Ulrich Egger – L’anno che verrà
Oggi Egger ha trovato una via poetica alla solitudine contemporanea, ha saputo dare una giustificazione piena e totale alla sua ricerca in cui il già vissuto si intreccia con il tempo da vivere. Per questo il titolo della mostra ”L’anno che verrà” oltre ad essere una citazione dello scomparso Lucio Dalla, è anche un bollettino di quanto andrà ad accadere a breve, domani, appunto.
Comunicato stampa
Il lavoro di Ulrich Egger sul significato dell’ abitare nel mondo contemporaneo e in questo momento storico in particolare, sta diventando una sorta di profezia. Partito con una forte idea del disegno e dell’architettura come spazio umano, ha elaborato progressivamente un discorso sul mondo attuale, sulle sue contraddizioni, sulle sue paure, sui suoi falsi miti. L’inserimento strutturale della fotografia nelle sue opere che non rimanda ad una vuota architettura ma a degli spazi realmente abitati da gente comune, diventa una visione esplicita e cruda di quello che ci accade: l’aumento della povertà, la fine del modernismo, il divario economico tra i ricchi e i poveri. Le sue “finestre” diventano contenitori che lasciano intravedere quello che c’è dietro, come quando fotografava gli interni delle zone industriali mostrandone l’anima di ferri contorti e di cavi infiniti. Oggi Egger ha trovato una via poetica alla solitudine contemporanea, ha saputo dare una giustificazione piena e totale alla sua ricerca in cui il già vissuto si intreccia con il tempo da vivere. Per questo il titolo della mostra ”L’anno che verrà” oltre ad essere una citazione dello scomparso Lucio Dalla, è anche un bollettino di quanto andrà ad accadere a breve, domani, appunto.
Ulrich Egger porta avanti dagli anni Ottanta una ricerca molto particolare e assolutamente personale. Il suo essere “scultore” lo ha condotto a sperimentare tutte le forme della terza dimensione, a mettere insieme anche linguaggio non facile da connettere con i materiali “duri” come il ferro, il vetro, il cemento. Ma è riuscito a non ripetersi mai, ampliando il suo approfondimento sul senso dell’housing, su come questo rifletta la nostra condizione, la nostra coscienza sociale.
Questi ultimi lavori entrano ancora di più nell’intimità delle persone, diventano dei close up sul mondo che ci circonda e che diventa sempre più spietato, arido. L’architettura non nasconde più, ma rivela. Sottolinea il mondo e le sue contraddizioni. Le opere di Egger sono dei concentrati di emozioni e di memorie personali e collettive. Come sempre l’arte catalizza i contenuti, li sintetizza e li rende comunicabili. Per questo le sue mostre, come questa di Palazzo Zenobio, diventano a tutti gli effetti delle “esperienze”, cioè qualcosa che prima non sapevamo esistesse e che d’ora in poi ci accompagnerà sempre come immagine e come nuovo sguardo sulla realtà.
Valerio Dehò