Un luogo aperto
Nel percorso della mostra si alternano opere dagli anni 70 a oggi che parlano di segni lasciati e azioni agite sulla piazza. Gli artisti progettano uno spazio, tracciano una linea, un segno, altrimenti manifestano nella piazza, la usano per scambiare informazioni, per scambiare esperienze, per accogliere e curare.
Comunicato stampa
In occasione di Nottilucente San Gimignano
sabato 29 giugno si inaugura la mostra
“Un luogo aperto”
a cura di Associazione Culture Attive
Galleria di Arte Moderna e Contemporanea R. De Grada, via Folgore, San Gimignano.
Con: Francesca Banchelli, Gianfranco Baruchello, Michele Bazzana, Bread&Puppet, Lorenzo Cianchi, Emma Ciceri, Tacita Dean, Serena Fineschi, Regina José Galindo, Mario Giacomelli, Love Difference/Fondazione Pistoletto, Marco Andrea Magni, Pascale Marthine Tayou, Giovanni Ozzola, Adrian Paci, Maria Pecchioli, Giacomo Ricci, Massimo Ricciardo, Ufo, Nari Ward.
Il titolo “Un luogo aperto” scelto per la mostra d'arte contemporanea che si inaugura sabato 29 giugno in occasione dell'evento Nottilucente, rimanda alle Costituzione Italiana (Art. 17) quando si parla del diritto dei cittadini a riunirsi pacificamente e senza armi. Abbiamo scelto queste parole per riflettere sulla piazza intesa come luogo di incontro e conflitto fra le persone, come arena dell’espressione del pieno diritto di cittadinanza, ma nello stesso tempo del rischio della perdita d’identità e dell’omologazione.
La mostra si apre con un intervento sonoro di Gianfranco Baruchello, l’artista rilegge un testo di Antonio Gramsci (scritto per il Congresso del Partito Socialista che si tenne a Livorno nel 1921) del quale ha modificato la struttura lessicale originaria eliminando i nessi: articoli, ausiliari e preposizioni. Il testo così trasformato perde di comprensione e non riesce più a comunicare con il pubblico per il quale era stato concepito, per quanto conservi la memoria di una forza antica. Questa distanza e questa difficoltà di comunicazione sembrano essere oggi un elemento caratterizzante la piazza.
Nel percorso della mostra si alternano opere dagli anni 70 a oggi che parlano di segni lasciati e azioni agite sulla piazza. Gli artisti progettano uno spazio, tracciano una linea, un segno, altrimenti manifestano nella piazza, la usano per scambiare informazioni, per scambiare esperienze, per accogliere e curare. Dai due opposti di una piazza fatta soltanto di pietra ad una fatta soltanto di persone si inseriscono tante visioni parallele per vivere la dimensione collettiva e gli spazi concepiti per accoglierla. La protesta, la cura del bene collettivo, il monumento, la manifestazione, lo scambio, l’incontro, tutte voci per un dialogo polifonico e collettivo.
La prima sala della mostra ospita opere di Tacita Dean, Emma Ciceri, Serena Fineschi e Giovanni Ozzola ponendo l’accento sull’aspetto più architettonico della piazza, lo spazio ampio creato per accogliere un grande numero di persone, il monumento, la pietra e le campane create per richiamare la comunità, ma anche ciò che la comunità lascia al suo passaggio: pulviscolo, polvere, parole e respiri che si depositano e si stratificano nel tempo.
Nella sala successiva, il video con un’azione compiuta da Adrian Paci: l’artista attraversa la città con una sedia in mano per andare a collocarla in uno spazio pubblico ampio. Da questo gesto del singolo, si innesca un meccanismo collettivo, per cui si crea un cerchio di persone, una piccola comunità di ventiquattro sedie in cerchio, proprio rievocando il processo che porta alla costruzione di una comunità, di una collettività di persone, di una piazza.
Un video prodotto appositamente per la mostra e che richiama alla memoria l’opera permanente di Joseph Kosuth “La sedia davanti alla porta” che si trova nel giardino del Bagolaro proprio davanti alla Galleria De Grada.
La parte centrale della mostra presenta tante possibilità per stare in una piazza: possiamo scegliere, come nell’opera di Francesca Banchelli, se vogliamo essere dei cittadini attivi che si esprimono e agiscono nella piazza o degli interlocutori passivi, degli osservatori o semplicemente dei passanti disinteressati. Il lavoro di Massimo Ricciardo ci presenta la memoria di un viaggio che lui ha realizzato in Cina e durante il quale ha costruito un tappeto fatto di tessuti scambiati con le persone, un’area delimitata frutto dello scambio e della condivisione delle persone e che ancora delimita e definisce il luogo per la comunità, per l’incontro. L’oggetto che anima lo scambio, nella sua fragilità, artificialità, necessità e inutilità è rappresentato da Bundle n.4 di Lorenzo Cianchi.
