Vincenzo Satta – La pittura come sublime luminosità. 1970-1979
Una mostra dedicata alla ricerca pittorica di Vincenzo Satta (Nuoro, 1937) in collaborazione con l’archivio dell’artista, dal titolo “La pittura come sublime luminosità. 1970-1979”.
Comunicato stampa
Dall'8 ottobre al 4 dicembre 2020 la galleria 10 A.M. ART presenta una mostra dedicata alla ricerca pittorica di Vincenzo Satta (Nuoro, 1937) in collaborazione con l'archivio dell'artista, dal titolo "La pittura come sublime luminosità. 1970-1979".
Dopo una prima fase di accertamento strutturale dell'immagine Satta sviluppa il linguaggio della geometria superando l'originario referente naturalistico (la memoria del paesaggio) a favore della pura astrazione. In tal senso, l'artista inizia a usare la denominazione "senza titolo" per indicare una visione costituita da puri rapporti cromatici che esaltano la dimensione impalpabile della luce.
Con questo orientamento Satta partecipa ad alcuni eventi espositivi della Nuova Pittura (1972-1976), area di ricerca interessata alle procedure analitiche e alla riflessione sugli strumenti del dipingere.
Nel 1973 è invitato da Giorgio Cortenova alla mostra "Un futuro possibile. Nuova pittura", presso il Centro Attività Visive, Palazzo dei Diamanti, a Ferrara. Si tratta di un importante occasione di confronto internazionale, anche se la posizione di Satta è più vicina a un'idea di astrattismo classico che dialoga sia con i maestri del passato (Beato Angelico, Piero della Francesca, Giovanni Bellini), sia con gli autori contemporanei (Malevich, Albers, Rothko, Newmann).
Questi riferimenti sono un nutrimento prezioso per il viaggio mentale del colore attraverso velate apparizioni che dal piano costruttivo della razionalità si evolvono verso la soglia dell'indeterminato. Per esprimere il valore assoluto della luce, l'artista esplora le gradazioni trasparenti delle figure primarie (quadrato, rettangolo, cerchio, fasce orizzontali e trasversali) gli affinamenti tra un tono e l'altro, gli accordi formali e le variazioni impercettibili che dialogano con l'invisibile. Tra i critici che negli anni Settanta hanno commentato la pittura di Satta, Pier Giovanni Castagnoli e Giovanni Maria Accame sono tra i più acuti nel rilevare la qualità del colore, l'intensità emozionale della composizione geometrica, l'astratta purezza dell'immagine, in modo che l'osservatore non abbia altro punto di riferimento che la pittura stessa nell'atto di filtrare l'essenza del colore-luce. I risultati di questa ricerca sono documentati in diverse mostre personali e collettive e con la partecipazione a diversi Premi allora in voga: Michetti, Morgan's Paint, Campigna, Suzzara, oltre alla Biennale di Milano.
A metà degli anni Settanta, Satta è tra gli artisti del gruppo bolognese di Palazzo Bentivoglio (con Degli Angeli, Landi, Mascalchi, Pintori, Storti Gajani) ai quali la Galleria d'Arte Moderna di Bologna dedica la mostra "Pittura museo città", curata da Giovanni Maria Accame (1975).
Per Satta la geometria è una scelta strutturale che coincide con il metodo di lavoro, non vi può essere alcun evento cromatico estraneo al processo di definizione elementare della forma pura. L'uso del quadrato costituisce, per esempio, l'assoluto luogo mentale in cui prende corpo la fisicità del colore, la bellezza elementare della forma geometrica, la sublime luminosità che stimola l'immaginazione oltre la misura canonica della superficie dipinta. Nella forma del quadrato Satta coglie l'evidenza del colore-luce, così come nel cerchio portato alla sua massima estensione, egli individua l'estrema espansione dello spazio. La pittura è trattata con sensibile perizia tecnica fino a farla diventare pura vibrazione luminosa, bagliore sospeso tra razionalità e fantasia, tra pensiero ed emozione, senza che la visione propenda verso uno dei due poli. Nel ciclo delle "porte" che caratterizza la seconda meta' del decennio Satta si confronta con un'idea di spazio architettonico come soglia che coincide con la misura e la posizione della tela sulla parete, in tal senso la sua frontalità verticale è sospesa nel processo di decantazione della luce. Accanto alle "porte" rettangolari l'artista dipinge anche una serie di "porte" caratterizzate dall'uso dell'arco, un elemento di memoria classica che si articola ritmicamente attraverso meccanismi di apparizione e dissolvimento, effetti percettivi visibili solo con un prolungato tempo di assimilazione delle gradazioni luminose.
