Turi Simeti
A distanza di un anno dalla personale antologica nella sua città natale, Alcamo, tra le antiche mura
dell’ex Collegio dei Gesuiti, questa sua mostra romana consente di approfondire e sviluppare ulteriori considerazioni.
Comunicato stampa
Lunedi 7 novembre 2011 si inaugura presso lo spazio espositivo Gallerja di via
della Lupa a Roma la nuova personale di Turi Simeti. A distanza di un anno
dalla personale antologica nella sua città natale, Alcamo, tra le antiche mura
dell’ex Collegio dei Gesuiti, questa sua mostra romana consente di
approfondire e sviluppare ulteriori considerazioni. Tra le circa venti opere
esposte in questa occasione, quasi tutte degli ultimi anni, ne figurano tuttavia
anche alcune, come l’Ovale bianco del 1973 di grandi dimensioni. Scrive Bruno
Corà in catalogo:
«Già nel 1968, Nello Ponente in un suo breve testo per l’opera di Simeti
annotava con lucidità che essa propone un’essenzialità espressa da un modulo,
l’ovale, “ripetibile in serie”, con il risultato di ricavare “un campo”, il quale
distinguendosi da una superficie immobile, tipica della pittura, si qualificava
piuttosto come “luogo di un’azione”. E se l’azione, effettivamente divenuta più
evidente, soprattutto dopo il 1967, con i primi acrilici su tela sagomata per lo
più da un solo ovale con forti aggetti, non è altro che quella congiunta della
luce e dell’osservatore in atto di spostarsi modificando il proprio punto di vista
rispetto all’opera, allora diviene palese la fenomenologia del principio
formativo impiegato dall’artista.».
Simeti, che inscrive subito la sua opera in quella temperie che a Milano fa capo
a Fontana, Manzoni e Castellani, sin dal 1962 elabora dunque il proprio segnoforma
che modula le sue superfici, caratterizzandole e distinguendole in
termini spaziali, con una coerenza restata inalterata per mezzo secolo.
«Con una gestione negativo-positivo dell’ovale rispetto alla quota zero della
superficie della tela, Simeti avvia un’incessante azione di semantizzazione che
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fa perno sulla struttura di relazione degli ovali presenti in ‘campo’. Inoltre, in
numerosi casi, egli mette in gioco più supporti, ovvero più superfici, anch’esse
strettamente relazionate tra loro come lo sono i dittici, i trittici e i polittici a
più elementi.» (Corà).
L’esperienza di Turi Simeti appare pertanto, soprattutto in questi ultimi anni,
tutta rivolta al conseguimento di una pura nozione spazio-luminosa con
tendenze plastiche. Non si può infatti ignorare che fu lo stesso Fontana a
inserire l’ancora giovane artista siciliano, trasferitosi a Milano, nella mostra
“Zero Avantgarde” (1965) di respiro europeo, tenutasi nello studio dell’artista
italo-argentino a Milano e al contempo nella Galleria del Cavallino di Cardazzo
a Venezia. Si può affermare con evidenza che da allora Simeti abbia sviluppato
una «messa a punto del proprio linguaggio, un suo sistema semantico che, pur
diversificandosi da quello di maestri come Castellani o Fontana, percorre
nondimeno un habitat immaginario in cui i minimi spostamenti, le traiettorie,
gli accorpamenti, i ribaltamenti, le alternanze – una sorta di illimitata teoria
della collocazione, dei suoi ovali di sagomazione della tela - descrivono n spazi
equivalenti alla sua capacità di articolare il proprio esprit topologico né
ideativamente così scontato, né di semplice attuazione.» (Corà).
In occasione della mostra è stato pubblicato un catalogo con un saggio critico
di Bruno Corà e la riproduzione completa delle opere in mostra, oltre agli
apparati biobibliografici. La pubblicazione è disponibile in galleria.