Un’idea di mare
Dialoghi fra Arte e Scienza – 6 interpretazioni libere
Esposizione Internazionale di Sculture, Installazioni e Dipinti.
Comunicato stampa
Artisti:
Stefano Bombardieri (Italia) scultore
Monica Marioni (Italia) pittrice
Ugo Riva (Italia) scultore
Marialuisa Tadei (Italia) scultrice
Fulvia Zambon (USA) pittrice
Dania Zanotto (Italia) scultrice
Ricercatori:
Andrea Bergamasco
Marco Faimali
Annalisa Griffa
Mario La Mesa
Katrin Schroeder
Marco Sigovini
Marco Taviani
Roberto Zonta
Fotografi:
Roberto Bacigalupi
Mauro Bastianini
Andrea Bergamasco
Mireno Borghini
Elisa Camatti
Daniele Cassin
Antonio Cattaneo
Franco Costa
Marco Faimali
Gabriele Marozzi
Giuseppe Pessa
Tiziana Romagnoli
Katrin Schroeder
Davide Tagliapietra
TESTI
Un sasso nell’acqua della laguna
Il colore dominante sarà il blu. Che nella storia dell’arte ha rivestito tanti significati e costretto a notti insonni molti artisti e filosofi, dai mosaicisti bizantini ad Antonello da Messina, da Picasso a Klein; da Platone a Kant, da Usserl a Wittgenstein. Un colore che è una metafora, perché vediamo blu il cielo e il mare. Proprio il mare e i suoi toni sono il tema di questa mostra che mette insieme il lavoro di tanti studiosi dediti a indagare, del mare e degli oceani, problemi e segreti, disastri e promesse. Perché nasciamo nell’acqua e ne siamo attratti, ma da sempre sappiamo poco di questa irresistibile meraviglia rappresentata dal mare. E se anche i media da decenni spiegano che lo stiamo inquinando ammazzando distruggendo, noi uomini comuni continuiamo a pensarlo come in una cartolina spedita da un luogo di vacanza. Invece il mare è un continente da scoprire. E questa mostra vorrebbe essere una voce per avvicinare le persone qualunque a un’immagine del mare diversa. Fatta di coscienza e conoscenza, ma anche di incanti e possibilità. Del resto tutti i sognatori tendono a un’isola mai trovata dove ci piacerebbe un giorno approdare. E vorremmo fosse lussureggiante e piena di sole.
L’Idea
Ci pensavo da un po’. Il mare l’ho incontrato nei racconti di mia madre, cresciuta nel ricordo di un papà marinaio, l’unico che la provincia di Sondrio potesse vantare negli anni Dieci del secolo scorso. A causa di tutte quelle storie, cui lei aggiungeva pezzi di fantasia, benché io sia nata in montagna e le mie ossa siano fatte di tronchi di betulla, il mare mi ha sempre affascinato.
L’autunno scorso, una mattina presto in Riva dei Sette Martiri, a Venezia, con la luce della laguna perlescente e San Giorgio di fronte che sembrava un nido di gabbiani, ho pensato che l’emozione per una tale bellezza meritasse una mostra. Qualche giorno dopo alla stessa ora, nello stesso sestiere, sono passata con uno dei miei cani davanti alla sede di ISMAR CNR, una costruzione intarsiata di terracotta e ricca di freschi giardini. Mi sono appesa al campanello, ma com’era ovvio non ha risposto nessuno. Ho riprovato nel pomeriggio e mi hanno fatta entrare. Un’Idea di Mare è nata così, portando a spasso il mio giovane lupo all’alba.
Quando la settimana successiva ho parlato del progetto con due persone speciali, Fabio Trincardi, Direttore di ISMAR e Roberto Zonta, Responsabile della Sede di Venezia, loro hanno subito preso la cosa sul serio.
ISMAR svolge ricerche in aree polari, oceaniche e mediterranee per studiare l’evoluzione degli oceani, l’influenza dei cambiamenti climatici, gli habitat e l’ecologia marina, l’inquinamento crescente delle aree costiere, i fattori naturali e antropici, e il loro impatto economico-sociale su coste e lagune dalla preistoria all’epoca industriale. Senza tralasciare il grande tema della pesca.
Dare fiato a questi temi attraverso una mostra di sculture, installazioni e dipinti non sarebbe stato facile. Perché il dialogo arte/scienza funzionasse bisognava innanzitutto stabilire quali argomenti affrontare e in che modo renderli leggibili attraverso un’esposizione. Fra gli amici artisti con cui lavoro da anni, sempre camminando tra Sant’Elena, Via Garibaldi e la Riva di fronte al Canal Grande, ho individuato sei nomi che per audacia, duttilità e sentimenti mi sembravano i più adatti allo scopo.