Ha scritto a tal proposito l'artista: "Da sempre cerco con ostinazione uno spazio primario, inanimato, velato di una sostanza colorata, luminosa, silenziosa, espansa e vibrante".
Vincenzo Satta. Nota biografica:
Nato a Nuoro nel 1937 Vincenzo Satta studia presso l'Istituto d'Arte di Sassari e successivamente, dopo il trasferimento a Bologna nel 1960, si diploma con una tesi su Paul Klee nella sezione di Pittura (Mandelli e Manaresi) all'Accademia di Belle Arti del capoluogo emiliano.
Il periodo di formazione durante gli anni Sessanta è caratterizzato da un processo di superamento della figuratività che, alla fine del decennio, lo spinge a trasferire nel linguaggio geometrico le intenzioni simbolico-rappresentative della ricerca iniziale. Si tratta di una fase decisiva durante la quale Satta giunge a una diversa consapevolezza della pratica pittorica come linguaggio affrancato dal referente naturalistico del paesaggio che pur è servito a elaborare la personale sensibilità cromatica.
L'attività espositiva, dopo la prima personale nel 1967 alla Galleria Il Cancello di Bologna (con presentazione di Andrea Emiliani), procede nel corso degli anni Settanta con diverse presenze in spazi pubblici e privati, tra le quali va ricordata una mostra collettiva presentata nel 1972 da Francesco Arcangeli alla Galleria delle Ore di Milano. Tra le altre rassegne da segnalare, vanno indicate alcune prestigiose mostre personali sul finire del decennio (1978) presso la Sala Comunale d'Arte Contemporanea di Alessandria e presso il Centro di Attività Visive, Palazzo dei Diamanti, di Ferrara (cataloghi con testi di G.M. Accame e P.G. Castagnoli). Di importante livello culturale è la partecipazione nel 1979 alla mostra presso la Pinacoteca di Ravenna, curata da P.G. Castagnoli e P. Fossati, Stanze del gioco, documentata sulla rivista "La tradizione del nuovo", III°, N°5, diretta da Giulio Guberti.
Tra gli altri critici che nel corso degli anni Settanta si avvicinano all'opera di Satta si distinguono per presentazioni e recensioni Flavio Caroli, Adriano Baccilieri, Luigi Lambertini, Paride Chiappatti, Giorgio Ruggeri, Marisa Vescovo, Mario Ramous, tutti concordi nel riconoscere la particolare qualità pittorica che l'artista ha raggiunto nella sua ricerca di "astratta purezza".
A partire dagli anni Ottanta si determina una svolta di carattere morfologico che coincide con una differente tensione immaginativa, non più legata ai fondamenti della geometria, ma a ritmiche spaziali fluide e dinamiche.
Si tratta di visioni instabili in cui il viaggio mentale di Satta incontra forme imprevedibili, vibrazioni e flussi che costituiscono il suo singolare alfabeto grafico-pittorico, costantemente indagato dai critici che lo frequentano con maggiore interesse: Claudio Cerritelli, Fabrizio D'Amico, Dario Trento.
All'inizio degli anni Novanta la pittura di Satta propone una scrittura immediata e mutevole, con esplicita allusione al canto del colore come partitura musicale ricca di variazioni avvolgenti. La visione si affida a particelle luminose che agiscono in reciproca attrazione, come una trama gremita di linee in libertà, campo gremito di pura sensibilità cromatica, dove l'immagine è pura vibrazione luminosa. Tra le numerose occasioni espositive che documentano la sua costante attività vanno infine ricordate le mostre alla Frankfurter Westend Galerie, Francoforte (C. Schicktanz), al Padiglione d'Arte Contemporanea di Ferrara, e la prima mostra antologica organizzata nel 1999 presso il MAN di Nuoro.