Vittorio D’Augusta – Almanacco di fasti e nefasti
Da qualche tempo, entro le opere di Vittorio D’Augusta, sono emerse delle teste che, mai uguali a se stesse, declinano i toni del grigio e i lineamenti dell’umano.
Comunicato stampa
Da qualche tempo, entro le opere di Vittorio D’Augusta, sono emerse delle teste che,
mai uguali a se stesse, declinano i toni del grigio e i lineamenti dell’umano. Non
segnano un tradimento del lirismo, puro e ancora intriso d’incanto, che ha
costantemente caratterizzato la sua ricerca, e nemmeno una contraddizione semantica
delle pozzanghere madreperlacee che da sempre rispecchiano l’apertura del suo cielo
interiore.
Come un musicista che ha unicamente composto sinfonie strumentali, per orchestra
sola, al massimo per orchestra e oggetti, per orchestra e luce, quei volti inediti
corrispondono all’incursione di una inaspettata voce, ma ciò che esce dalle bocche e
un suono armonico, che utilizza il corpo umano come strumento, quasi fosse un altro
fiato ad aggiungersi alla fila degli ottoni.
In modo analogo la presenza degli specchi nelle installazioni di Vittorio ha un senso
palindromo, come a dire più linguistico che psicologico. Trova allora una singolare
sintonia il tema del Giano bifronte e del mese a questi dedicato, gennaio, per allestire
una mostra che ha un singolare sapore divinatorio, che in qualche misura rievoca il
futuro e scruta nel passato.
Gennaio segna un inizio anche se sta a cavallo dell’inverno e dunque, da quella
postazione, guarda il prima e il dopo. Ho sempre visto qualcosa di sciamanico nella
sua poetica, ma di uno sciamanesimo bianco e fatto il suo accesso sentimentale alle
cose. Questa volta non e un ‘semplice’ specchio a dialogare con gli strumenti
dell’orchestra pittorica, ma la testata di un mobile da camera, un comò da genitori,
sicche la barca a vela che ne deriva, con quella tela volante poggiata all’angolo della
stanza, sembra un viaggio di andata e ricordo.
Non e necessario spingere l’acceleratore sul racconto, quello verrà comunque da se
per pura evocazione, da dentro, senza il bisogno di sottolineare nulla. Dipingere e poi
comporre in un gioco continuo, raccogliendo da ciò che si e dipinto così come da ciò
che si e vissuto, dai resti di una casa o dalle reliquie di un amore, dalla curva liquida
di un pennello o dalla polvere che si deposita attorno al segno di carbone.
Ma c’e sempre una danza: prima, nel tempo delle idee, ma anche durante la pittura,
nel tempo dei pensieri, così come anche dopo c’e danza, nell’atto di scegliere, di
associare alla pittura le schegge delle cose, di quel che c’e attorno al fare, come un
magnetismo della pittura esercitato sull’esistenza.
Massimo Pulini