Un museo per le Mummie di Roccapelago
A pochi anni dall’eccezionale scoperta di una cripta cimiteriale sotto il pavimento della Chiesa della Conversione di San Paolo Apostolo, con centinaia di corpi, in parte mummificati, apre al pubblico il Museo Civico delle Mummie di Roccapelago, esposizione unica nel suo genere che racconta la vita e la morte della comunità vissuta tra i monti di Pievepelago dal XVI al XVIII secolo
Comunicato stampa
Ciò che colpisce di più è il dato clinico: spine bifide, lesioni articolari, patologie dell’anca, artrosi, scoliosi, perdita dei denti, infezioni, tumori.
La società del benessere fa i conti con diete miserrime e traumi pesanti, gravidanze letali e lavori massacranti.
Eccola qui, la vita dei membri di una comunità montana dal ‘500 al ‘700. Niente di inimmaginabile ma confrontarsi con la realtà fa sempre impressione.
Morivano spesso giovani e forse al cielo erano cari. Ma per essere più sicuri giungevano le mani in preghiera e mettevano tra le vesti un crocifisso, una medaglietta o un rosario, lasciapassare per una vita meno dura.
Confidavano nel paradiso, dopo aver passato l’inferno, e se a quell’ultimo appuntamento si presentavano dignitosi, puliti e, per quanto possibile, eleganti, non era la terra ad accoglierli ma una fossa comune.
A poco più di quattro anni dal ritrovamento, apre al pubblico il Museo delle Mummie di Roccapelago dedicato alla straordinaria scoperta di una cripta cimiteriale con decine di corpi mummificati sotto il pavimento della Chiesa della Conversione di San Paolo Apostolo a Pievepelago, sull'Appennino modenese.
Un museo unico nel suo genere, una capsula del tempo dove i corpi, gli abiti e gli effetti personali emersi dagli scavi puntano direttamente al cuore di chi li guarda, raccontando la vita di una comunità di umili vissuta tra questi monti dal XVI al XVIII secolo, la loro forza e i loro timori, il duro lavoro e i rari svaghi, il territorio e le sue risorse.
Il ritrovamento dei corpi di quasi quattrocento individui, in parte mummificati, con gli indumenti, i sudari, gli oggetti devozionali, i monili e altri elementi del decoro personale indossati in vita ha richiesto un progetto di studio integrato capace di valorizzare questo straordinario patrimonio storico, umano e culturale.
Si appartiene a un territorio non solo perché ci si abita ma perché se ne conoscono origini, trasformazioni, toponomastica, segni di storia e di memoria. Questa scoperta ha coinvolto antropologi, archeologi, esperti di tessuti e di religiosità popolare ma anche biologi, genetisti e patologi, tutti impegnati a ricostruire vita e vicende mediche e bioculturali di questa piccola comunità.
L’iniziativa intrapresa dalla Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna è stata subito abbracciata da enti territoriali (Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna, Assessorato al Turismo della Provincia di Modena, Comune di Pievepelago, Comunità Montana del Frignano, GAL Antico Frignano e Appennino Reggiano), Università (Bologna, Genova, Modena e Reggio Emilia, Parma, Pisa, Torino e University of Huddersfield – Inghilterra), Enti religiosi ( Ufficio Diocesano per i Beni Culturali Ecclesiastici, Parrocchia di Roccapelago), Musei (Musei Civici di Modena) e Associazioni (Accademia lo Scoltenna, Associazione Pro Rocca).
Grazie all'impegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, che ha finanziato gli scavi, il restauro della cripta, le ricerche e l'allestimento, si è arrivati all’inaugurazione di un museo che rappresenta un unicum sia per le modalità di valorizzazione dei manufatti rinvenuti che per il trattamento dei corpi mummificati.
Un museo unico
I curatori Donato Labate, Vania Milani e Thessy Schoenholzer Nichols hanno cercato in ogni modo di ricreare l’emozione di questa scoperta, coinvolgendo il pubblico in un simbolico abbraccio a questi umili testimoni della storia locale.
Una dozzina di corpi mummificati sono stati deposti sulla nuda roccia nella cripta, nel rispetto della giacitura originaria e della sacralità dell’edificio religioso; con loro è stata ricomposta la sepoltura di una giovane donna, rinvenuta con i resti di tre corpicini sul grembo e attorniata da diversi bambini. È qui l’unicità del Museo delle Mummie di Roccapelago, nel non esporre, come altrove, le mummie in teche, quasi fossero reperti, ma nel deporle nel luogo dov’erano state sepolte e dove sono state ritrovate, visibile anche dal pavimento della chiesa grazie a una vetrata.
L’allestimento vero e proprio si dipana tra le tre sale dell'ex canonica dove sono esposti i manufatti associati alle mummie unitamente ad altri reperti restituiti dagli scavi.
La prima sala contiene gli oggetti che raccontano la storia della Rocca prima della sua trasformazione in chiesa: ceramiche, manufatti domestici, bombarde, intonaci dipinti.