Dunque a Stefano Bombardieri ho chiesto di far attraversare la laguna al suo colosso con le tre balene appese a testa in giù. Un’opera monumentale e terribile che dice bene la vergogna degli uomini convinti della propria supremazia sul pianeta, finché la natura non li farà soccombere. A Monica Marioni ho domandato di trasferire una delle sue Ninfe nordiche e biondissime nell’acqua gelida dei ghiacci polari. Ne è risultata una installazione marina che introdurrà il visitatore al resto dell’esposizione. A Ugo Riva, scultore di formazione classica ma capace di scapigliature momentanee, ho detto che avrei voluto due divinità marine di sapore ellenistico da collocare fra le altre opere quasi a benedizione dell’intero progetto. A Marialuisa Tadei e alla sua vena poetico-religiosa ho proposto di inventare animali marini giganti e lei ha risposto con il suo sorriso solare. Per la mostra ha fabbricato meraviglie in mosaico e disegni strabilianti. Mentre all’amica Fulvia Zambon ho fatto trasferire le Carrozzine sui fondali. Le sue madri di solito feroci si sono trasformate in angeliche sirene e i bimbi, pur conservando il volto umano e sorridente, sono diventati pesciolini trasparenti che nuotano felici. Infine ho convinto Dania Zanotto a dedicare al mare e ai suoi abitatori qualcuno degli abiti sciamanici che l’artista veneta tesse con le sue mani, ricamandone ogni piccola parte. Così anche le preziosità degli abissi verranno a trovarci nel nostro cortile.
La Mostra
Una mostra che parli del mare per ricordare a un pubblico di età e culture diverse il suo enorme valore nella nostra vita quotidiana e la sua presenza millenaria nella piccola storia degli uomini, non può che partire dall’abitatore marino più carico di magia e leggende che le letterature di ogni epoca abbiano forgiato, la balena.
Stefano Bombardieri allestisce nel cortile della Caserma Cornoldi una colossale installazione in vetroresina composta da tre grandi cetacei catturati e appesi a testa in giù. Quasi crocifisse su un Golgota millenario dove la razza umana ha sacrificato ogni altra razza animale a proprio vantaggio, le Balene dello scultore bresciano riassumono tutte le valenze che nei secoli abbiamo loro attribuito. Sono il mostro da combattere, impersonano le paure verso ciò che è enorme e sconosciuto, riprendono storie e racconti entrati nella memoria collettiva. Da quella biblica di Giona a quella di Pinocchio; da quella mellvilliana contro cui combatte il Capitano Achab a quelle di cui si narrava nel Phisiologus, il primo importante libro compilativo sulla natura. Ma rappresentano anche quella frangia di umanità che da tempo ha chiaro come l’impatto antropico sul pianeta abbia messo a serio rischio la sopravvivenza di quasi tutti gli esseri viventi.
La giovane pittrice e performer vicentina Monica Marioni indaga sentimenti e sensazioni dell’individuo componendoli in set fotografici laboriosissimi in cui prendono vita scenari fantastico-onirici. Per la mostra Marioni propone un’installazione a terra stampata lambda su dibond che ricostruisce l’idea di un mondo acqueo nel quale figure femminili simili a Ninfe si muovono leggere e curiose in mezzo a oggetti, animali e minerali sconosciuti. L’indagine suggerisce l’idea di una crociera mentale sul fondo del mare dove può accadere di imbattersi in foreste d’alghe e boschi di corallo, o in una giungla di esseri azzurrati che dicono dei fantasmi più antichi narrati nelle saghe e nei racconti del Nord Europa.
Un tempo gli dei avevano il controllo dell’Universo. Nulla accadeva che non fosse stato decretato dalla loro potenza e dal loro volere. E gli uomini potevano soltanto assistere terrorizzati a cataclismi, maremoti e qualunque altro evento straordinario che in pochi istanti cancellava imperi e città. Da molti anni Ugo Riva scolpisce figure collocate fra mito e storia, epica e leggenda. I suoi Angeli acefali e le sue figure ieratiche ripetono lo splendore di un’arte antica quanto le più antiche religioni. Nel cortile della Caserma Cornoldi gli Imperturbabili dei realizzati per la mostra riconsegnano il mare e le sue geografie a un’epoca distantissima, quando i capricci della Fortuna e il coraggio degli Eroi tessevano il destino degli uomini. La base della scultura, fatta a cassetti, potrebbe contenere conchiglie, reperti, relitti che il mare ha trasformato in sedimenti della memoria collettiva.