La piazza può ancora essere il luogo della dimostrazione pubblica per risvegliare attenzione e proteggere i diritti delle persone e così è la camminata dalla Corte de Costitucionalidad al Palacio Nacional de Guatemala compiuta da Regina José Galindo con i piedi impregnati nel sangue umano come protesta contro la candidatura a presidente dell’ex militare, genocida e golpista Efrain Rios. Ma la forza dell’azione può rischiare di perdersi e dissolversi nel tempo, per diventare la sagoma vuota di cartelli di manifestanti tracciati con le stringhe di scarpe come nell’opera di Nari Ward o scudi antisommossa che sono diventati di carta, fragili, preziosi e completamente snaturati come nell’opera di Giacomo Ricci.
La sala si chiude con una delle celeberrime foto in bianco e nero di Mario Giacomelli con sacerdoti che corrono nella piazza, dalla serie di Io non ho mani che mi accarezzino il volto, e con la foto di Pascale Marthine Tayou dove un colorito gruppo di bambini africani sta in posa su una piazza di terra battuta.
Possibilità e vie di azione si aprono con il progetto Care. Rammendi creativi per relazioni preziose di Lovedifference/Fondazione M. Pistoletto dove la cura, l’incontro e l’ascolto sono le possibili basi sulle quali ricreare una comunità, come nell’opera di Michele Bazzana, dove la passione per una moto crea contatti, scambi e relazioni autentiche fra gli uomini. Ma ancora si può osare di più e considerare la città come un corpo organico sul quale, secondo la medicina tradizionale cinese, si possono individuare punti critici dal punto di vista energetico da trattare simbolicamente con performance terapeutiche così come praticato da Maria Pecchioli. Chiude il percorso un’opera di Marco Andrea Magni con un elemento sonoro che rievoca l’apertura della mostra con la voce di Gianfranco Baruchello, ma che adesso ci riporta alla memoria le note di una celebre aria popolare, per quanto disturbate e distorte, che risuonano dietro a superfici specchianti dove l’individuo nelle sue possibilità e unicità è l’elemento centrale e il punto di forza.
La memoria poi di due movimenti centrali degli anni Settanta: Ufo, nel panorama nazionale italiano, e Bread&Puppet, in ambito internazionale, ci ricordano come in quegli anni il cambiamento e il miglioramento ampio della società tramite la cultura e la partecipazione fossero l’obiettivo e la spinta principali che ci auguriamo possano tornare di grande e intelligente attualità anche oggi.
La mostra fa parte del progetto Nottilucente del Comune di San Gimignano in collaborazione con Associazione Culture Attive
Trasporti a cura di Adarte
INFO
inaugurazione: sabato 29 giugno ore 17, apertura straordinaria fino alle ore 0.00
La mostra rimarrà aperta fino al 1 ottobre 2012 orari di apertura: ore 11.00/17.30.
tel: 0577 940348 email: [email protected]
fb: https://www.facebook.com/Nottilucente?ref=hl
Biografie degli artisti
Francesca Banchelli (Montevarchi, AR, 1981), vive e lavora di base tra Londra e Firenze.
Nel 2010 termina la sua formazione presso l’MA Fine Art alla Central Saint Martins di Londra.
Il suo lavoro contempla l’utilizzo di media diversi, andando dal disegno alla performance, abitualmente intersecati con il video e l’installazione. Nel 2012 riceve il primo premio “Portali Dello Scompiglio #1” alla Tenuta dello Scompiglio presso Vorno, Lucca, per la sua installazione There is not a Priori ansie to this dilemma (The Dolphin Hotel).
L’artista partecipa a diverse mostre nazionali ed internazionali tra cui, nel 2012: “24Hours/25Days” presso New Capital a Chicago; “The Sunshine Vineyard Program” al Frankfurter Kunstverein; “S1 Salon” (selected by Ben Rivers), al S1 Artspace di Sheffield; “Cartabianca_firenze / Tornare per partire” al Museo di Villa Croce di Genova. Nel 2010 si ricordano: “Post Monument”, XIV Biennale di Scultura di Carrara e “Zeitgeist” presso MURO Gallery a Gènève in Svizzera. Nel 2009, “Opa 0.2 (On Perform Art) ad Atene; “Sarah’s Journey – 7° Bulgarian Biennial” a Varna, BG; “Studi d’Armonia” presso la Tenuta dello Scompiglio a Vorno, Lucca; nel 2008, “Noi per adesso siamo qua”, presso Villa Romana a Firenze.
Gianfranco Baruchello (Livorno, 1924) vive e lavora tra Roma e Parigi. La sua ricerca si orienta sull’happening, l’effimero e l’assemblage, l’installazione, esplorando diversi mezzi tra cui disegno, pittura e video, così come la scrittura e il cinema, mantenendo da sempre un’indipendenza nei sistemi di pensiero e azione.
