Where I End You Begin
Entrambi di stanza a Venezia, gli artisti presentano una cross-section dedicata all’identità, un’indagine trasversale di relazioni simbiotiche tra ricordi e future configurazioni di memoria collettiva.
Comunicato stampa
Where I End, You Begin è il titolo della doppia personale di Dritan Hyska e Alketa Ramaj.
Entrambi di stanza a Venezia, gli artisti presentano una cross-section dedicata all’identità, un’indagine trasversale di relazioni simbiotiche tra ricordi e future configurazioni di memoria collettiva.
Un intervento a testa, giocato nello spazio espositivo; in entrambe le proposte non c’è una vera conoscenza, viene invece comunicata la natura delle strutture create dall’uomo che modificano inevitabilmente il paesaggio e attraverso l’esperienza convissuta in maniera costante, riconfigurano la visione delle cose che ci circondano, quindi, in apparente sordina, la nostra personalità. Non c’è una perdita, ogni cosa che l’uomo inventa ha una sua ragione intima ma al tempo stesso anche le sue conseguenze.
Nel percorso estetico, diviso in due, si racchiude un ciclo, o meglio un disegno dalla forma circolare, una rincognizione che sfida l’entropia e mette in luce la costante evoluzione del concetto di cultura; noi come fautori dei suoi contorni. Da un lato si parte dall’esterno che condiziona l’interno e dall’altra, al contrario, dall’interno all’esterno, ma sempre con un senso di sostegno e volontà estetica che riesce a modificare.
In ‘House For Two Brothers’ Hyska, con una serie di fotografie in bianco e nero accompagnate da una testimonianza scritta, evidenzia relazioni familiari, volutamente cercate e create dopo anni di fatica spesa lontana dai propri affetti verso una volontà di parità, dono per i propri eredi, con spiccato evidente orgoglio per i vicini anche solo di transito, poi sorpresi dalle conseguenze invisibili che raccontano il nostro tempo attraverso il paesaggio.
Mentre con ‘Rritesja’ Ramaj vede nelle strutture delle piante, tutori di sostegno per la loro crescita a mezza via con la volontà umana di dare forma ornamentale, riscatta con le fotografie la testimonianza della loro presenza e con i calchi in gesso la loro ragione d’esistere. Monumentalità che nella pratica dell’arte aiuta a costruire una relazione con le cose, un’affezione se necessario, o un opportuno e benefico distacco in altri casi.
Nelle tensioni si innescano i meccanismi che tracciano nuove morfologie; i due artisti in maniera organica e leggera passano in rassegna architettura, identità, memoria e personalità; fattori combinabili e scambiabili di posizione per indagare il nostro tempo.
A cura di Cecilia Tirelli
assistente Angela Zuin