La pittrice e performer riminese Marialuisa Tadei, ricostruisce un giardino del mare abitato da crostacei e molluschi coloratissimi che per resistere alle mutazioni genetiche dell’ecosistema si sono incrostati di tessere vetrose e luccicanti fabbricate a Murano e hanno irrobustito il proprio scheletro con vetroresina o bronzo a seconda della necessità. Alcuni si sono rifugiati in cassette trasparenti dove nuotano in un olio protettivo, specie di liquido amniotico dove rifarsi una vita e una famiglia. Marialuisa Tadei che da sempre inventa scenari morbidi e quasi impalpabili fatti di garze, piume, luci e vetri dipinti, sotto il portico della Caserma Cornoldi manda in scena un’installazione che propone una visione misteriosa dei fondali.
La pittrice italo-americana Fulvia Zambon raccoglie la sfida di questa mostra e impiega i suoi due temi più cari, i Save Domino e le Carrozzine, per raccontare qualcosa del mare. Così una delle sue urlanti creature femminili che di solito gridano contro le ingiustizie sociali o la noia estrema del nostro mondo disincantato, questa volta si sollevano contro l’inquinamento e la distruzione degli oceani; mentre le dolorose carrozzine dove in genere l’artista infila bambini alieni privati di gambe e braccia, o bambini mancati che non hanno potuto venire al mondo, in Un’Idea di Mare contengono coralli e conchiglie, alghe e fiori di fondale. Appesi sotto le volte del portico tre grandi dipinti dicono al visitatore che non si parla solo di mare.
Gli abiti sciamanici di Dania Zanotto intrisi di sacralità profana ricostruiscono la storia degli uomini attraverso il loro bisogno di eternità. Per questa mostra la performer di Treviso tesse delle vesti nei colori del mare utilizzando resine, colle, fili di lana, ferro, rame e ancora conchiglie, cocci di vetro, pietre, sassi, oggetti trovati sulla spiaggia il cui risultato è un vestito spesso e pieno d’incanto.
A significare un habitat sconosciuto all’uomo comune che del mare conosce solo l’aspetto di superficie e poco sa di quanta vita e lotta e colori e rumori ci siano nelle sue lande e nei suoi deserti sotterranei. Fluttuanti nel porticato e sul lastrico luccicano nell’ombra con la loro leggerezza dove l’artista ha cucito con pazienza i tesori trovati sulla battigia.
L’impresa di questi sei artisti è solo uno spunto per invitare a riflettere. Tuttavia a sostenere i contenuti e le pretese della mostra c’è l’acqua della laguna, appena fuori l’entrata. Com’è noto, quando si getta un sasso nell’acqua si producono onde concentriche che si allargano fino a scomparire allo sguardo. Eppure è possibile che qualcuno da lontano ne percepisca ancora la vibrazione, magari una delle balene di Stefano che veleggiano al largo, nei mari del Nord.
Venezia, Aprile 2011
Anna Caterina Bellati
Il mare: dal mito alla spiegazione al monitoraggio
La Scienza e l’Arte nascono dallo stupore per tutto ciò che c’è e dal desiderio di comprenderne l’origine o di testimoniarne la presenza. Scienza e Arte hanno quindi un punto di partenza comune di natura emotiva. Anche il mare, in tutti i suoi mutevoli aspetti, offre un’ispirazione artistica e, contemporaneamente, suscita un desiderio di comprensione scientifica. Negli ultimi decenni però lo sviluppo tecnologico ha alimentato il sogno di un nuovo rapporto con il mare basato sulla speranza (o illusione?) di un suo completo controllo. Il desiderio di controllo sembra, ai nostri occhi, giustificato dal fatto che il mare equivale ad un’enorme fonte di risorse naturali e, allo stesso tempo, una fonte di pericolo. Ad esempio, strutture come vulcani, faglie, e frane sottomarine possono provocare eventi catastrofici come i maremoti e mettere a rischio le popolazioni che vivono presso le coste, oltre che la molteplicità di infrastrutture sempre più estesamente costruite in mare dall’Uomo.
Fin dall’antichità si è cercato di prevedere i comportamenti del mare e di sfuggirne, e in qualche caso mitigarne, gli effetti. Il mare è stato per millenni esplorato con circospezione, utilizzando la navigazione costiera, oppure attraversato con coraggio, usando il sole e le stelle per orientamento. In quel periodo sono nati miti - come quello di Atlantide - che ancora oggi ci accompagnano. Navigando, i Vichinghi hanno raggiunto la Groenlandia, Colombo ha scoperto l’America - benché cercasse l’India - e, soltanto un secolo fa, si è raggiunto l’Antartide grazie a spedizioni eroiche che duravano anni. Dopo una lunga fase preparatoria, lo studio scientifico dei mari ha vissuto, a partire dal XVI secolo, una transizione verso un approccio scientifico moderno. In quella fase, Ulisse Aldrovandi classificava animali fantastici mai esistiti e, al contempo, specie di pesci, molluschi e coralli, con il metodo dello scienziato moderno. Nello stesso periodo, Luigi Ferdinando Marsili formulava le prime ipotesi sulla struttura geologica dei fondali marini e documentava, con esperimenti di stampo galileiano, il doppio scambio delle masse d’acqua tra il Mar Nero e il Mar di Marmara, dopo aver osservato che, lungo alcune rotte, le reti dei pescatori intercettavano correnti profonde che le portavano verso la prua della barca. Attraverso studi come questi, il rapporto con il mare stava abbandonando le narrazioni mitologiche per avviarsi ad una spiegazione scientifica basata su ipotesi che potessero essere verificate o confutate in base ad osservazioni e misure.
