Un amore asimmetrico
La mostra “Un amore asimmetrico. Ricerche per un’identità pittorica“, pone in dialogo le opere di sei artisti contemporanei italiani.
Comunicato stampa
Il 12 marzo alle ore 18.00 inaugura alla Galleria Bianconi di Milano la mostra “Un amore asimmetrico. Ricerche per un’identità pittorica“, che pone in dialogo le opere di sei artisti contemporanei italiani, Paola Angelini, Francesco De Grandi , Matteo Fato, Francesco Lauretta, Luigi Massari e Luigi Presicce. Diverse generazioni, ma legate da intrecci biografici comuni e dalla stessa complessità e profondità nell’approccio alla ricerca artistica come identità e linguaggio.
La mostra intende offrire uno spunto di riflessione intorno al ruolo della pittura quale recupero di un’identità culturale e di una sapienzialità del “fare arte”, riletta e restituita attraverso uno sguardo contemporaneo che si fa carico di quella lezione che, dagli anni ‘50 in poi, supera i limiti di questo linguaggio affrontando nel territorio pittorico questioni proprie di linguaggi scultori o performativi.
Come scrive Andrea Bruciati, nel testo che accompagna la mostra, a proposito degli artisti invitati: “[…] tutti abbracciano l’intenzione di dare un nuovo significato a ciò che quella tradizione comporta: i loro lavori sono prodotti di un’attività scardinata che scompone all’infinito ciò che significa essere un quadro”.
E’ cosi che in Il quadro ha bisogno di un pezzo di muro da difendere: Festa 1&2, di Francesco Lauretta, i dipinti raffiguranti i cavalieri di Scicli sono posti a difesa di un muro in mattoni forati e cemento a sottolineare il valore “struttivo” e fondante della pittura. Allo stesso modo nelle opere di Paola Angelini e Francesco De Grandi la pittura non è più mezzo, ma scopo ultimo e primo, la tecnica non è più forma ma sostanza: l’immagine di San Giorgio della grande tela Drawing of St.George di Paola Angelini, altri non è che il pretesto per rappresentare, attraverso una composizione frammentata e unitaria allo stesso tempo,l’universo dei diversi linguaggi espressivi della pittura, divenendo così luogo di ricerca d’identità. Ugualmente gli archetipici paesaggi di Francesco De Grandi divengono, come dice il pittore stesso, “le gemme base della conoscenza”, del modo di porsi nel mondo, nonché finestra su quell’atto performativo e misterico che è il movimento che il pittore compie nel suo studio nel momento della creazione.
Il ruolo esoterico e misterico della pittura e dell’artista raggiunge la sua sintesi massima nelle figure dei Maghi dipinti da Luigi Presicce. Maghi questi che, come scrive Davide Ferri in un suo precedente testo al riguardo, “[…] appartengono ad una dimensione di pittura prenarrativa, disincarnata, come le immagini apotropaiche, le icone, o – direbbe l’artista – i dipinti di Malevic (di Malevic mi vengono in mente quegli ultimi, folli, ritratti di contadini. Come descriverli, classificarli?). I maghi di Presicce resistono alla possibilità di essere compresi fino in fondo. Esistono, indipendentemente dal controllo che si è in grado di esercitare su di loro. Emergendo dall’oscurità custodiscono qualcosa, guardano, respingono.”
I confini spaziali e territoriali della pittura sono travalicati nei lavori di Matteo Fato e Luigi Massari. Nelle opere di Matteo Fato la pittura si sustanzia e si scompone, metamorfizzandosi, divenendo altro da sé, appropriandosi della terza dimensione: spazio e tela, contenuto e contenitore, pigmento e figura, concorrono tutti allo stesso modo per trovare una possibile risposta ad un’unica e fondamentale domanda “il perché dell’immagine” quale il suo significato ultimo? Quale la sua forma?
Contrariamente in Luigi Massari l’immagine pittorica si disgrega, si liquefà, dando vita ad una visione della realtà rarefatta e frammnatria. L’artista trasporta attraverso immagini mitologiche, in una dimensione “ultrasensibile”, sonora, della pittura, fino a dar vita, in opere come Vettore, a dispositivi pittorici in cui il suono, la vibrazione musicale diviene insieme strumento e d’immagine, forma e sostanza allo stesso tempo.