L’artista stesso definisce il suo lavoro come una creazione di spazi nei quali ci sia una fusione di contraddizioni, in un’alternativa costante ai grandi sistemi politico, sociali, religiosi, sfociando in un interesse per l’archivio e in contaminazioni tra arte, agricoltura e zootecnia.
Nel 1962 conosce Marcel Duchamp e nel 1963 ha la sua prima personale presso la Galleria La Tartaruga di Roma. Partecipa a mostre come Collages et objets di Parigi, New Realists a New York, nel 1962, per esporre poi nelle più prestigiose sedi internazionali come: MoMA (1965 e 1970) e Guggenheim di New York (1966, 1969 e 1970), il Museum of Contemporary Art di Chicago (2009), il Centre Pompidou di Parigi (tra il 1989 e il 2011), il MACRO di Roma (2006 e 2012), la Serpentine Gallery di Londra (2011). Espone inoltre a dOCUMENTA 6 e 13 a Kassel e a diverse edizione dell’Esposizione Internazionale d’Arte de La Biennale di Venezia (dal 1972 al 2011). Dal1998 si attesta la nascita della Fondazione Baruchello a Roma.
Michele Bazzana
Michele Bazzana (S. Vito al Tagliamento, PN, 1979) vive e lavora a Codroipo, Udine.
Il suo lavoro inizia con la manualità, con l’assemblaggio, con il recupero di oggetti comuni, di lavoro e domestici. Da questi elementi parte un meccanismo più o meno complicato che l’artista intraprende per costruire marchingegni, azionare processi. Il risultato sono opere/macchinari con una funzione pratica, ma non per questo utile. Le sue opere, sempre sottilmente ironiche nei titoli, vogliono far partecipare o semplicemente assistere a delle azioni e a dei processi e far riflettere sulla quotidianità e sulla società, sempre così tecnologica e complessa, spesso per ottenere risultati discutibili.
Bazzana si forma all’Accademia di Belle Arti di Venezia e nel 2007 frequenta il Corso Superiore di Arti Visive Antonio Ratti a Como. Nel 2009 partecipa al programma di residenze della Dena Foundation for Contemporary Art, Parigi, e nel 2011 alla residenza da CARS ad Omegna, sul lago d’Orta. Nel 2007 prende parte al Premio Internazionale della Performance, Galleria Civica di Arte Contemporanea di Trento. Tra le ultime mostre: Motohome, SpazioA, Pistoia; Indoor, Monotono Contemporary Art, Vicenza, a cura di Daniela Zangrando; When the Impossible Happens, Festival 03 Performazioni, M.A.GA – Museo d’arte di Gallarate; Future Pass, Fondazione Claudio Buziol, Venezia e Wereldmuseum; Rotterdam, a cura di Renzo di Renzo, Victoria Lu, Felix Schöber.
Bread&Puppet
Il Bread&Puppet Theater (Glover, Vermont, 1962-1963), ampiamente conosciuto come Bread&Puppet, è una compagnia teatrale fondata negli anni Sessanta a New York City, e oggi di base in Vermont, da Peter Schumann, attuale direttore artistico del gruppo.
Il nome deriva dalla pratica della compagnia di allestire un forno a mattoni per la cottura e la distribuzione libera del pane fresco con il pubblico delle loro performance, come vero e proprio mezzo per creare una comunità e soprattutto come incarnazione dell’ideale per cui l’arte deve essere come il pane, base quotidiana per la vita.
Molto attivi nelle proteste antibelliche durante la guerra del Vietnam, i Bread&Puppet utilizzano grandi pupazzi in cartapesta come figuranti durante le loro parate e performance.
Tra le cause portate avanti nel corso degli anni si ricordano: il pacifismo, l’antinucleare, supporto ai sandinisti di Ortega in Nicaragua nel 1979, l’ascesa Zapatista del 1994, l’organizzazione MOVE.
Lorenzo Cianchi (Empoli, Firenze, 1985) vive e lavora a Milano.
Dopo aver conseguito il diploma di laurea di primo livello in Arti Visive presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara nel 2008, si specializza grazie ad una borsa di studio presso la Zokei University di Tokyo in Giappone.
Grazie al progetto “Ospedale Poetico” colloca in modo permanente un’opera presso l’ospedale “Santa Maria Annunziata”a Ponte a Niccheri presso Firenze. Da alcuni anni collabora con il Centro I Macelli di certaldo, Firenze.
Nel suo lavoro di ricerca formale trae ispirazione da più fonti: la natura, il figurativo primordiale e i disegni infantili, ed ancora i bestiari medioevali, Bosch e autori più contemporanei come Mirò e Klee, Mccarthy. La sua opera risulta come una continua contaminazione tra arte contemporanea, teatro e ceramica.