Negli anni ’20, Alfred Wegener ha formulato l’ipotesi della deriva dei continenti, osservando che la geometria delle coste di Africa e sud America combaciano ad indicare che l’oceano Atlantico le ha allontanate progressivamente l’una dall’altra, creando lentamente crosta oceanica. La deriva dei continenti è stata confermata quasi cinquant’anni dopo, grazie alla determinazione delle proprietà magnetiche delle rocce che costituiscono il fondale oceanico. Queste misure in realtà sono state rese possibili dall’invenzione dei magnetometri utilizzati durante la guerra fredda per localizzare i sommergibili nemici.
Si dice spesso che l’Uomo, che ha conquistato e globalizzato le terre emerse del Pianeta Terra, conosca meglio la superficie della Luna che il fondo dei mari. Ciò è tuttora vero e preoccupante, soprattutto perché molte attività umane hanno conseguenze a volte inconsapevoli sui fondali marini, sulle masse d’acqua e sugli ecosistemi che vi abitano. In pratica, queste attività provocano effetti su un’area del pianeta che non si conosce ancora. In mare si pesca a strascico ormai fino a 1000 m di profondità, si gettano materiali che non servono più, si scaricano le acque di zavorra delle navi, si versano idrocarburi quando si lavano le cisterne delle petroliere, quando non, addirittura, ordigni bellici o residui industriali. Mentre gli impatti delle attività umane sulle aree emerse sono immediatamente visibili (ad esempio: le cave di roccia che sbancano le montagne o le cave di ghiaia nelle pianure, a volte trasformate in discariche di spazzatura), non si ha alcuna consapevolezza di un analogo sul fondo degli oceani.
Molteplici attività umane stanno cambiando il mare sotto moltissimi aspetti. A causa dell’aumento della concentrazione di CO2 e altri “gas serra” in atmosfera, il livello dei mari si sta innalzando e le acque degli oceani si stanno scaldando e acidificando, divenendo un ambiente meno ospitale per molte delle specie viventi a cui siamo abituati. L’ingegnerizzazione delle coste porta, spesso, ad una riduzione degli habitat e ad una conseguente riduzione della biodiversità. Inoltre, i rifiuti sono ormai presenti ovunque sui fondali marini in forma di materiale diffuso (come lattine, bottiglie o sacchetti e bicchieri di plastica), o come materiale tossico gettato in mare di proposito. Pure essendone la causa diretta, di questi cambiamenti e impatti l’Uomo ha tuttora pochissima consapevolezza.
Oggi, nel tempo della tecnica e della velocità, si preparano nuove generazioni di studiosi sempre più specializzati. Contemporaneamente, molti degli enti preposti alla tutela dell’ambiente affrontano i problemi soltanto attraverso strategie di “monitoraggio”. Monitorare significa rilevare le condizioni ambientali e le loro variazioni, ma non interpretarle, individuarne i processi che le determinano. è interessante osservare che, oltre all’indubbia utilità pratica, questo approccio rischia di impoverire le occasioni di discussione sull’interpretazione e svaluta l’importanza del pensiero critico alla base della scienza come l’abbiamo conosciuta finora. Si producono strumenti, a volte molto sofisticati, e li si colloca nell’ambiente a misurare parametri fisici, chimici e biologici. Ci si aspetta che queste misure siano oggettive e immediatamente interpretabili, dimenticando che dietro ogni dato c’è la necessità della sua interpretazione, spesso in un contesto di causa-effetto e di complessi meccanismi di interrelazione. è necessario tornare al pensiero critico e rivolgere questo pensiero verso gli stessi presupposti dell’attività scientifica. Ma questo richiede tempo e sforzo. Se si pensasse di poterne fare a meno, riducendo la Scienza al semplice monitoraggio di routine di alcuni parametri ambientali, si finirebbe forse per favorire la nascita di nuovi miti, come la volontà di potenza e il mito del controllo. Al contrario, è necessario rivolgere lo sguardo all’origine della Scienza moderna che è capacità di domandare prima ancora che capacità di misurare. Il dialogo con l’Arte può guidarci in questo rilancio facendo rivivere lo stupore e mostrando di nuovo la via del domandare autentico. Un’Idea di Mare è un contributo in questa stimolante direzione.
Fabio Trincardi
Direttore Ismar Cnr