trascendenza mi impone un’interpretazione personale di ciò che è insito all’interno di questa rappresentazione mentale. Perché è all’interno del nostro IO e di come si è sviluppato in base alle esperienze di vita che si forma un’idea che va oltre il visibile. L’ateo non accetta il concetto di “oltre”, per contro il religioso applica questa idea a ciò che lo aspetta dopo la vita terrena, convinzioni dettate da dogmi opposti ma con in comune “verità” assolute. Tuttavia, è proprio da laico che questa continua ricerca necessita di continue riflessioni spesso in contrasto tra di loro, paradossalmente più articolate, in quanto autonome da ogni condizionamento e libere di spaziare.
Perché non esiste certezza ed è questo l’unico dogma al quale rifarsi. Non sta certo a me aprire un dibattito in tal senso, in quanto la mia condizione di libero pensatore senza retroterra ideologici e basi filosofiche, non permette un approfondimento corroborato da basi erudite, tuttavia rivendico il mio diritto di farmi un’idea – giusta o sbagliata che sia – in tal senso. Io penso, quindi sono. L’artista È e in quanto tale ci parla attraverso la sua opera, interpreta attraverso la sua sensibilità, esprime un concetto il quale a volte non è immediatamente assimilabile e che spesso porge il fianco ad interpretazioni.
Gli artisti presenti in mostra hanno interpretato in chiave del tutto personale questo tema, liberamente e, soprattutto, laicamente, anche quando il soggetto presta il fianco a rivendicazioni teologiche. Il richiamo metafisico delle sagome e l’ombra proiettata di un Cristo di chissà quale chiesa o monastero hanno la stessa dimensione, figlia dello stesso argomento interpretato in maniera differente, ma con in comune l’idea di rendere fisico l’astratto, di rendere visibile un concetto di cui probabilmente neanche loro ne conoscono la reale dimensione interiore. Così come l’aspetto antropologico di tradizioni popolari che si perdono nel tempo e che nascondono un atto esorcizzante, che richiamano simboli (come il serpente) che sono vere e proprie icone religiose, ma che negli occhi dell’artista si palesano come una sorta di interrogazione attraverso l’atto documentaristico.
Ecco, è questo lo scopo della mostra, mettere insieme tante anime che ci parlano di un argomento verso cui si affacciano in punta di piedi, discretamente, consapevoli che nessuno è il custode di verità assolute, se non quella del finale dissolvimento della materia oltre il quale, come in un buco nero, esistono solo congetture utili a dare un senso al tutto.”
Di seguito gli artisti in mostra e il testo critico di Mario Corfiati, critico e storico dell’arte.
GLI ARTISTI IN MOSTRA:
Mosè La Cava, Sergio Rubini, Daniela Corfiati, Pietro Ricucci, Nicola Liberatore, Luigi Sardella, Renzo Chiesa, Samuele Romano, Dario Romano, Valeria Petruzzelli , Rocco Giannotti , Antonietta Tudisco, Nicola Renna
Rocchina Del Priore, Marco Baj, Michela Casiere
VISIONE E TRASCENDENZA
Far scorrere il proprio sguardo fra le linee ed i colori di un’immagine, porsi di fronte ad essa in atteggiamento di curiosa osservazione o di silenziosa meditazione, ascoltare ciò che gli occhi suggeriscono o scorgere il mistero laddove i segnali cessano di avere un senso comune, tutto ciò conduce all’origine dell’inconoscibile che sempre alligna al di là di ogni convenzione comunicativa, mostrando la reale complessità di quel che, a prima vista, sembra solo la traccia dell’immanenza.Infatti, percorrendo la storia a ritroso, si constata che l’arte (quella disposizione innata a creare oggetti, la Τέχνη greca, l’Ars romana) non poteva solo essere una costruzione estetica ma, invece, la testimonianza dell’uomo che si accorgeva del mistero della morte, evento ormai attualmente relegato all’ufficialità della fine organica.
Regis Debray ha molto acutamente osservato che: ‘Per millenni il lontano e il trascorso hanno debordato, accerchiato, minacciato il campo ottico – ed era ciò che era occultato a conferire a ciò che era mostrato il suo valore. Agli occhi dei nostri antenati il vicino e visibile non era altro che un arcipelago del visibile (…). Perché l’invisibile o il soprannaturale era il luogo della potenza, il luogo da cui tutte le cose vengono e dove ritornano’.E, ancora: ‘Prima scolpita, poi dipinta, l’immagine è all’origine e per la sua funzione, mediatrice tra i vivi e i morti, tra gli umani e gli dei; tra una comunità e una cosmologia; tra una società di soggetti visibili e la società delle forze invisibili che li assoggettano’. Dunque l’immagine possiede in sé la virtù del Viaticum, ha la funzione di mostrare il possibile contatto fra l’attuale ed il possibile, fra gli eventi ed il Noumeno, fondando l’ancestrale propensione a dar forma ad un modello magico di interazione con l’universo, intendendosi in tal modo l’immensità del mondo esterno che si trasforma in una dinamica architettura di segni, un coacervo indissolubile di relazioni tra le cose che vanno decifrate con l’intenzione di conoscerle e dominarle. Lo stesso Breton sosteneva che parlare di arte e di magia è pleonastico.