Tra le più recenti esposizioni si segnalano: “Errors Allowed”, Biennale dei Giovani Artisti del Mediterraneo, Mole Vanvitelliana, Ancona; “Coffee break”, Officine Saffi, Milano; “Soft Power”, Museo Gopcevic, Trieste, 2013; “Spazio Fisico”, Spazio MDT, Prato; “777 Aspects”, Yomikobo gallery, Okayama, Japan, 2012; “Levietano Mon amour”, Teatro degli Animosi, Carrara, Massa; “Be/Become”, SACI gallery, Firenze; “Festival delle Ombre”, Rocca di Staggia, Siena, 2011.
Emma Ciceri (Bergamo, 1983) vive e lavora di base tra Bergamo e Milano.
Dopo una formazione presso l’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo e l’Accademia di Brera a Milano, Emma Ciceri frequenta un workshop con l’artista Rossella Biscotti e lavora come assistente di Adrian Paci.
Tutta la sua ricerca e opera pongono al centro il reale e la sua contemplazione, la meditazione silenziosa dell’uomo, sia esso come singolo che come moltitudine, folla, massa. I raduni, le manifestazioni, i concerti, i funerali sono momenti dei quali l’artista diviene partecipe, mimetizzandosi per indagare a fondo gesti, corpi, interiorità dell’individuo.
Tra le sue personali più recenti: “Anatomia – Folle”, Galleria Riccardo Crespi, Milano, 2013; “Zone”, CHAN, Genova, 2012; “In ordinario moto”, ARS, Bergamo, 2010. Tra le collettive, nel 2012: “Multimeridijan ‘12, Time stood still”, Pula; “Mapping”, Centro per la creatività di Tito, Potenza; “Cartabianca_milano”, museo d’arte contemporanea di Villa Croce, Genova; “Double Act #1, Is It Really Now?”, Galleria Artra, Milano; “Mandato a memoria”, mostra del workshop con R. Biscotti, Ex Ateneo, Bergamo; nel 2011: “Giorni felici 2011”, Casa Testori, Novate milanese; “Dimore nel numero”, Carpe diem, Lisbona; “Again and Again”, Galleria La Veronica, Modica; “La Giovine italia”, FotografiaEuropea, Chiostri di San Pie¬tro, Reggio Emilia; “Nomadologies(s)#3”, storie di una galleria in viaggio, Sala1, Roma.
Tacita Dean (Canterbury, Kent, 1965) vive e lavora a Berlino.
Dopo essersi laureata alla Falmouth University, Tacita Dean frequenta un master alla Slade School of Fine Art. Il suo lavoro oscilla tra il video, molto noti sono i suoi film in 16mm, e l’utilizzo di vari media, in particolare la fotografia, il disegno e l’audio: il tutto si muove verso la ricerca di un’atmosfera contemplativa, evocativa, da sempre presente e caratterizzante la sua opera. Così come molto sentita è la riflessione sul tempo, sulla lentezza e sulla memoria.
Tra le principali personali: “Still Life”, Palazzo Dugnani, Fondazione Nicola Trussardi, Milano, 2009; “The Hugo Boss prize 2006”, Guggenheim Museum, 2007; “Tacita Dean. Analogue: Films, Photographs, Drawings 1991–2006”, Schaulager, Basilea, 2006; Tate Britain, 2001.
Serena Fineschi (Siena, 1973) vive e lavora a Siena.
Tutta la sua opera riflette sul tema del ricordo, della memoria intesa come consapevolezza o meno, sulla costante, incessante trasformazione della realtà. Al centro del suo lavoro sta la volontà forte di far riemergere quel brano di un vissuto sottratto a tale ‘permanente impermanenza’, attraverso il rifugio, o la condanna, della memoria stessa.
Tra le esposizioni più recenti si ricordano: “RSVP arte contemporanea in spazi privati”, Casa Piccolomini, Siena; “Acqua”, Vivaio Cioncolini, Montevarchi, Arezzo; “Il primo giorno di sole”, Galleria FuoriCampo, Siena, 2013; “Sic”, installazione ambientale partecipativa itinerante, Siena città candidata a Capitale della Cultura Europea 2019, Siena; “The Wall, archives. Un progetto di Pietro Gaglianò”; “Made in Filandia”, residenza, Pieve a Presciano, Arezzo, 2012; “Drawn’ together”, Siena art Institute, Siena; “Premio Basi”, Parco di Pietra, Roselle, Grosseto, 2011; “I materiali nell'opera d'arte contemporanea”, Complesso Museale Santa Maria della Scala, Siena; “Memorandum”, Officina Giovani cantieri culturali ex macelli, Prato, 2002; “Sotto Sale”, Magazzini del Sale, Siena, 2000; “Pianeti”, Palazzo delle Papesse Centro Arte Contemporanea, Siena, 1999.
Regina José Galindo (Guatemala City, 1974) è nata e cresciuta in Guatemala.