Nella seconda sala hanno trovato posto i reperti devozionali (medaglie, rosari, crocefissi, immagini sacre e una rara lettera di rivelazione ) e gli elementi di decoro personale (anelli, collane, orecchini); qui sono esposti anche i resti antropologici (ossa, denti) che rivelano le malattie degli abitanti e i reperti d'interesse entomologico (larve e insetti), botanico e zoologico su cui si è concentrato lo studio interdisciplinare seguito alla scoperta della cripta.
La terza sala espone gli indumenti indossati dalle mummie, reperti di difficile conservazione come calze e camicie ma anche i sudari cuciti addosso ai defunti. È stato ricreato l’abbigliamento di un personaggio maschile (camicia e sudario) e sono esposti frammenti di una gonna e di calzoni, una marsina del ‘700 e due preziose cuffie in seta e velluto, un autentico lusso in confronto alla media dei tessuti recuperati. Va sottolineato che questa comunità agricolo-pastorale non solo sapeva filare, tessere, cucire, ricamare e fare merletti, ma era anche in grado di realizzare lacci e fettucce con tecniche oggi dimenticate come la tessitura a tavolette e l’intreccio a cappio. Autentici virtuosismi filtrano dai rattoppi e dai bottoni realizzati con il filo, mentre un cranio trapanato ci dice che qualcuno li ha curati e una lettera di rivelazione che, se anche non sapevano scrivere, sapevano però leggere.
L’allestimento del Museo delle Mummie di Roccapelago è stato pensato per emozionare. Data la natura di questa scoperta archeologica, si imponeva che i reperti esposti nelle sale, così come i corpi ricomposti nella cripta, costruissero un canale emotivo in grado di comunicare al visitatore un tempo e una vita diversi dai nostri.
I corpi rispettosamente ricollocati nella cripta trasmettono il pathos dei defunti, lasciando immaginare le cerimonie a loro dedicate dai congiunti; allo stesso modo l’esposizione dei reperti fa rivivere le pratiche devozionali rivelando al tempo stesso la quotidianità degli oggetti personali.
Viaggio nella commozione
La storia degli abitanti della comunità di Roccapelago trapela dalle pieghe dei vestiti, dagli infiniti rattoppi, dall’anatomia deformata di un corpo, dalla ripiegatura di un foglio di carta, dalle medagliette e crocifissi posti tra le vesti. Ma è anche rivelata dalla pietas che stilla dalle mani dei defunti, congiunte in preghiera o appoggiate sul ventre, o dalle beffarde posizioni della morte, fissate in un rigor mortis che ha impedito di ricomporre i corpi e vestirli secondo il canone cerimoniale. L’assenza di zecche e pidocchi ci dice che, nonostante la povertà, curavano l’igiene in modo esemplare; un dado da gioco ci fa pensare a qualche momento di non trascurabile serenità.
La scoperta di queste mummie ha indotto esperti delle più varie discipline a intrecciare i dati delle rispettive ricerche: gli antropologi hanno accertato lo stato di salute, l’età, il sesso e l’alimentazione di ogni corpo, gli entomologi hanno identificato la stagione di sepoltura e gli insetti funerari, i botanici hanno ricostruito l'ambiente circostante dalle offerte floreali che accompagnavano i defunti, i genetisti hanno indagato le caratteristiche genetiche e i rapporti di parentela (uno anche con l’attuale sindaco di Pievepelago). Questo approccio multidisciplinare ha coniugato i molteplici aspetti della ricerca scientifica con una specifica attenzione alla conservazione, alla valorizzazione culturale e alla comunicazione.
La scienza è per sua natura distaccata; eppure non c’è studioso o ricercatore, italiano o straniero, che abbia avuto a che fare con i resti umani o materiali di Roccapelago che non abbia ammesso di aver subito un impatto emotivo davvero singolare.
Una commozione immediata è venuta dagli abiti dei defunti, vero manifesto del livello di vita sociale e personale. Camicie, calze e sudari, a prima vista quasi uguali, rivelano individualità sorprendenti non solo tra capi maschili e femminili, ma anche nella lavorazione, nell’usura, nelle riparazioni o nei rattoppi di ogni buco e strappo.
Le donne abbellivano le camicie con merletti fatti mano, sempre diversi l’uno dall’altro; le camicie maschili invece erano fatte per durare, rinforzate sulle spalle e nello scollo, spesso chiuso da miniscoli, bellissimi bottoni sapientemente fatti a mano con il filo. Ogni capo, anche le calze, per povero che fosse aveva sempre un decoro che lo personalizzasse.
L’allestimento ha voluto rispettare tutti questi aspetti che parlano della vita semplice di queste persone, della loro forza e delle loro paure, della durezza dei lavori e dei rari momenti di svago, del territorio e delle risorse in esso presenti.
La visita al Museo delle Mummie di Roccapelago è un viaggio nella commozione, un invito a empatizzare con questi muti testimoni di una storia non troppo lontana diventati loro malgrado una ricca testimonianza che forse incuriosisce ma che certamente non finisce mai di stupire.