Valentina Biasetti – Sometimes you should try to fly
Valentina Biasetti (Parma, 1979) ha sempre cercato di scoprire, o perlomeno di rendere intuibile, la inquietante presenza dell’occhio in ogni cosa, preoccupandosi di segnalare la dimensione misteriosa del silenzio che ci circonda. In questa sua profonda consapevolezza emerge la discontinuità del divenire.
Comunicato stampa
Nella ricerca della verità sii pronto a imbatterti
nell'inatteso, poiché essa è difficile da trovare e,
una volta trovata, stupefacente.
(Eraclito)
Solo Narciso, Alice e Orfeo, finora, sono passati al di là dello specchio.
Immersi nel girotondo degli sguardi mancati o negati, Sometimes you should try to fly è un planetario intimo, arricchito e costellato di ritratti ma soprattutto di autoritratti: concepiti ed elaborati non come cronistoria, i lavori presentati indagano la “forma” delle situazioni e ciò che si nasconde in ogni essere umano piuttosto che il limitarsi a descrivere ciò che all'occhio risulta in superficie.
Valentina Biasetti (Parma, 1979) ha sempre cercato di scoprire, o perlomeno di rendere intuibile, la inquietante presenza dell'occhio in ogni cosa, preoccupandosi di segnalare la dimensione misteriosa del silenzio che ci circonda. In questa sua profonda consapevolezza emerge la discontinuità del divenire. Una macchia di colore e la foglia d'oro, un gesto tagliente e la delicatezza di un segno, il nero che annulla e la presenza timida: ecco alcuni tra i tanti aspetti su cui si è appuntata la tornitura visiva di Sometimes you should try to fly, con salti a ritroso nel tempo che restituiscono la forma omogenea dello sguardo allo specchio.
Per quanto individualmente circoscritta e pertinente all'esperienza umana ed esistenziale, le gabbie immaginarie ed immaginate in questa esposizione fanno lievitare o sprofondare le figure in una sorta di argentea atmosfera che ne sottolinea l'aspetto di favola o di incubo, anche quando si evidenzia il dettaglio narrativo o la minuzia del particolare di un lembo di stoffa.
Per comprendere l'influenza polimorfa di queste gabbie sulla vita interiore è indispensabile lo studio analitico dello stato emotivo, delle condizioni e delle circostanze, in una sorta di sezione della realtà: la natura del silenzio in cui ogni figura fluttua è un concetto chiave nella lettura delle opere.
Di fatti, Valentina Biasetti utilizza la velatura del silenzio come uno strumento utilitario per la composizione e la narrazione, trasformandola in esperienza del silenzio e ricerca spasmodica di un equilibrio all'interno del lavoro, anche – e soprattutto – quando il gesto ed il colore distruggono questo equilibrio.
La profondità di campo che si delinea genera movimento nella fissità e simmetria nel caos,
lasciando lo sguardo libero di indagare e di cogliere anche la minima variazione di pressione che la matita imprime sulla carta o sul lenzuolo. Sono dunque i gesti reali a determinare la solitudine dello spazio, a scandire e a sferzare frustate di colore, a relegare la figura a semplice isola in mezzo al vuoto di un oceano candido; le relazioni tra i soggetti ed il colore sono le dicotomie tra le distanze e gli avvicinamenti, le ombre persistenti che si proiettano oltre lo sguardo.
Le matite dure e morbide, i colori primari che si mescolano, i gesti informali formano il nucleo dell'analisi del soggetto umano come ambiguo, fallibile e misterioso, ma allo stesso tempo potenzialmente potente, amorevole e creativo.
La debolezza, la fragilità e il fallimento dell'uomo coesistono con la capacità, il potere e la possibilità umane, e il linguaggio pittorico può – in questo caso – recuperare e ripristinare attraverso tentativi aperti e completi di interpretazione: è un atto quotidiano, un riconoscimento inevitabile della natura conflittuale e dicotomica della vita umana.
Senza cinismo e senza disperazione, ma con cura.