Regina José Galindo realizza performance molto prossime alle azioni della Body Art o dell’Azionismo Viennese, servendosi del proprio corpo come mezzo espressivo essenziale ed imprescindibile del suo linguaggio artistico. Dopo aver denunciato la condizione femminile nel suo paese in forma di intense poesie delle quali è autrice, decide successivamente di accostarsi all’arte. Scrivere sul suo corpo con lame affilate, murarsi viva, costringersi in un camicia di forza, sono solo alcune delle sue azioni che denunciano un senso di vessazione e un malessere profondo nei confronti di un ottuso regime dittatoriale e di una spietata censura, per rivendicare invece il diritto alla libertà e alla protesta, pur non celando un latente senso di impotenza.
Tra le più recenti esposizioni personali: “Glocal Tales”, Motel b, Brescia, 2013; “Performance Hilo de Tiempo”, Centro Hemisferico de Performance & Politica, Chiapas, Mexico; “Regina José Galindo”, ARTE CONTEMPORANEA – Centro Culturale Santa Cruz, Santa Cruz de la Sierra, Bolivia; “Piel de gallina. Regina José Galindo”, ARTIUM – Centro Museo Vasco de Arte Contemporaneo, Vitoria-Gasteiz, Spagna; “Regina José Galindo: Vulnerable”, MOLAA – Museum of Latin American Art – Los Angeles, Usa, 2012; “Show me your hair”, Coreana Museum of Art, Seoul, Corea; “Corpo Social”, Fundação Joaquim Nabuco, Galeria Vicente do Rego Monteiro, Recife, Brazil; “Movil”, MUAC – Museo Universitario Arte Contemporaneo, Mexico City, Mexico, 2011. Tra le collettive: “The Naked Man”, Ludwig Museum, Budapest; “Nell’acqua capisco”, Evento collaterale, 55° Biennale di Venezia, 2013; “Make it easy make it porn”, Isola Art Center, Milano; “XV Biennale della Donna”, Ferrara; “A doll’s house”, Isola Art Center, Milano; “Supertemporal. International Videoart today”, LOOP/Screen Barcelona, Kulturhuset-Stoccolma; “I have a dream”, MWW – Wroclaw Contemporary Museum, Wroclaw, Polonia; “Noli me tange.re #1”, Di.st.urb, Scafati, Salerno, 2012.
Mario Giacomelli (Senigallia, Ancona, 1925 – 2000)
Dopo essersi inizialmente interessato alla pittura e alla poesia, in particolare in gioventù, Mario Giacomelli diviene tipografo ed è proprio nella “Tipografia Marchigiana” di Senigallia che lui lavorerà per tutta la vita, fotografando agli esordi, dal 1953 circa, solo durante il tempo libero e la sera, in particolare nei dintorni del suo paese nativo. Esperto di tecnica e storia della fotografia, nel 1947 fonda insieme a Leiss, Finazzi, Vender e Veronesi “La Bussola”, storico circolo di orientamento crociano, le cui idee vengono espresse nel Manifesto pubblicato da “Ferrania”, per prendere poi parte al gruppo “Misa”, fondato da Giuseppe Cavalli nel 1953, insieme a Piergiorgio Branzi. Punto di riferimento indiscusso per tutta la storia della fotografia, Giacomelli, stampando provini a contatto, individua per mezzo di una lente il punto interessante per ingrandirlo e per poi stampare in formato 30x40 cm. Nelle sue foto, sempre in bianco e nero, con forti contrasti e grafismi, con una grana evidente, la realtà viene trasfigurata in idee e sensazioni. Del 1957-59 è la serie di immagini riprese a Scanno; del 1957 è la serie “Lourdes” seguita, nel 1958, da “Zingari”, “Puglia” e, nel 1959, “Loreto”, poi ripresa nel 1995. Del 1961 sono le immagini di “Mattatoio” e l’inizio della serie “Io non ho mani che mi accarezzino il viso”, titolo ripreso da uno scritto di padre Turoldo. Del 1964-66 è “La buona terra”; poi “Caroline Branson”, 1971-73, lavoro ispirato all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters e “presa di coscienza sulla natura”, 1980-94, la grande serie dei paesaggi. Dal 1963 inizia la grande stagione di mostre che porteranno le sue immagini nei più grandi spazi espositivi del mondo: Photokina di Colonia, nel 1963; MOMA, nel 1964 e Metropolitan di New York, nel 1967; Bibliothèque Nationale di Parigi, nel 1972; Victoria & Albert Museum di Londra, nel 1975, e così in avanti, fino a Mosca, Arles, Tolosa, Londra, Rivoli per poi giungere alle recenti antologiche di Empoli, Losanna e Roma, in Trastevere, purtroppo postuma.
Love Difference/Fondazione Pistoletto
"Love Difference è un Movimento Artistico per una Politica InterMediterranea, per portare l'amore laddove nascono tragici conflitti tra popoli e culture" Michelangelo Pistoletto.
Love Difference è un’associazione no profit fondata nel giugno del 2002 dall'artista Michelangelo Pistoletto insieme con istituzioni internazionali, centri culturali, ricercatori, curatori e artisti, ed è inteso come un prolungamento delle attività e della visione di Cittadellarte - Fondazione Pistoletto.