Così, a ben vedere, l’intera storia dell’arte occidentale funziona come un luogo di confronto fra il visibile e l’invisibile, sovrastando di molto la pur fondamentale attività materiale che la rende possibile. Quando Platone allontanava l’arte figurativa dalla verità e la relegava a puro riflesso del già ingannevole mondo dei fenomeni, in realtà agiva come un censore della moralità, dimostrando però quanto potente fosse l’influsso dell’invenzione che poteva confrontarsi con la purezza dell’ideale. Per molto tempo, nella storia post-romana, all’interno della Chiesa e delle politiche coeve, si dibatté aspramente sulla liceità delle immagini e della rappresentazione del Sacro. Solo i l secondo Concilio di Nicea permise che nel mondo cristiano si potessero venerare delle immagini sacre, sottraendo il tema del culto alla iconoclastia ed alla rigida dicotomia fra Verbo ed Icona, che avrebbe invece continuato ad essere fondante nel mondo islamico. Insomma, la trascendenza, la traccia dell’invisibile sacramentale, non venne espulsa dalla cultura delle immagini, ma vi penetrò come elemento nobile della riflessione e del pensiero arricchendo l’articolazione del visibile non come semplice celebrazione dell’esistente, ma come impronta del possibile. Non per nulla, dal Medio Evo in poi, nell’arte italiana proruppe il motivo del cambiamento della forma e della esplorazione del reale, in quanto passione per il mondo concreto nel quale rinvenire la gloria di Dio ed un più moderno senso della storia.
I talenti più straordinari dell’arte che comunemente conosciamo hanno agito come catalizzatori del mondo trascendente, trasgredendo il sacro tabù della irrapresentabilità e fornendo un ponte tra la vita quotidiana e l’immensa vastità dell’inconoscibile. Sebbene tale rapporto, nella nostra storia, si sia spesso svolto entro l’ambito della tradizionale forma letteraria mitico-religiosa, l’arte contemporanea ha arditamente aperto varchi di connessione col mondo e con le psicologie individuali, proprio approfondendo le emozioni personali e le incontrovertibili forze inconsce personali e collettive, al di fuori delle usuali regole banalmente comunicative.
Come non ricordare Paul Klee che, nel suo afflato romantico, dichiarava di voler rappresentare l’invisibile, rinnovando la propria visione delle cose, come solo sarebbe possibile se si potesse rinascere dopo la morte con una ritrovata ingenuità? O Kandinskij, quasi monasticamente votato a testimoniare lo Spirituale nell’arte? E perché non annoverare l’astrattismo, fra le maggiori scoperte artistiche della modernità, da cui è esploso il culto della essenza dalla trama stessa dell’espressionismo? Come dimenticare lo stesso minimalismo contemporaneo che, pur assolvendo al suo rigoroso tentativo di azzerare l’ambiguità pletorica dell’oggetto, ci accosta al muto commento di un misticismo estetico ridotto all’essenziale?E persino Picasso, l’artista meno metafisico che si possa immaginare, colui che riteneva ogni quadro come manufatto di pura pittura, ebbe a giocare col paradosso invitando ad immaginare l’arte come un’attività da ciechi, fatta ascoltando solo se stessi. Insomma, l’arte dialoga continuamente con l’invisibile, sebbene nessuno possa affermare se questo sia un esercizio con cui togliere terreno all’inconoscibile o se, al contrario, ne aggiunga del nuovo.
L’arte contemporanea, come si vede qui nell’esercizio delle installazioni e delle performances video, appare più che mai come prosecuzione di una meta-arte, cioè di un’arte che annovera se stessa fra i motivi della propria esistenza. Essa non scandisce più solo i temi dell’ispirazione illustrativa o della descrizione realistica e duplicativa del cosiddetto mondo reale, il quale diviene sempre più evanescente e virtuale, ma si pone in relazione ad esso addirittura a volte prolungandolo in un interrogativo sulla verità globale del nostro universo estetico e cognitivo.
Una riflessione sulla fotografia, infine, la prima fra le più giovani delle arti, non può non confrontarsi con il tema attuale e, come si può vedere, essa riesce perfettamente a condurci nello spazio interstiziale fra ciò che vediamo e l’emozione del mistero che ne è sotteso. E noi rimaniamo affascinati proprio da ciò: che la manualità documentaria dello strumento fotografico, quello considerato assolutamente come replica esatta delle cose, riesca a tradursi nella suggestione del metafisico, sia esso inerente all’immagine, sia esso suggerimento emotivo del simbolo. La presente mostra ha dunque anche il merito di rafforzare la fotografia, arte ormai ampiamente autonoma ed in vorticoso sviluppo, come strumento assolutamente appropriato per l’indagine di un tema vastamente trattato dalla tradizione pittorica. Qui la trascendenza non è mera filosofia, ma sottile ed avvincente confronto con la forza sottile della forma che si ostina a rammentarci quanto aperta e salvifica sia l’approssimarsi all’immagine senza il pregiudizio della pura bellezza, ma, al contrario, facendosi assorbire da un visibile che sia indizio del continuo divenire della vita che si agita intorno ed entro ognuno di noi.
Mario Corfiati, critico e storico dell’arte
Curatore, Antonino Foti
Testo critico, Mario Corfiati
Rapporti con gli enti, Assunta Fino
Allestimento, Adriana Di Leo
Veste grafica, Pietro Lionetti
Catalogo "Edizioni Il Castello" Foggia