White&White nel dialogo tra Corea e Italia
La mostra White&White nel dialogo tra Corea e Italia propone una riflessione su due distanti culture che s’incontrano sul pensiero e sui linguaggi del bianco. Come le molte mostre sulla monocromia bianca, verso la fine degli anni ’50, hanno quasi tracciato uno spartiacque nel panorama dell’arte, così la mostra White&White nel dialogo tra Corea e Italia segna uno spazio di ricognizione per due culture alle soglie di profondi cambiamenti sociali.
Comunicato stampa
La mostra White&White nel dialogo tra Corea e Italia propone una riflessione su due distanti culture che s’incontrano sul pensiero e sui linguaggi del bianco. Come le molte mostre sulla monocromia bianca, verso la fine degli anni ’50, hanno quasi tracciato uno spartiacque nel panorama dell’arte, così la mostra White&White nel dialogo tra Corea e Italia segna uno spazio di ricognizione per due culture alle soglie di profondi cambiamenti sociali. L’esposizione binazionale permette una riflessione sul differente valore storico-artistico di avanguardia occidentale e consente di accostarsi alla cultura coreana, ai principi orientali verso cui è rivolta l’attenzione del pensiero contemporaneo. In mostra sono presenti opere della creatività emergente italiana attorno al concetto del monocromo bianco e di un pensiero che ha determinato la trasformazione dei linguaggi artistici del Novecento, accanto ad opere coreane provenienti dalle maggiori collezioni museali.
La ricognizione bianca dei linguaggi italiani oscilla tra il desiderio di contatto con la realtà e l’intuizione o la percezione della stessa. La ricerca dell’anima celata nell’opera di Dongwan Kook, la collocazione di oggetti, come feticci di un culto, sono vicini alla poetica di Bohnchang Ko, di Cristiana Palandri, di Man-Lin Choi e si pongono in dialogo con il mondo delle stelle decapitate, con l’aspetto reale, trafitto della condizione umana, come nell’opera di Franco Ionda. La sacralità della materia di Ionda è vicina alla sacralità dello spazio di Insu Choi. La scultura di In-Kyum Kim con la rappresentazione lunare delle forme possibili dello spazio, l’ingresso silenzioso, a piccoli passi nella materialità dell’anima come nelle sculture di Kwang-Ho Jeong declinano il rapporto con la creatività o con l’esserci e con l’agire nello spazio espresso dalle opere di Insu Choi o dal filo di fibra ottica di Carlo Bernardini che traccia una possibilità d’individuazione dello spazio o di disegno nel vuoto. Paolo Di Capua incide segni nella materia, rivelazioni di trame profonde che pone in dialogo con il bianco, suggello di una ritualità, di un modello di vita. Le scritture di Oan Kyu attraversano la pagina come racconti minimi in successione continua. Il concetto di tempo poeticamente esteso riunisce le opere di Oan Kyu, di San-Keum Koh, di Stato di famiglia che include nell’opera il concetto di segmento temporale comune per trascrivere lo spartito di John Cage. Le opere in mostra di Licia Galizia/Michelangelo Lupone, Dae Hun Kwon, Fabrizio Corneli, Min-Ha Yang fanno smarrire il confine dell’avanguardia nella scienza. Fabrizio Corneli, Dae Hun Kwon declinano l’ombra tra la progettualità e le leggi scientifiche della luce. Le opere di Min-Ha Yang e Licia Galizia/Michelangelo Lupone si relazionano con l’ambiente, con le sue presenze, vibrazioni che divengono movimento, calligrafia chiaroscurale per l’artista coreano e ritorno musicale per gli artisti italiani. La ricerca dell’irraggiungibile accomuna le poetiche di San-Keum Koh, Shin Il Kim e Paolo Radi: gli artisti si confrontano con la profondità che brilla sul fondo insondabile, dove risiede la luce, da cui nascono i sogni, contenuti di vite.
Seo-Bo Park, Dong-Youb Lee e Chang-Sup Chung sono figure rappresentative della pittura coreana monocroma la cui pratica è incentrata sugli interventi dell'artista sulla pittura stessa culminando nei segni lasciati sulla tela, i quali accentuano il vuoto rimasto come se fosse uno spazio ricettivo e che nell'opera di Emanuela Fiorelli prende forma dal velo di tarlatana.
La figura a cui la mostra affida il compito di congiunzioni di mondi, tempi e lingue è Nam-June Paik. La sua linea bianca, zen è vicina al taglio di Lucio Fontana e alle ultime ricerche artistiche presenti in mostra.