L’obiettivo di Love Difference è quello di sviluppare progetti creativi al fine di stimolare il dialogo tra le persone del bacino del Mediterraneo che appartengono a diversi background culturali, politici e religiosi, e di costruire una forte rete tra gli individui che desiderano confrontarsi tra loro e risolvere questioni sociali attraverso l'arte e la creatività. L'Associazione opera costantemente in varie città italiane, ha esperienza in progetti europei e mediterranei, avendo operato in Belgio, Croazia, Egitto, Francia, Grecia, Israele, Libano, Malta, Marocco, Territori palestinesi, Slovenia, Spagna, Tunisia, Turchia. E ancora, al di là dell'Europa e del Mediterraneo: in Colombia, Corea del Sud, Stati Uniti d'America. Dal 2004, il lavoro di Love Difference, coordinato da Emanuela Baldi e Filippo Fabbrica, si muove in direzione di workshop sui processi collettivi condivisi; sul "fare insieme" azioni in collaborazione con artisti, sul networking e sulle competenze in materia di dinamiche di gruppo per il settore pubblico e privato; su progetti artistici per il dialogo tra le culture; così come eventi enogastronomici, convegni, incontri, seminari, concerti, spettacoli, mostre. Nel 2005 Love Difference vince un “Evens Prize for Intercultural Education”, per il suo approccio interdisciplinare nella trasformazione responsabile della società attraverso la creazione di una rete internazionale per la diffusione di un nuovo modello di integrazione culturale tramite l'arte.
Marco Andrea Magni (Soregno, Svizzera) ha nazionalità Italo/Tedesca.
Diplomato all'Accademia di Belle Arti di Brera, consegue il Master FSE in tecniche di organizzazione e comunicazione delle Arti Visive. Frequenta il corso superiore di Arte Visiva presso la Fondazione Antonio Ratti ed i laboratori di Remo Salvadori e Giorgio Agamben presso lo IUAV di Venezia.
Tra le sue esposizioni più recenti: “Poppositions” a Bruxelles; “Più giovani di così non si poteva” presso la Galleria FuoriCampo di Siena; “Extradelicato”, via privata Pantelleria 5, Milano; “Cantiere”, Assab One, Milano; “Corto Circuito” - Coincidenze ed incontri segnici Ex Palazzo Enel, Novara; “La sola prova possibile dell’esistenza dell’acqua e la più intimamente vera è la sete”, Placentia Arte, Piacenza; “Noparachute”, Artandgallery, Milano.
Giovanni Ozzola (Firenze 1982) vive e lavora in Toscana.
In seguito ad alcuni anni di formazione trascorsi a Londra, Giovanni Ozzola rientra in Italia nel 2001 per intraprendere un percorso artistico personale che spazia in più ambiti e si basa sull’utilizzo di media diversi: fotografia, pittura, scultura. La sua attenzione si focalizza sulla luce in qualità di materiale necessario alla visione. Al centro del suo lavoro stanno l'interesse per uno spazio tridimensionale e la luce, così come la ricerca approfondita sull’immagine mentale e sull'essenza dei soggetti.
Giovanni Ozzola ha partecipato a numerose mostre nazionali ed internazionali tra cui: CCCS - Centro di Cultura Contemporanea Strozzina, Firenze; MART, Rovereto; Chelsea Art Museum di New York; Sharjah Maraya Art Center, Dubai; Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Le Moulin; Palazzo delle Papesse, Siena; MAN - Museo d'Arte, Nuoro; Museo Pecci di Prato; Mori Museo, Tokyo; Galleria Civica di Arte contemporanea, Trento; Waseda University, Tokyo, Giappone; Centre d'Art Bastille, Grenoble, Francia; GC.AC, Monfalcone; VIAFARINI DOCVA, Milano. Nel 2011 vince il “Premio Cairo”; nel 2010 il “Talent Prize” e il "Premio Terna" nel 2008.
Adrian Paci (Shkodra, Albania, 1969) vive e lavora di base a Milano, città nella quale si trasferisce nel 1997 dopo una formazione di tipo accademico, incentrata soprattutto su disegno e pittura, poi anche scultura, presso l’Accademia di Belle Arti di Tirana. La sua è una formazione classica, profondamente segnata dai dettami del realismo socialista. Dopo il suo trasferimento in Italia, il suo linguaggio si apre ad una più ampia panoramica di media, tra cui il video e l’installazione, fino ad arrivare alla performance e al mosaico.
Al centro di tutta la sua opera sta la capacità di narrare storie, lo storytelling, che prende spunto da un fatto reale, quotidiano, del proprio vissuto come di un’esperienza di vita a lui prossima, per aprire ad una riflessione più vasta, collettiva, universale, ma soprattutto a più letture e su più livelli. Il viaggio inteso come spostamento fisico e culturale, come croce da portarsi appresso; la tradizione come valore prezioso da custodire scrupolosamente; i traumi della guerra mitigati dal parlare; la rimessa in discussione del proprio ruolo sociale e culturale di artista come dell’arte in generale; la condizione di inbetweeness, della sospensione tra più dimensioni, sono solo alcune delle riflessioni che Adrian Paci si pone nel suo percorso di vita come in quello artistico.
Dopo aver rappresentato la propria nazione di origine alla Biennale di Venezia del 1999 ed avere esposto al MoMa PS1 di New York nel 2005, il suo lavoro è celebrato in numerose personali, tra le quali: Jeu de Paume (2013); Kunsthaus di Zurigo e Bloomberg Space di Londra (2010); Kunstverein di Hannover e CCA di Tel Aviv (2008); Galleria Civica di Modena (2006). Tra le collettive: Biennale di Lione e de La Havana (2011); Maxxi di Roma (2011 e 2012); Tate Modern di Londra (2008); Biennale di Venezia (2005); Manifesta3 a Lubiana (2000).
Maria Pecchioli (Firenze, 1977) vive e lavora di base a Milano.
Diplomata all’Accademia di Belle Arti di Firenze, si forma poi presso la Central S. Martin di Londra e frequenta un master presso la NABA di Milano. La sua ricerca prevede una collaborazione con progetti di teatro sperimentale; il suo lavoro spazia dalla pittura, all’installazione, per dedicarsi inoltre alla musica e alla fotografia. Nel 2003 e 2004 è assistente di George e Betty Woodman in Italia. Tra le mostre personali: “Something about”, Saci Art Gallery, Firenze; “Diakronos”, Bzf spazio Vallecchi, Firenze; “Naked”, Galleria La Vie, Morioka, Japan. Nelle collettive: “Playlist”, Neon, Bologna; “Backpackers. Passaggi Urbani”, Borgovico33, Como; “Global Island Backpack”, Isola Art Center, Milano; “Sound Check”, Universitò di Pavia; Mediateca Toyo Ito, Sendai, Giappone.
Giacomo Ricci (Siena, 1974) si forma presso l’Accademia di Belle Arti di Perugia. Il suo lavoro utilizza media espressivi diversi, passando dalla scultura, al video, dall’installazione al disegno, dalla fotografia alle azioni, fino alla performance. Al centro della sua ricerca sta sempre l’individuo, che compare sovente sottoforma scultorea di piccolo uomo, l’omino: unità di misura della massa e insieme prodotto della globalizzazione. L’artista si pone in un rapporto di scambio con le persone, di esperienze, storie, linguaggi. Espone in diverse collettive italiane ed internazionali, tra cui: “Acqua”, Vivaio Cioncolini, Montevarchi, Arezzo; “Osmosis”, presso Villa a sesta a Siena nel 2011; “Made in Filandia 2010” a Pieve a Presciano, Arezzo; “Fundament studio 2008 – artists in residence” a Tilburg in Olanda; “Carlos Garaicoa Open Studio 2.0” a Madrid. Tra le personali: “Framing” presso Made in Filandia a Pieve a Presciano, arezzo, nel 2012; “Sonar-Remix” presso il Sonar – Casa della Musica a Colle val d’Elsa, Siena, nel 2006; “Opere in comune” presso la Rocca di Castellina in Chianti a Siena, nel 2001.
Massimo Ricciardo (Darmstadt, Germania, 1979), trascorre la sua adolescenza in Sicilia.
Dopo gli studi di pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze e l’Università di Scienze Applicate di Potsdam, attualmente vive e lavora di base a Firenze.
L’artista lavora principalmente con materiali d’archivio, video e performance culinarie; gran parte della sua pratica artistica prende spunto dalla memoria, nonché dalle relazioni sociali della sua famiglia.
L’artista gestisce e dispone un processo per la realizzazione di una nuova “memoria vivente”.
I suoi lavori sono stati esposti, a Beirut, in Cina, alla Biennale del Mediterraneo a Skopje, in gallerie e project spaces in Toscana, Sicilia e Berlino.
Pascale Marthine Tayou (Yaoundé, Camerun, 1967) vive e lavora tra Ghent, in Belgio e Yaoundé.
Tra gli artisti di origine africana più noti al mondo, Pascale Marthine Tayou inizia la sua carriera intorno al 1994, attraverso i canali dei centri culturali e associativi del suo paese di origine, in particolare delle città di Yaoundé e Douala, sostenuto da Doual’art, che gli dedica una prima personale nel 1997.
Da qui, molte saranno le esposizioni sia personali che collettive, nazionali ed internazionali a venire. Tra le principali: nel 2011, “Black Forest”, MUDAM LUXEMBOURG, Lussemburgo; “Transgressions”, Galleria Continua / Le Moulin, Boissy-le-Châtel, Francia; “Fétiches Revue Noire”, REVURE NOIR Expressions Contemporaines d'Afrique et du Monde Paris, Francia; “Always All Ways (tous les chemins mènent à…)”, Mac Lyon, Francia; nel 2010, “Transgressions”, Galleria Continua / San Gimignano, Siena; “LOoObHy n.50”, Goethe on Main, Goethe-Institut Johannesburg, Sudafrica; “Traffic Jam”, Gare Saint Sauveur, lille3000, Lille, Francia; “Always All Ways. Omnes Viae Malmö Ducunt”, Malmö Konsthall, Malmö, Svezia; “Liaisons Courtes”, International Film Festival, Rotterdam, Olanda; nel 2009, “Le Grand Cheval Belge 2009”, Benedengalerie Culturcentrum, Kortrijk, Belgio. Tra le collettive: dOCUMENTA a Kassel, nel 2002; la grande mostra “Africa Remix” al Museum Kunst Palast di Düsseldorf, alla Hayward Gallery di Londra, al Centre Pompodou di Parigi, al Mori Museum di Tokyo e alla Galleria Nazionale di Johannesburg, tra il 2004-2006; la Biennale di Venezia nel 2005 e 2009; poi Lione, Kwangju, Sydney, Lione, San Paolo, tra le altre.
Ufo (Firenze, 1967) è un gruppo d’avanguardia “radicale” nato ufficialmente a Firenze nel 1967 all’interno della Facoltà di Architettura, durante le agitazioni studentesche. Il collettivo si muove tra arte, architettura, azione, design e comunicazione. Il gruppo è formato da Carlo Bachi, Lapo Binazzi, Patrizia Cammeo, Riccardo Foresi, Titti Maschietto e inizialmente Sandro Gioli. Attestata anche l’adesione temporanea di Claudio Greppi, Massimo Giovannini e Mario Spinella.
I loro interventi hanno cadenza mensile, da febbraio a luglio del 1968, con azioni di disturbo nel centro storico della città di Firenze. Con l’occupazione del cantiere di San Clemente, hanno così inizio quei laboratori creativi che permettono la realizzazione di pezzi unici, gli “Urboeffimeri”, strutture gonfiabili usate come strumenti di lotta, mezzi di disturbo del traffico, stimoli al comportamento e alla reazione generale. La sperimentazione con i gonfiabili si sviluppa poi nella ricostruzione ANAS Restoration, fino ad arrivare alle performance e ai manifesti degli anni Settanta e molto altro. Tra le loro partecipazioni: La Triennale di Milano, 1968; Premio Masaccio di San Giovanni Valdarno; Eurodomus4 di Torino nel 1972; La Biennale di Venezia del 1978; dOCUMENTA 8 a Kassel, fino ad arrivare alla prima mostra retrospettiva e documentaria sulla storia del collettivo “UFO STORY. Dall’architettura radicale al design globale” presso il Museo Pecci di Prato, nel 2012.
Nari Ward (St. Andrews, Jamaica, 1963) vive e lavora a New York.
Nato in Giamaica e trasferitosi a New York, Nari Ward impiega abitualmente nel suo lavoro l'uso di oggetti trovati, recuperando materiali rinvenuti nel suo quartiere o nelle aree, nei luoghi in cui si trova ad operare; il tutto per dar luce a grandi installazioni scultoree. L’artista riesce ad utilizzare tutto: da detriti e scarti fino ad oggetti preziosi, per creare forme astratte e figurative. Il suo lavoro si concentra su urgenti questioni politiche e sociali come povertà, razza e cultura del consumo, prendendo in esame il valore inerente agli oggetti che ci circondano e quello che noi tributiamo loro, con significati sempre ambigui.
Tra le personali più recenti: “Liberty and Orders”, Lehmann Maupin Gallery, New York, 2012; nel 2011: “We the People”, fabric Workshopand Museum, Philadelphia; “Domino Man”, Galleria Continua, San Gimignano, Siena; “Sub Mirage Lignum”, Massachusetts Museum of Contemporary Art, North Adams; “Nari Ward: Re-Presence”, Nerman Museum, Kansas, Lehmann Maupin Gallery, New York, nel 2010. Tra le collettive, nel 2013: “The idea of Realism”, American Academy in Rome, Roma; “NYC1993: Experimental Jet Set, Trash and No Star”, New Museum, New York; nel 2012: “Food”, Musée Ariana, Ginevra; “Blacks in Black and White”, Brand New Gallery, Milano; nel 2011: “Art Unlimited”, Art basel, Basilea; “Terre vulnerabili”, Hangar Bicocca, Milano; “10 Hands 100 Fingers”, Galleria Continua, Beijing; nel 2010: “Trasparenze. L’arte per le energie rinnovabili”, Macro, Roma; “Rem(a)inders”, Galleria Continua, Beijing; “Contemplating the Void: Interventions in the Guggenheim Rotunda”, Guggenheim Museum, New York.